Università Cattolica del Sacro Cuore

C’è una narrazione riduttiva che viene data per scontata quando si parla di economia di mercato. L’idea, cioè, che la ricerca individuale dell’utilità sia l’elemento necessario e sufficiente per spiegare il funzionamento dei nostri sistemi produttivi. Arrivando così alla conclusione che un’economia moderna debba essere pensata solo come la somma di decisioni di individui isolati.

Per quanto capace di cogliere un aspetto cruciale della realtà, tale affermazione ne nasconde uno ugualmente importante. E cioè che l’economia di mercato, organizzando in una cornice istituzionale la produzione e lo scambio attraverso la concorrenza e la competizione, di fatto è un modo per strutturare la relazione fra parti. Cioè, per dirla con il lessico di questo lavoro, una forma particolare di “co-economy”.

Da questo punto di vista, si può senz’altro affermare che l’economia di mercato nella quale viviamo

è certamente basata su un modo particolare di essere “co”: infatti, che altro sono la competizione (che etimologicamente significa “correre verso lo stesso risultato”) o la concorrenza (il cui significato è “correre

insieme nella stessa direzione”) se non modi per organizzare – attraverso il sistema dei prezzi e la moneta – la relazione tra un numero molto elevato di agenti economici? Da questa prima osservazione è possibile trarre un’affermazione generale: non esiste, nella realtà, economia che non sia una co-economy. A cambiare sono piuttosto le forme storiche e sociali prese dalla natura “co”.

Se le cose stanno così, allora il tema della co-economy cambia di significato. Quando si usa questo termine, non si deve intendere il passaggio da un mondo altamente individualistico a uno più socializzato.

Più limitatamente, i processi in corso – prodotti sia da nuove condizioni tecnologiche (legate fondamentalmente alla rete e alla digitalizzazione) che da nuove condizioni culturali (derivanti dall’emergere, almeno in forma latente, di una nuova domanda centrata attorno a beni a più elevato contenuto relazionale) – premono per una ridefinizione delle forme “co” alla base dell’organizzazione della vita economica e sociale.

Il suffisso “co” designa, dunque, quelle forme di socialità che si vengono a creare in un dato contesto economico. Come abbiamo detto, è proprio questo un elemento che si nasconde anche dietro la concorrenza e la competizione. Allo stesso modo – seguendo l’ipotesi di questo lavoro – è evidente come negli ultimi anni siano andate emergendo alcune particolari modalità di relazione tra economia e società, le quali contribuiscono a rendere vitale lo scenario del postcrisi entro cui ci troviamo.

La prima forma è quella della cooperazione che, strutturandosi attorno a una concezione “comunitaria” dei mezzi e dei fini della produzione, si è storicamente proposta come una soluzione alternativa a quella classica capitalistica. Oggi, tuttavia, è evidente come anche i processi cooperativi siano attraversati dalla necessità di un ripensamento: da una parte, ciò deve avvenire alla luce di un progressivo loro inserimento nelle logiche del mercato, in particolare attraverso la forma dell’impresa sociale; dall’altra parte, si pone la questione dell’ampliamento e del radicamento della base sociale dell’agire cooperativo; due movimenti che trovano nelle cooperative di comunità e nelle cooperative platform interessanti prospettive di lavoro.

La seconda forma emergente di co-economy ha a che fare con i processi di condivisione del valore prodotto.

Se da un punto di vista concettuale è la teoria dello shared value proposta da Porter e Kramer a definire la linea interpretativa, dal punto di vista delle pratiche è evidente come sempre più l’impresa profit stia cercando di convergere verso il terreno non profit, arrivando a concepire il valore prodotto in termini non solamente economici ma anche sociali e ambientali.

Valore che viene, dunque, creato contestualmente attraverso una condivisione con i territori e le comunità di appartenenza. Emblematico, in questo senso, il caso delle B-Corp e delle Società Benefit.

Da ultimo, più recentemente, sulla scia della diffusione della così detta sharing economy, si è andato sviluppando il tema della collaborazione come modalità attraverso cui articolare una nuova forma di co-economy.

Secondo questa logica, vanno sempre più emergendo forme di messa in comune di beni, servizi e competenze tra pari attraverso l’utilizzo di piattaforme digitali. Nonostante sia evidente, in particolare attraverso l’ampio dibattito sulla on demand economy, come le diverse soluzioni collaborative non sempre siano portatrici di effettive forme di rilegatura tra economia e società, è fuori dubbio che fenomeni come quello delle sharing cities o del platform cooperativism costituiscano degli embrioni di una co-economy che facendo evolvere le tradizionali forme di economia del comune, possono rilevarsi capaci di unire in modo nuovo il radicamento territoriale e comunitario con la competitività dell’economia di mercato.

È, dunque, in ordine a queste trasformazioni che occorre fare riferimento quando si parla di “co-economy”. Non tanto a un immaginario passaggio dall’individuo al gruppo, quanto alle più o meno recenti forme di relazione economica e sociale capaci di organizzare lo scambio e la produzione di beni e servizi.

Siamo in un momento storico in cui le forme del “co” stanno cambiando. Si delinea con forza, allora, l’importanza di questa ricerca, che per la prima volta cerca di realizzare una mappatura delle diverse forme che si stanno avviando attorno alla nuova co-economy.

Non si tratta di un movimento univoco che dall’individuale va verso il sociale; le dinamiche sono molto più complesse e ambivalenti. E, tuttavia, quello considerato rappresenta un processo molto rilevante, destinato a cambiare, a poco a poco, buona parte delle forme che sono oggi alla base della nostra organizzazione sociale e economica.

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