Introduzione
La transizione verde – in parallelo con quella digitale – come proposta dall’Unione Europea e formalizzata nel Green Deal europeo avrà un impatto dirompente sui mercati del lavoro e sull’occupazione nelle società europee. In parallelo, il rischio è che il progressivo abbandono dei combustibili fossili e le politiche climatiche – che talvolta presentano profili regressivi – possono favorire nuove povertà, come quella energetica.
Ci aspettiamo che queste tendenze abbiano un impatto sui sistemi di welfare. In primo luogo, gli schemi occupazionali saranno messi sotto pressione: un’attenzione dovrà essere rivolta ai sussidi di disoccupazione, così come ad un ripensamento degli schemi pensionistici. In secondo luogo, le politiche contro la povertà saranno fondamentali nell’affrontare i nuovi rischi sociali che paiono configurarsi. In ultimo luogo, i programmi di assistenza e i servizi sociali saranno fondamentali per affrontare i nuovi rischi e bisogni sociali derivanti dalla transizione.
Tra i lavoratori, ci si aspetta che le due transizioni abbiano un effetto asimmetrico: la popolazione urbana istruita beneficerà tipicamente del processo, mentre inciderà negativamente sui colletti blu industriali impiegati nelle industrie primarie e secondarie e, più in generale, nelle attività ad alta intensità energetica; questi gruppi sociali sarebbero i primi a cui il welfare dovrebbe prestare attenzione.
Gli studi che stanno emergendo sulle politiche eco-sociali e su eco-welfare state sono indicativi di un movimento verso una nuova concettualizzazione del rapporto tra sfera sociale e ambientale, ampiamente trascurato nel “compromesso di mezzo secolo”, come definito da Colin Crouch (1999). Come spiegato da Schoyen et al. (2022), nell’introduzione del volume “Towards Sustainable Welfare States in Europe: Social Policy and Climate Change”, l’idea della nuova agenda di ricerca eco-sociale è quella di riunire gli studi sul welfare e quelli sulle politiche climatiche, “per migliorare la nostra comprensione di come le minacce ecologiche e in particolare il cambiamento climatico e le politiche per affrontarlo possano influire sulla sostenibilità degli Stati sociali avanzati”. Inoltre, oltre alla relazione tra sfera sociale ed ecologica, è particolarmente rilevante la visione proposta della sfera economica. Qui diverse concettualizzazioni degli obiettivi economici sono in discussione: gli approcci del sustainable development e della green growth sono particolarmente rilevanti, ma anche approcci, quale la già citata de-growth sfidano la struttura “classica” dell’accumulazione di capitale.
Domande
Alla luce di quanto sopra, chiediamo:
- In che modo la transizione verde avrà un impatto sui sistemi di welfare europei?
- Quali saranno i gruppi sociali più esposti?
- Come possono i regimi di welfare e le politiche sociali trasformarsi in sistemi di eco-welfare e politiche eco-sociali?
- Come sarà il rapporto tra la sfera sociale e quella ambientale? Come costruire un ponte tra gli obiettivi di politica sociale e ambientale?
- Come riformulare la crescita economica in relazione ai welfare state eco-sociali?
- Come si potrà inquadrare una “nuova politica” dei welfare state eco-sociali? Quali saranno gli attori più rilevanti? Quali alleanze? E quali conflitti?
Partecipanti
Sebastiano Sabato, Osservatorio Sociale Europeo
Mi Ah Schoyen, NOVA Norwegian Social Research
Giulia Valenti, Università Ca’ Foscari di Venezia
David Natali, Scuola Superiore Sant’Anna
Halliki Kreinin, Università di Münster
Stefano Ronchi, Università degli Studi di Milano
Anna Kyriazi, Università degli Studi di Milano
Benedetta Cotta, Scuola Superiore Sant’Anna
Tiziano Distefano, Università degli studi di Firenze
Katharina Zimmermann, Università di Amburgo
Discussione
Intervento di apertura
Il keynote speech è stato quello di Sebastiano Sabato, ricercatore senior presso l’Osservatorio Sociale Europeo, che si è occupato principalmente dell’approccio a livello UE alla transizione giusta, interrogando la relazione tra welfare state e transizione socio-ecologica.
