Estratto dallo scritto di Maurizio Del Conte “Transizioni scuola – lavoro. Azioni e politiche per formare profili aggiornati e competitivi nell’era digitale” dall’ebook, Good Match. Per una relazione virtuosa tra formazione e mercato del lavoro. Una pubblicazione di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli in collaborazione con Fondazione Italiana Accenture.
La formazione rappresenta il punto debole del nostro sistema. Secondo studi nazionali e internazionali, il nostro Paese si colloca nelle ultime posizioni delle classifiche europee sul tema delle competenze ICT e della loro reperibilità sul mercato interno. I Paesi più all’avanguardia da questo punto di vista sono quelli del nord-est europeo che hanno un livello di scolarizzazione digitale molto elevato rispetto al centro Europa, tra cui la Germania. Malta e Lituania sono invece i Paesi con il maggiore livello di diffusione delle competenze digitali, contrariamente a quanto si potrebbe pensare data la loro posizione geografica.
Una delle cause del nostro posizionamento su questo tema a livello europeo, va ricercata nell’assenza di un tessuto imprenditoriale capace di offrire posizioni lavorative nelle materie cosiddette STEM, cui segue un basso livello di laureati nelle discipline della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica. Secondo l’OCSE, il nostro Paese sta scivolando verso un equilibrio al ribasso delle competenze dovuto a una carenza nella domanda e nell’offerta di lavoro, con il rischio che senza qualche scossa di sistema il mercato possa assettarsi su questo livello, con ricadute negative per la crescita e l’occupazione.
Il quadro complessivo è ancora più allarmante se teniamo in considerazione che il progresso tecnologico sta contribuendo a una progressiva erosione delle competenze intermedie e delle relative attività routinarie ad esse associate. Per contro è più difficile che le tecnologie possano oggi sostituire le competenze basse perché in queste caso, come diversi studi evidenziano, la macchina è meno competitiva dell’essere umano sulle attività a basso valore aggiunto. Detto in altri termini l’uomo costa ancora meno della macchina in relazione ad alcune mansioni lavorative.
Assistiamo così a una polarizzazione del mercato del lavoro tra lavoratori con alte competenze e retribuzioni salariali elevate e lavoratori che ricoprono posizioni a basso valore aggiunto. Per invertire la rotta di questa tendenza risulta necessario implementare attività di ripensamento della filiera formativa e della transizione dal percorso educativo al percorso lavorativo secondo nuovi valori e nuovi principi. Primo fra tutti quello di una formazione permanente, che dura e continua per tutta la vita, perché non possiamo pensare che le categorie mentali del secolo scorso, relative alla logica del lifetime employment siano ancora oggi valide e utili a formare profili professionali aggiornati e competitivi rispetto alle trasformazioni sociali in corso.
La sfida cui oggi siamo chiamati è duplice: da un lato gestire le transizioni da un lavoro all’altro, essendo le interruzioni e le riprese del lavoro sempre più frequenti; dall’altro lato settare una filiera formativa capace di tenere in considerazione la dimensione identitaria di ciascun individuo, consentendo al singolo di valorizzare il proprio potenziale di vita.
Oggi questo è possibile proprio grazie al potenziale offerto dalle nuove tecnologie nel costruire modularmente, ricostruire e aggiornare le conoscenze e le competenze lungo i percorsi di vita degli individui. Il che non vuol dire settare una formazione digitale uguale per tutti, quanto piuttosto costruire strumenti di abilitazione per le persone che le rendano capaci di imparare e acquisire un bagaglio culturale utile a un aggiornamento delle proprie competenze.