dottoranda presso l'Università degli Studi di Trieste

Fonte citata: A un passo dal sogno di Giulio di Luzio


Massimo Livi Bacci, nel suo libro In cammino. Breve storia delle migrazioni (Il Mulino, 2010), descrive la fase presente come un periodo di politiche migratorie di chiusura, in linea con buona parte dell’opinione pubblica, tuttavia insostenibili sia economicamente che socialmente.

L’autore si sofferma sulla difficoltà dell’interpretare le migrazioni per ciò che sono, ovvero un elemento costante nella storia delle società umane e che quindi non può essere trattato alla stregua di un elemento transitorio e marginale; egli sottolinea infatti quanta strada ci sia “ancora da fare per dare ordine e dignità ad una delle prerogative fondamentali dell’individuo: quella di spostarsi nello spazio, senza ledere i diritti altrui e senza il timore che ai propri venga fatta violenza”.[1]

Questo cambio di filosofia, nonostante la sua evidente necessità, non sembra essere la priorità dell’agenda politica migratoria europea, né lo è mai stato nella storia delle migrazioni e del diritto d’asilo in Italia che, come vedremo, è sempre stata caratterizzata da provvedimenti dettati da urgenza ed emergenzialità.

In proposito, può essere utile ripercorrere la vicenda di Jerry Essan Masslo, che si può considerare come l’evento che diede inizio alla storia del dibattito italiano sui diritti dei migranti, e che si rivela ancora un utile spunto di riflessione in un’Italia che fatica a pensarsi come Paese d’immigrazione.

È il 1988 quando Masslo atterra a Fiumicino, dopo una fuga che dal Sudafrica dell’Apartheid lo porta in Europa. Scappato da un Paese in cui la segregazione razziale gli aveva strappato prima il padre, trattenuto dalla polizia e mai più rincasato, poi il figlio di appena 7 anni, raggiunto da un proiettile durante una protesta di piazza, il giovane sudafricano giunge in Italia con la speranza di lasciarsi alle spalle razzismo e soprusi subiti.

Ma ad “accoglierlo” è un’Italia impreparata, vincolata a un’obsoleta legge sull’immigrazione risalente al ventennio fascista che inquadrava le migrazioni come un mero problema di ordine pubblico e sicurezza nazionale.

Dopo un’attesa di due settimane, Masslo riceve il diniego del Governo italiano e deve attendere l’intervento dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che sotto il proprio mandato gli riconosce lo status di rifugiato politico.

 

Questa forma di tutela permetteva il rilascio da parte dello Stato italiano di un permesso di soggiorno provvisorio “in attesa di emigrazione”, di fatto relegando migliaia di persone a spostarsi in un altro Paese e chi restava alla marginalità e allo sfruttamento del lavoro nero.

 

Migranti in banchina a Bari, 1991

 

Masslo muore infatti trucidato il 25 agosto 1989 nelle campagne di Villa Literno, per mano di una banda legata alla malavita locale, che rapinò lui e altri lavoratori africani dei risparmi del duro lavoro nei campi di pomodoro. Alla sua morte esplode il caso mediatico: il passato del sudafricano è infatti già noto alle cronache e alla politica, tanto da far emergere la necessità di un’evoluzione nel discorso pubblico sulle migrazioni e nelle sue normative. Quell’evento inaugurò un’ondata di solidarietà anti-razzista mai vista prima in Italia: si tennero diverse mobilitazioni e proteste che porteranno all’approvazione di una nuova legge. Da ricordare, in particolare, lo sciopero auto-organizzato dai braccianti di Villa Literno il 20 settembre 1989, a cui segue il 7 ottobre un grande corteo anti-razzista a Roma, che vide la partecipazione di 200.000 solidali.

