Bologna è attraversata oggi da “tensioni di nuova generazione”, alla base di alleanze politiche e di scopo tra diversi attori urbani, che preludono all’apertura di una nuova stagione politica. Una stagione che segni una discontinuità nella continuità e, assieme alla formulazione di politiche pubbliche efficaci e capaci di rispondere alle sfide contemporanee, possa creare nuovi immaginari per la città (e, in prospettiva, per il Paese).
Tali tensioni possono essere tematizzate in tre ambiti principali:
La città e l’università
A Bologna trova sede la più antica università d’Europa e il rapporto città-università è da sempre al centro dell’attenzione dei decisori e della sfera pubblica. Negli ultimi anni tale attenzione si è concentrata più volte sui problemi di convivenza tra studenti, cittadini e city users sollevando questioni rilevanti come quelle dell’accesso alla casa e degli usi dello spazio pubblico. Pur essendo questi temi di assoluta importanza per la futura amministrazione, il rapporto città-università richiede lenti di analisi più raffinate e, al contempo, di più ampia portata. L’ecosistema della ricerca bolognese può diventare il centro di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale, fondato sulla conoscenza e il capitale umano quali vettori principali per colmare le inefficienze di settori cresciuti particolarmente negli ultimi anni e caratterizzati da basso contenuto tecnologico e alto grado di precarizzazione del lavoro (es. logistica). I quasi 100.000 ricercatori, giovani studiosi e futuri professionisti che abitano la città devono essere considerati fulcro di una nuova politica non solo economica ma anche industriale su scala metropolitana, accompagnata da politiche e servizi che accolgano e crescano una nuova classe di lavoratori con diritti e competenze all’avanguardia e diano possibilità concrete e dignitose per restare a Bologna.
Transizione ecologica giusta (o “socialmente desiderabile”)
Extinction rebellion e altri movimenti ecologisti hanno portato al centro del dibattito pubblico un tema che, come nel resto d’Italia, aveva avuto poco spazio sino ad allora, ed hanno così messo in primo piano l’urgenza di maggiori consapevolezza e impegno da parte delle istituzioni sulla transizione ecologica inclusiva e accessibile. In particolare, il Consiglio comunale di Bologna ha approvato nel 2019 la Dichiarazione di Emergenza Climatica ed Ecologica, aprendo la strada ad un processo partecipativo che ha portato alla modifica dello Statuto comunale, inserendo le Assemblee deliberative per il clima come uno degli istituti di partecipazione permanenti del Comune. Nonostante l’importanza di questi risultati e la grande aspettativa riposta nello strumento democratico della assemblee, la partita coinvolge diverse leve di azione su scala metropolitana e deve tenere in considerazione due ambiti di sviluppo strategici per la lotta ai cambiamenti climatici:
- da un lato, la mobilità sostenibile, con il bisogno di trovare un equilibrio tra le comunità che chiedono un aumento della ciclabilità e pedonalità sicura e l’apertura di una stagione di grandi opere come il tram e il Passante di mezzo, che portano con sé conflitti con differenti porzioni della città, che percepiscono tali opere non sempre necessarie e in alcuni casi contraddittorie;
- dall’altro, la rigenerazione delle diverse aree dismesse presenti in ambito urbano, che devono essere inserite in un ampio progetto di sviluppo che le identifichi come aree a vocazione sociale ed ambientale, favorendo la riduzione del consumo di suolo, l’aumento del verde urbano ed evitando processi di speculazione che agiscono erodendo la città pubblica e il benessere della collettività.
La città della prossimità
La crisi che stiamo vivendo ha un triplice volto: una forte congiuntura economica, accompagnata da una sempre più impellente catastrofe climatica, e acuita da un’emergenza sanitaria che porta con sé una riflessione urgente sul tema della salute e del benessere delle comunità, soprattutto quelle più fragili o marginalizzate.
Nelle politiche sociali risiede la storica forza di Bologna, ma proprio qui la sfida sta nell’innovare un modello che recentemente ha dimostrato di non essere sempre capace di rispondere ai nuovi bisogni e ai desideri della popolazione. La sfida dovrà essere raccolta e potrà essere vinta se si vorrà interpretare il proprio tempo e il futuro non solo lavorando sul rapporto tra dimensione sociale e sanitaria e sulla territorializzazione del welfare, ma anche con uno slancio nuovo a livello di progettualità, coinvolgendo nuovi soggetti protagonisti del welfare per realizzare un sistema di politiche di prossimità sempre più centrate sulla abilitazione e sulla capacitazione dei cittadini. In particolare, l’amministrazione ha la possibilità di dare riconoscimento e spazio di azione ad una solida rete di realtà mutualistiche e decine di gruppi formali ed informali che da anni operano sul territorio integrando – e in alcuni casi sostituendosi – all’amministrazione nell’offerta di servizi di inclusione sociale, educazione, welfare culturale, cura e uso collettivo di spazi ed edifici pubblici. Tali realtà durante la fase emergenziale hanno dimostrato una spinta alla collaborazione e all’innovazione dei servizi unica, che l’amministrazione dovrà mettere a sistema dimostrando una solida consapevolezza della centralità del rapporto tra pubblico-istituzionale e pubblico-comunitario.
Gli ambiti di priorità rapidamente esposti sono fortemente interconnessi tra loro e portano con sé un elevato grado di complessità, che richiede una sforzo di regia che solo il settore pubblico può oggi attestarsi. Si apre dunque un’ultima grande sfida – e certamente una opportunità. A Bologna più che altrove è in gioco la possibilità di immaginare un nuovo ruolo del settore pubblico per lo sviluppo, che sappia assumere una funzione di guida strategica garantendo un bilanciamento di potere tra le sfere pubblico-privato-società, nuove forme di cittadinanza e sperimentando strumenti di indirizzo politico e di governo di respiro europeo.