In primo luogo, è stata proposta una valutazione del Green Deal europeo, considerato come una “nuova strategia di crescita” con due obiettivi principali: zero emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 e la protezione, la conservazione e il miglioramento del capitale naturale dell’UE. L’idea è che gli obiettivi economici, sociali e ambientali debbano essere perseguiti in sinergia, attraverso soluzioni vantaggiose per tutti. Tuttavia, i possibili trade-offs si stanno già manifestando e l’idea di una transizione verde è spesso correlata alla richiesta di attenzione alla sua dimensione sociale, ovvero ad un sforzo verso una “transizione giusta”. A questo proposito, la just transition viene considerata in quattro aspetti: politico, territoriale/settoriale, funzionale e riconducibile al diverso mix di welfare.
In particolare, ci si può aspettare che il welfare state svolga 4 funzioni nella transizione verde: i) come punto di riferimento che fornisce principi e diritti che dovrebbero riflettersi nella progettazione e nell’attuazione delle politiche per la transizione verde; ii) come facilitatore della transizione verde; iii) come cuscinetto, per mitigare e attenuare l’effetto sociale negativo della transizione verde; iv) come strumento di costruzione del consenso o di gestione dei conflitti della transizione verde, attraverso il dialogo sociale e civico.
In questo contesto, l’UE ha progettato una serie di strumenti e strategie politiche volti a garantire che l’UE e i suoi Stati membri possano sfruttare le opportunità e affrontare i rischi derivanti dalla transizione verde. Le iniziative finanziarie più rilevanti in questo senso sono il Fondo per la Transizione Giusta, i PNRR nazionali e il Fondo sociale per il clima.
Quindi, a partire da questo, sta gradualmente emergendo un “quadro UE” per una just transition, anche se tale quadro è ancora frammentato e sbilanciato verso un approccio di benchmarking e attivazione, che sembra essere insufficiente per raggiungere efficacemente la popolazione interessata.
In gioco ci sono poi altri limiti e problemi. Non è infatti chiaro se le premesse su cui si basa l’azione dell’UE siano realistiche, poiché l’attuale modello economico è radicato nella disponibilità di combustibili fossili e nello sfruttamento delle fonti naturali: di conseguenza, la fattibilità della crescita verde, la modernizzazione ecologica e il loro risultato nel disaccoppiamento potrebbero non essere possibili.
Inoltre, vale la pena chiedersi i) se le politiche proposte sono sufficientemente innovative, ii) quali sono i margini di manovra di bilancio e iii) come integrare un quadro di transizione giusta nella governance socioeconomica dell’UE. Infine, le risorse finanziarie dell’UE non sono sufficienti per gli obiettivi previsti.
Discussant
Mi Ah Schoyen, della Metropolitan University di Oslo, ha sottolineato come il concetto di sostenibilità dovrebbe essere ampliato. Pertanto, l’attenzione della ricerca sul welfare state dovrebbe spostarsi dall’affrontare solo la sostenibilità fiscale, al considerare la sostenibilità ambientale. In seguito, è stato presentato il contenuto del libro “Towards Sustainable Welfare States in Europe: Social Policy and Climate Change” curato da lei stessa, Hvinden e Dotterud Leiren nel 2022. In questa pubblicazione si sottolinea l’importanza del trilemma eco-social-growth. L’idea è infatti che il concetto di un “welfare state sostenibile” è al crocevia tra necessità economiche, ecologiche e sociali e potrebbe essere un modo per affrontare la crisi climatica. Inoltre, vengono delineati tre approcci di economia politica: i) modernizzazione economica/crescita verde; ii) transizione giusta, new green deal, sviluppo sostenibile; e iii) post/de-crescita. Questi tre approcci concettualizzano in modo differente le interconnessioni tra la sfera ambientale, sociale ed economica, dalla visione più “produttivista” della modernizzazione economica, al neo-keynesismo del new Green Deal, alle proposte radicali di post-crescita, il che è costitutivamente in contrasto con l’idea stessa di accumulazione di capitale e sviluppo capitalistico.
