Università degli Studi di Milano

Il tema dei freelance o professionisti indipendenti – che si possono considerare come l’espressione del lavoro post-fordista, frutto delle trasformazioni dei processi produttivi – comincia ad acquisire un’adeguata legittimazione nel dibattito scientifico.

Dalla prospettiva socio-economica i lavoratori autonomi dientrepreneur-593358_960_720
nuova generazione si possono identificare come un ponte tra mercati interni e mercati esterni, tra strategie di internalizzazione del fattore lavoro e strategie di outsourcing, configurabile come una segmento intermedio a metà strada tra gerarchia e mercato. La forte crescita di figure professionali autonome non tradizionali, tipiche della new economy ma distribuite trasversalmente in molti settori economici, ha reso evidente che non si tratta né di un fenomeno congiunturale, né limitato al falso lavoro autonomo – da ricondursi nell’alveo del lavoro dipendente- bensì di una manifestazione strutturale e funzionale alle economie avanzate, che richiedono e impongono prestazioni flessibili di lavoro. Il primo studio europeo (Rappelli 2012) stimava che i freelance fossero 8.570.000, con una crescita dell’82% in 10 anni, a fronte di una diminuzione del resto dell’occupazione, concentrati prevalentemente in Italia (1.700.000), Regno Unito (1.601.000), Germania (1.500.000) e Francia (740.000). L’aumento di autentiche forme di “lavoro autonomo di seconda generazione”, a lungo offuscate da interpretazioni sociologiche e giuridiche distorsive ci pone di fronte in primo luogo a un problema di matrice concettuale. In base a quali criteri e parametri si definisce un freelance? Anche limitandosi al contesto italiano, entrano in gioco opinioni contrastanti che spaziano da accezioni ristrette ad altre più allargate. In chiave giuridica ad esempio l’insoddisfacente nozione italiana di “parasubordinazione”, simile a quella tedesca, faceva riferimento ai concetti di dipendenza economica, lavoro etero diretto, mono o pluri-committenza. In chiave socio-economica ci si riferisce a “autonomi senza dipendenti, che svolgono attività di natura intellettuale, nel settore dei servizi, che non operano nell’artigianato, commercio e agricoltura”. Certo esistono settori dove operano figure professionali meno qualificate, figure tecniche specializzate, ugualmente a partita IVA. Si tratta di una categoria distinta dal lavoro dipendente ma diversa anche dall’impresa. La questione ha un impatto decisivo sulla misurazione statistica del nuovo lavoro autonomo, che può variare anche in modo significativo in relazione alle definizioni adottate.

La comparazione internazionale pone quindi complessi problemi metodologici. Senza dubbio lo sviluppo di forme di lavoro indipendente non tradizionali ha sollevato nuove problematiche sociali, legate a condizioni contrattuali disequilibrate, sconosciute al precedente modello produttivo fordista. I freelance, che rappresentano gli outsiders del welfare poiché appartengono a un’area largamente abbandonata alle logiche del mercato e priva di una regolamentazione efficace, sono portatori di nuovi bisogni sociali.  Le domande riguardano sia aspetti specifici e interni alle professioni -come la deducibilità delle spese di formazione, il controllo della concorrenza, l’adeguatezza dei compensi, i tempi di pagamento, il trattamento fiscale-  sia tutele welfaristiche, di natura universale, come l’indennità di maternità, i congedi parentali, la protezione per infortuni e malattia, gli aspetti previdenziali. L’insieme di queste domande, espresse prevalentemente attraverso delle nuove e non convenzionali strutture e reti emergenti di rappresentanza (quasi-Unions), auto organizzate e di tipo mutualistico, ha posto la questione della sostenibilità sociale nell’arena politica e per la prima volta in Italia si sono ottenute delle parziali risposte (Statuto dei Lavoratori Autonomi, collegato alla riforma del lavoro 2015). Le implicazioni di policy del quadro tracciato, oggetto di un progetto europeo (I-WIRE Independent Workers and Industrial Relations in Europe) da me coordinato, sono state discusse nel tavolo dedicato a questo tema. L’orientamento emerso è duplice: arrivare a un nucleo di tutele di base non selettive, ma in grado di rispondere alle specificità del lavoro autonomo, in modo da ridurre il dualismo del mercato del lavoro; istituire nuovi strumenti di misurazione statistica più idonei a rilevare le dimensioni, le caratteristiche e le dinamiche del lavoro autonomo di nuova generazione.

Renata Semenza
Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, Università degli Studi di Milano

06/05/2016


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Leggi il riassunto del Decalogo sull’Huffington Post dal titolo Cari policy maker, ecco a voi il Decalogo della Jobless Society

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