Prima dell’assassinio di Masslo era ancora in vigore il principio della “riserva geografica”,[2]  che prevedeva la possibilità di concedere asilo solo a soggetti provenienti dai Paesi europei e dell’ex-blocco sovietico. Ma è il 1989, con la caduta del muro di Berlino il flusso di richiedenti provenienti da quell’area andrà scemando, ed è quindi necessaria una normativa in grado di cogliere i cambiamenti in atto. Tuttavia,  la legge 39/1990 – c.d. legge Martelli- sarà emanata sull’onda dell’emergenzialità con un decreto d’urgenza, proprio a seguito della morte di Masslo: come afferma infatti Petrović nella sua Breve storia del diritto d’asilo in Italia (Franco Angeli, 2016), prima di quest’evoluzione “il tema del diritto d’asilo viene trattato in via residuale all’interno del più ampio dispositivo nazionale dedicato all’immigrazione”.[3]

Sebbene con la Legge Martelli si apportasse un importante passo avanti, grazie al quale l’Italia recepirà del tutto la Convenzione di Ginevra, eliminando la clausola geografica e sancendo per la prima volta nell’ordinamento italiano il principio di nonrefoulement, che stabilisce il “divieto assoluto di espulsione e respingimento dello straniero verso uno Stato ove possa essere oggetto di persecuzioni”, essa non sarà comunque sufficiente ad una più complessiva regolamentazione della materia. Occorre infatti ricordare come non prevedesse alcuna protezione specifica per tutti quegli individui non classificabili come rifugiati politici, in una fase in cui a migliaia giungeranno dai Balcani e dalla Somalia, rimanendo di fatto in balìa di una legislazione ancora parziale.

Per avanzare su questo punto si dovrà attendere la legge Turco-Napolitano del 1998, per certi versi anch’essa ambivalente in quanto introduceva al contempo l’istituto della protezione temporanea[4] e i primi CPT (Centri di permanenza temporanea), per immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno. Non è un caso infatti che nello stesso periodo l’Italia scelga di applicare pienamente la Convenzione di Schengen, in seguito all’adozione di una legge per la protezione dei dati personali funzionale all’identificazione degli stranieri transitanti dalle frontiere esterne della Comunità.

Dagli anni ’90 ad oggi l’approccio contenitivo si è rafforzato, passando per provvedimenti quali la Legge Bossi – Fini che introduceva nell’ordinamento il reato d’immigrazione clandestina, in un momento storico in cui le quote d’accesso per motivi lavorativi sono bloccate e l’accesso alla Protezione internazionale saturo. Il sogno di Masslo appare perciò ancora un miraggio lontano: il pacchetto Minniti è stato recentemente osannato anche dai leader europei, nigeriani e ciadiani, assieme al codice di condotta per le ONG. Inoltre, i recenti accordi dell’Italia con le milizie libiche dimostrano quanto le misure adottate siano in netta contraddizione con la realtà, nell’illusione che creando campi profughi in Africa o erigendo barriere sempre più alte le persone si fermeranno, quando è invece evidente che continueranno a muoversi tracciando nuove rotte migratorie.

 

 


 

 

[1] M. Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni, il Mulino, Bologna 2010, p. 125.
[2] Il principio della “riserva geografica”, previsto dalla Convenzione di Ginevra all’art. 33 punto B, veniva applicato solo agli Stati che sceglievano di sottoscrivere questa opzione. Tale principio stabiliva che l’applicazione dello status di rifugiato previsto dalla Convenzione potesse essere limitato ai soggetti provenienti dall’Europa. Come ripreso da Petrović, “l’Italia aderisce alla Convenzione di Ginevra attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica n.722 del 24 luglio 1954 […]. Le ragioni politiche che portano a questa scelta sono innanzitutto di ordine economico. Le autorità italiane, infatti pur avendo più volte espresso la volontà di ritirare la “riserva”, la mantengono per diversi anni con la motivazione che l’Italia è l’unico Paese occidentale a confinare con due aree geografiche da cui provengono esodi di rifugiati: l’Europa dell’est e l’area afro-asiatica”. N. Petrović, Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in Italia, Franco Angeli Milano, 2016, p. 40.
[3] Ibidem.
[4] La protezione temporanea introdotta dalla legge 40/98 – c.d. Turco-Napolitano – è una procedura di carattere eccezionale che garantisce, in caso di afflusso massiccio ed imminente di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea ed impossibilitati a rientrare nel loro Paese d’origine, una tutela immediata e temporanea alle persone. Questa misura di protezione è volta ad evitare il collasso del sistema di asilo in caso di situazioni di particolare emergenza. Essa prevede “la possibilità che il Presidente del Consiglio dei Ministri […] introduca misure di protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea”. Ivi, p. 55.
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