Non solo storia – Calendario Civile \ #18marzo 1871
“Supposons que le peuple soit vaincu, supposons que les bonapartistes et les royalistes rentrent à Paris en barbottant dans des mares de sang, et en piétinant sur des cadavres, – que restera-t-il de la Commune?
[…] nous importe peu que les décrets de la Commune soient exécutés ou non. Qu’on nous tue, si l’on veut, qu’on déchire nos affiches, qu’on passe les murs à la chaux, les principes qu’ils ont affirmés n’en existent pas moins, et, quoiqu’on fasse et quoiqu’on dise, ce sont des monuments que les Versaillais ne détruiront ni à coups de plume, ni à coups de canons”
(J.-B. Clément, Les décrets de la Commune, “Le cri du Peuple”, 23 aprile 1871)
Così scriveva, un mese prima della semaine sanglante, Jean-Baptiste Clément (1836-1903), comunardo, musicista e autore di diverse canzoni tra cui quella che è considerata l’inno della Comune di Parigi: Le Temps des cerises.
Come è noto, la Comune venne effettivamente soffocata nel sangue ma, come predetto da Clément, la sua eredità politica e ideale è rimasta viva e, nonostante gli ormai 150 anni passati, potrebbe forse persino aiutarci ad affrontare il tempo presente dove – complice lo scenario pandemico – lo sconforto da un lato e il ripiegamento individualista dall’altro sembrano prendere sempre di più il sopravvento. Senza cedere alla tentazione di mitizzare a ogni costo questo importante esperimento di emancipazione sociale e politico, è però innegabile il potenziale d’immaginari e di possibilità insito in esso. Mentre la storiografia ufficiale ha cercato per anni di rimuovere l’esperienza comunarda, denigrandola, deformandola e persino talvolta occultandola, in realtà le sue tracce non si sono mai perse e riaffiorano talvolta a distanza di tempo in movimenti sociali variegati e tra loro anche molto diversi.
La carica vitale di questo evento storico è ampiamente dimostrata, qualora ce ne fosse bisogno, dalle numerose controversie storiografiche che lo riguardano e dagli innumerevoli tentativi di utilizzarlo ideologicamente da più parti, compresa l’estrema destra. Nessuno però, dotato di un minimo di correttezza etica prima che storica, potrebbe a ragione appropriarsi di questa vicenda collettiva caleidoscopica caratterizzata sin da subito dalla molteplicità di influenze politiche e sensibilità differenti, in un clima di apertura, rispetto e condivisione solidale.
In questo senso risulta interessante riscoprire le riflessioni e le analisi sulla Comune operate a livello internazionale dal pensiero anarchico. Sebbene nell’immaginario collettivo anarchico l’esperimento comunardo sia stato in seguito in gran parte sostituito dalla Rivoluzione spagnola del 1936, è rimasto comunque sempre vivo l’interesse per quella che può essere considerata la prima rivoluzione fondamentalmente antistatalista e antiautoritaria:
la Comune infatti rappresenta in qualche modo una possibile prefigurazione di una nuova forma di organizzazione politica e sociale federalista, collettivista, egualitaria e internazionalista.
In realtà l’idea di una comune antiautoritaria come alternativa all’istituzione statale era presente nel pensiero anarchico già ben prima del 1871, basti pensare ad esempio alle note riflessioni di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) sul federalismo. In particolare però questo episodio rivoluzionario ha stimolato diversi tentativi di definire ciò che distinguerebbe una vera rivoluzione anarchica dal comunalismo, concentrandosi in particolare sui concetti di potere e proprietà.
Senza soffermarsi sui singoli contributi teorici, spesso poco noti anche se altamente significativi, è necessario almeno ricordare – oltre ovviamente alle opere di Michail Bakunin (1814-1876) – gli scritti di Louise Michel (1830-1905), simbolo suo malgrado della Comune di Parigi e divenuta anarchica proprio riflettendo su questa esperienza a cui rimproverava il non aver rotto del tutto con il potere politico (L. Michel, La Comune). E il noto anarchico russo Pëtr Kropotkin (1842-1921), pur guardando con ammirazione a questo tentativo rivoluzionario, sottolineava come la Comune non fosse riuscita a realizzare un’autentica e piena Rivoluzione sociale perché non era stata in grado di mettere in discussione la proprietà individuale (P. Kropotkin, Parole di un ribelle).