Successivamente ha avuto luogo l’intervento di Giulia Valenti e David Natali. Il loro discorso si è incentrato sul rapporto tra i sistemi pensionistici e la transizione verde. In primo luogo, sono state individuate le principali sfide, sia quelle “classiche” a lungo termine, come l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della spesa, sia quelle “nuove”, legate alla transizione verde. È stata fatta una distinzione euristica tra i due sistemi pensionistici in Europa, seguendo Jessoula e Hinrichs: sistemi integrati (copertura universale attraverso differenti schemi) e sistemi di disintegrati (protezione diseguale per differenti gruppi socio-professionali). È stata poi identificata una possibile fonte di disuguaglianze, considerando i “vincitori” della transizione verde (i lavoratori dei settori green) e i “perdenti” (il settore brown, sul quale graverà la maggior parte del costo di tale transizione). In questo contesto, la domanda principale è: come gestire questa situazione attraverso il welfare e soprattutto le pensioni? Di conseguenza, vengono prese in considerazione tre strategie: i) una strategia difensiva, ossia, l’adozione di regimi di prepensionamento ampi e generosi; 2) una strategia più ampia: ossia, l’aumento della pensione minima e dei sussidi per gli stessi lavoratori che rischiano di avere una carriera più frammentata a causa della transizione verde; 3) una strategia proattiva, ossia, l’adozione di linee guida più rigorose sugli investimenti dei fondi pensionistici nell’economia verde.
Discussione
Altre opinioni critiche sono state proposte da Halliki Kreinin, dell’Università di Münster. Ha abbozzato una visione radicale della crescita economica e dello sviluppo del welfare state durante “l’età d’oro del capitalismo di welfare”, considerando come questa fosse radicata nello sfruttamento del sud del mondo e in un massiccio consumo di combustibili fossili. Quindi, la proposta chiave è di sottrarre le risorse finanziarie necessarie per sostenere i sistemi di welfare da dove sono presenti in abbondanza. Date le crescenti disuguaglianze, pertanto, la proposta è principalmente di aumentare la tassazione sull’accumulazione di capitale, in particolare il capitale finanziario. Parallelamente, è stata sollevata una riflessione per una riconcettualizzazione del “vivere bene”: in questa prospettiva, il modo di vivere “imperiale” dovrebbe essere abbandonato, per adottare la prospettiva del “buen vivir”, che non sfrutta il non umano e, in definitiva, non compromette la biosfera a livello locale e planetario.
In risposta a ciò, Tiziano Distefano, dell’Università di Firenze, ha fatto il suo intervento sulla macroeconomia ecologica. Ha abbozzato uno scenario basato sui dati sui possibili scenari economici che emergerebbero se le società occidentali smettessero di inquinare, considerando come la crescita economica sia radicata nell’impronta carbonica. L’altro obiettivo preso in considerazione è la riduzione delle disuguaglianze, dal momento che la stragrande maggioranza delle emissioni globali (circa il 70%) sono per lo più prodotte dal 10% più ricco della popolazione mondiale, che è dotato del 76% della ricchezza globale. Sono previsti tre scenari: crescita verde, politiche di equità sociale e decrescita. Il più efficiente in termini ecologici è lo scenario della decrescita, che garantisce anche una ridistribuzione della ricchezza più efficiente attraverso l’attuazione di un’imposta sul patrimonio.
