Il volume 10 idee per convivere con il lavoro che cambia – disponibile presso la libreria di viale Pasubio 5 a Milano – propone i contributi raccolti dall’area di ricerca Futuro del Lavoro di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli in due anni di Jobless Society Platform: una pubblicazione a più voci che si propone di contribuire alla comprensione della trasformazione tecnologica in corso e ad una gestione il più possibile equa e sostenibile della quarta rivoluzione industriale.
Un volume che ospita gli interventi di Mauro Magatti, Richard Sennett, Joseph Stiglitz, Susanna Camusso, Stefano Scarpetta, Antonio Casilli, Francesco Bruno, Saul Meghnagi, Rosangela Lodigiani.
Di seguito un estratto dal libro tratto dal contributo di Mauro Magatti:
Con il digitale, i confini della fabbrica, insieme alla divisione “industriale” tra produzione e consumo, tenderanno a ridursi. Si tratta di un passaggio cruciale, sul quale è necessario riflettere con attenzione.
La capillare penetrazione della rete e la digitalizzazione di ogni strumento e di ogni ambiente della nostra vita personale e collettiva permetterà, per la prima volta nella storia, di concepire l’intera vita sociale come una grande fabbrica, in cui ogni singolo atto (di produzione, consumo o anche di riproduzione) può essere monitorato ed efficientizzato. Muoversi in questa direzione ha diversi svantaggi (perdita della privacy, ulteriore standardizzazione delle attività umane, aumento del controllo), ma ha il grosso vantaggio di poter mettere in produzione quote sempre più ampie della vita sociale e umana, assoggettando alla logica dell’efficienza ambiti che fino a oggi ne sono rimasti esclusi. Rendendo così possibili nuovi margini di crescita quantitativa.
Con la digitalizzazione, la logica tayloristica potrebbe essere applicata non più solo alle fabbriche, ma anche alle città, agli ospedali, alle stazioni. Inoltre, grazie agli efficaci strumenti di controllo in remoto di cui dispone, non ci sarà luogo (casa, strada, ecc.), né attività (lavoro ma anche salute, tempo libero, formazione etc.) che in linea di principio possa rimanere al di fuori del suo sguardo telescopico. Infine, a venire inclusa in questa logica produttivistica non sarebbe più solo la forza fisica del lavoratore, ma anche l’intelligenza dei ricercatori, il desiderio dei consumatori, il bios dei cittadini, coinvolgendo oltre al tempo di lavoro anche il tempo libero, fonte irrinunciabile per la nascita di nuovi mercati, per la realizzazione di innovazioni tecniche e per il raggiungimento di una maggiore efficienza complessiva.
Dunque il problema che abbiamo davanti è la sparizione del lavoro così come l’abbiamo concepito negli ultimi due secoli. A partire cioè dalla rivoluzione industriale e dalla nascita della fabbrica moderna
Da un lato, ogni tipo di “lavoro umano” potrà essere sostituito da quello della macchina fino a rendere pensabile un “lavoro senza l’uomo”. Con macchine capaci di lavorare autonomamente, corriamo il rischio di andare verso la Scilla di una jobless society, una società senza lavoro umano.
Dall’altro, si corre anche il pericolo esattamente opposto: la diffusione capillare del controllo, storicamente esercitato all’interno delle mura della fabbrica, alle azioni sociali che si svolgono in tutta la società renderà ubiquo il lavoro. Con una nuova società destinata a diventare essa stessa, nella sua integralità, una sorta di fabbrica diffusa: la Cariddi di una total-job society organizzata attorno ad nuovo tipo di lavoro senza luogo e senza tempo, dove la relazione tra lavoro e remunerazione dovrà essere completamente rinegoziata (con lavori (più o meno) remunerati, lavori non remunerati, lavori remunerati con controprestazioni).