Il futuro e il passato si sono scambiati i ruoli?
È la domanda generativa da cui parte Zygmunt Bauman in Retrotopia, l’ultimo libro compiuto a cui abbia messo mano prima di morire. Libro che segna una tappa importante di riflessione, ma che non chiude né definisce un percorso.
Bauman è convinto che futuro e passato si siano scambiati i ruoli. Il futuro ci spaventa, dice, perché lo percepiamo come una retrocessione, come perdita della possibilità di avanzamento perché non siamo in grado di controllarlo. E comunque dal futuro riceviamo immagini che non ci piacciono, immagini di arretramento. Per questo preferiamo rifugiarci nel passato.
E conclude: “Una volta privata del potere di modellare il futuro, la politica tende a trasferirsi nello spazio della memoria collettiva”
Affermazione che segnala la prosecuzione di un sentiero su cui Bauman si è incamminato da tempo, non più soddisfatto di “Società liquida”, la metafora che a lungo ha segnato il passaggio tra XX e XXI secolo. Quello scavo nel malessere attuale nasce dalla consapevolezza della fine della promessa della società del Welfare, e dalla volontà, al tempo stesso, di tener ferma la necessità di una politica democratica e riformista.
Allo scavo intorno a quel tema Bauman – prima di quella sua ultima fatica, che per noi rimane la spia di un percorso riflessivo inconcluso – lavora già da tempo con vari interventi. Questa la sua convinzione: la politica non è la gestione naturale delle cose, e non è nemmeno la naturalità dello sviluppo. La politica è l’indizio di una scelta che nasce da una decisione, consapevole. Scelta che indirizza il presente, prefigura un futuro e riordina il passato.
Ritratto di Zygmunt Bauman
Quando Zygmunt Bauman nel 2013 pubblica La ricchezza di pochi avvantaggia tutti. Falso! (Laterza) sembra che inviti a una riconsiderazione del modello di sviluppo che egli intravede in corsa dall’inizio del XXI secolo.
Quel percorso, ha come parola centrale la diseguaglianza, ma soprattutto, come sottolinea in Retrotopia, riguarda la nostalgia, il rimpianto costante per il passato. Sentimento che esprime senso al nostro agire, secondo Bauman, una volta che il futuro sia percepito non solo come incerto, ma come tempo segnato dalla perdita di status.
Condizione che fa da carburante alla costruzione dell’identità. L’identità è sempre il risultato di un processo di convinzione, anche quando chiama a proprio sostegno le testimonianze del passato. Ma soprattutto quando invoca in nome del futuro le parole che danno senso al proprio desiderio.
Retrotopia designava una sfera di sentimenti, ma non individuava ancora una parola (anche se il titolo ha una sua efficacia, come molte altre volte è capitato a Bauman contribuendo alla costruzione del lessico del nostro tempo presente). L’assenza di quella parola è forse il segno più tangibile del vuoto che ha lasciato Zygmunt Bauman.
Il nome è importante, non solo per i significati che include, ma perché l’atto di denominare non è un dato tecnico, ma descrive un processo culturale e intellettuale di primaria importanza.
È nel nome che la lingua manifesta il suo carattere ontologico: nel nome il mondo viene alla presenza, nel nome l’uomo si apre alla verità del mondo. In esso la parola dell’uomo si apre, prima ancora che alla conoscenza del mondo, all’incontro con il mondo e la sua lingua si svela tutt’altro che semplice strumento per afferrare e impadronirsi di ciò che non ha lingua.
Le cose esistono, ma non basta indicarle. Per comprenderle, perché acquistino per noi un significato, siano discutibili, entrino a pieno titolo nella riflessione pubblica e dunque siano oggetto di confronto, e di crescita, occorre che abbiano un nome. La facoltà di nominare come aveva intuito molto tempo fa Walter Benjamin nel suo Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo (1916), è quella condizione e quella possibilità che consente poi di dare un volto e, nel tempo, contenuto alle cose. Non consente solo di riconoscerle, ma di parlarne.
Una tra le cose che ci mancano di Zygmunt Bauman, a un anno dalla sua scomparsa – era il 9 gennaio 2017 – anche se non ce lo siamo detti, è proprio la parola con cui provare a dare un volto al carattere di questo nostro tempo. Quale sarebbe stata la parola che Zygmunt Bauman ci avrebbe suggerito per dare profondità e definire una genealogia del presente nel corso del 2017? Noi in questo anno non l’abbiamo individuata. Noi siamo “orfani di una parola” capace di dare non solo una descrizione ma anche un significato a questo nostro tempo.