L’intervento di Benedetta Cotta, dell’Università Sant’Anna di Pisa, si concentra invece sulla possibile caratteristica di un welfare state eco-sociale che considera le politiche eco-sociali come: “le politiche pubbliche che perseguono esplicitamente obiettivi di politica ambientale e sociale in modo integrato”. Adottando questo quadro, viene effettuata un’analisi di due documenti a livello europeo: il Green Deal europeo (EGD) e la strategia Farm to Fork (F2F). Entrambi, come riportato nelle slide presentate durante il workshop, hanno mostrato la “presenza di tutti gli aspetti dell’essenza eco-sociale e forniscono indicazioni concrete su azioni e strumenti europei”. Inoltre, “l’EGD e l’F2F forniscono dettagli su come integrare con successo gli aspetti ambientali e sociali, realizzare politiche di successo coinvolgendo attivamente i cittadini e gli investitori e suggerendo un modello economico di crescita verde e un approccio collettivo alla definizione delle politiche”.
Anna Kyriazi, dell’Università degli Studi di Milano, e coinvolta nel progetto SOLID, ha invece sottolineato la dimensione politica del Fondo per la Transizione Giusta (JTF) e del Fondo sociale per il clima (SCF), indagando quali alleanze e coalizioni politiche abbiano portato all’approvazione di entrambe le policy. Sono state fatte due premesse. La prima, sull’opinione pubblica, è che i cittadini europei sono molto favorevoli al coinvolgimento dell’UE nelle politiche climatiche. La seconda è che gli Stati membri dell’Unione europea sono eterogenei, considerando il loro assetto istituzionale (Welfare Mix), le loro strutture economiche, i loro mix energetici e i settori industriali su cui si basano maggiormente. Pur con differenze ideologiche rilevanti, solo pochi paesi possono essere definiti scettici sul clima. Per quanto riguarda il JTF, è nato come strumento per le regioni in transizione che mirano a promuovere la diversificazione economica in quelle aree. Deriva da una richiesta del governo polacco, così come dall’iniziativa di vari imprenditori sovranazionali, e fondamentalmente funziona come strumento di autocompensazione per i paesi meno avanzati sulle climate policies. Il Fondo sociale per il clima è stato invece proposto nell’estate 2021, e vale 72,2 miliardi di euro. Sulla base di linee ideologiche di conflitto, i verdi e i socialisti hanno votato contro nelle sessioni parlamentari dell’UE, in quanto favorevoli a una più ampia dotazione di risorse.
Stefano Ronchi, dell’Università degli Studi di Milano, si è concentrato sul livello dell’opinione pubblica. In poche parole, ha verificato l’esistenza di una possibile coalizione “eco-sociale”, ovvero consapevole della “terza generazione di rischi sociali” legati alle questioni ecologiche, climatiche e ambientali. La principale evidenza emersa dai dati raccolti nel progetto SOLID in partnership con YouGov è il fatto che si sta verificando una polarizzazione tra coloro che sostengono le politiche eco-sociali, tipicamente i più ricchi e istruiti, e coloro che sono a favore del welfare state “classico”, ossia, i lavoratori a basso reddito che saranno probablimente interessati dalle perdite di posti lavoro prodotte dalla transizione verde nell’industria e nei settori primari.