Sicuramente il pensiero anarchico è uscito arricchito e rafforzato dall’esperienza comunarda che, lungi dal metterne in discussione le premesse teoriche, ha favorito ancor di più lo sviluppo della visione decentrata e federalista dell’anarchismo. L’idea di una Comune non autoritaria delle comuni giungerà, per tramite dell’opera di Kropotkin, fino ad esempio a uno dei pensatori politici radicali più originali della seconda metà del Novecento, l’anarchico statunitense Murray Bookchin (1921-2006), teorico dell’ecologia sociale, il quale vedeva come unica soluzione possibile alla crisi ecologica un cambiamento radicale della società in senso municipale, federalista e libertario. Un pensiero che ha influenzato fortemente tra gli altri anche il confederalismo democratico di Abdullah Öcalan, incarcerato ormai da 22 anni.
In effetti molti sono gli aspetti interessanti presenti all’interno dell’esperimento comunardo il quale, seppur nei termini della sua epoca, ha cercato di risolvere problemi che ci attanagliano ancora oggi. Certo si tratta di anticipazioni più che di realizzazioni ma iniziare a conoscerli potrebbe aiutarci a riscoprire l’esistenza di alternative possibili all’organizzazione sociale attuale, tentando così di risvegliare un assopito immaginario popolare, libertario e rivoluzionario, oggi più che mai necessario di fronte alla devastazione ecologica e sociale in corso.
Innanzitutto, seppur solo per 72 giorni e in modo sicuramente incompleto, la Comune ha cercato di sperimentare una democrazia diretta, radicale e autentica. Una democrazia che intendeva basarsi su una cittadinanza attiva con numerose assemblee popolari di quartiere e organizzata attraverso delegati eletti con mandato imperativo e con cariche revocabili in ogni momento. Opponendosi alla delega del potere e alla burocrazia, la Comune ha provato a realizzare così una società autogestita dove le decisioni fossero realmente prese a livello collettivo e in maniera solidale.
La Comune inoltre ha proclamato la separazione dalla Chiesa; ha bloccato gli sfratti; ha ripensato il lavoro, realizzando cooperative autogestite e abolendo il lavoro notturno; ha posto le basi per un’istruzione pubblica, gratuita e laica; ha aperto al popolo biblioteche, musei, teatri e sale da concerto sostenendo la libera espressione artistica; ha lottato contro l’“ordine morale” dando un primo riconoscimento legale alla famiglia costituita fuori dal matrimonio tradizionale e soprattutto ha aperto una breccia verso l’emancipazione femminile in particolare attraverso la rivendicazione di diritti sessuali, riproduttivi e civili che andavano ovviamente ben oltre la semplice richiesta del diritto di voto e che passavano dalla apertura delle scuole e dei percorsi formativi alle bambine e alle ragazze, dalla richiesta di parità salariale all’affermazione della libertà di abbigliamento fino al diritto alla contraccezione e all’aborto.
Infine la Comune, con la sua visione di una Repubblica universale, è stata caratterizzata da un forte spirito internazionalista concretizzatosi ad esempio nell’aver dato cittadinanza a tutti i residenti stranieri in una visione cosmopolita che stride decisamente con i nostri tempi intrisi di razzismo, xenofobia e nazionalismo. La Comune anche per questo è stata definita “figlia” della Prima Internazionale ma essa è stata ed è tuttora la “madre” di nuove comuni sparse nel mondo, a partire da quella di Kronstadt del 1921 fino alle municipalità zapatiste in Messico o alle esperienze di confederalismo democratico in Rojava.
Oggi, in questi tempi così difficili, la Comune ci mostra che è possibile ripensare l’esistente, rompendo con l’individualismo e la delega in bianco a un potere centrale, recuperando pensieri e pratiche collettive e solidali, basate sull’autogestione, il mutuo appoggio e l’ascolto attento dei bisogni reali.