Katharina Zimmermann, dell’Università di Amburgo, ha parlato dei rischi sociali in relazione ai cambiamenti climatici e alle politiche di transizione verso Net-Zero. In primo luogo, il suo tentativo è stato quello di sistematizzare i possibili “rischi eco-sociali”. Tali rischi sono fondamentalmente: la perdita della protezione sociale privata a causa di condizioni meteorologiche estreme; rischi per la salute, come pandemie, malattie cardiache, allergie, rischi sul posto di lavoro; la necessità di una protezione sociale legata al lavoro in caso di perdita di esso o in caso di svalutazione del titolo di studio; infine, divario tra le pensioni o requisiti di mobilità nel contesto della trasformazione economica. Inoltre, fondamentalmente, la crisi climatica e le politiche climatiche ci si aspetta produrranno una crescente povertà energetica a causa dell’aumento dei prezzi e dei danni ambientali. Le transizioni di energia/mobilità/agricoltura aumenteranno l’esposizione delle persone alla povertà e alla perdita di posti di lavoro. Infine, a causa della trasformazione macroeconomica, è probabile che il finanziamento generale del welfare attraversi una crisi generalizzata. In questo contesto, l’UE ha adottato due strumenti politici: il JTF e l’SCF. Il JTF si concentra sulla protezione sociale legata al lavoro, mentre l’SCF affronta principalmente il problema della povertà. Se la protezione sociale legata al lavoro è ampiamente affrontata, in particolare con politiche attive del mercato del lavoro, la gamma di politiche anti-povertà dell’UE è invece più ridotta. Tuttavia, l’SCF è importante perché l’UE, a parte casi residuali, mai aveva fornito protezione sociale su base individuale. Gli altri possibili “rischi sociali ecologici” non sono invece affrontati a livello dell’UE: in questo caso, i welfare state nazionali dovrebbero essere incoraggiati ad affrontare tali rischi e l’UE può avere un ruolo nel facilitare questo adattamento.
Conclusioni
Sulla base di questa discussione, sembrano essere in gioco tre temi principali con riferimento alle politiche eco-sociali e ai welfare state sostenibili: l’approccio globale alla transizione verde (o transizione socio-ecologica); il ruolo delle politiche pubbliche nel guidare (o meno) questa transizione; e la dimensione politico-istituzionale.
In primo luogo, dovrebbero essere presi in considerazione approcci differenti con riferimento al modo in cui viene governata la transizione. Fondamentalmente, sono possibili due posizioni: prospettive di crescita verde e post-crescita. L’approccio alla crescita verde, basato sulla modernizzazione ecologica e adottato dalla Commissione UE, rischia di non essere abbastanza ambizioso per affrontare la crisi socio-ecologica, che sta aumentando di dimensioni e i cui risultati sono ancora in gran parte imprevedibili. La post-crescita invece è finalizzata a “quadrare il cerchio” e a proporre un cambio di paradigma, discutendo lo status quo economico a livello di produzione e consumo. In questo contesto, la Transizione Giusta è un concetto che cerca di sottolineare la necessità di avere una transizione che rispetti i confini planetari, ma allo stesso tempo sia consapevole delle implicazioni sociali negative che questa transizione può comportare. Il concetto di “rischi eco-sociali della terza generazione” è particolarmente appropriato per descrivere queste implicazioni, in quanto considera nuovi tipi di rischi che dovrebbero derivare sia dalla crisi climatica che da quelle politiche volte a contrastarla.
In secondo luogo, i welfare state hanno storicamente contribuito al cambiamento climatico, ma potrebbero anche agire per attutire l’effetto negativo che il cambiamento climatico e le politiche climatiche potrebbero causare. Come detto in precedenza, i welfare state possono svolgere ruoli diversi nella transizione verde. È necessario quindi superare la mentalità “a silos” che domina l’elaborazione delle politiche, al fine di proporre politiche eco-sociali integrate. Fondamentalmente, le politiche eco-sociali non sono tutte uguali e la loro progettazione è molto importante, in particolare considerando la differenza tra le politiche di investimento/attive e quelle di buffering/protezione.
In terzo luogo, è importante sottolineare le implicazioni politico-istituzionali delle politiche eco-sociali, chiedendosi quale sia la fattibilità politica delle politiche eco-sociali e di questo cambio di paradigma verso uno stile di vita sostenibile. Le circoscrizioni sociali e gli attori politici che sostengono lo status quo sono più forti di quelli che sono a favore di una transizione socio-ecologica più ampia, anche quando l’insostenibilità di tale status quo è riconosciuta. In questo senso, l’UE potrebbe lavorare come leader ideativo per esigere una transizione giusta, cercando di trovare una sintesi tra le diverse questioni in gioco.