Ricercatore Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

La posta in gioco è alta: diseguaglianze, politica e lavoro

“La disuguaglianza è una violazione della dignità umana; è la negazione della possibilità che ciascuno possa sviluppare le proprie capacità. Prende molte forme e ha molte conseguenze. Non è solo questione delle dimensioni del proprio portafoglio. È un ordinamento socio-culturale che riduce le capacità, il rispetto e il senso di sé, così come le risorse per partecipare pienamente alla vita sociale”.

Come spiega il sociologo Goran Therbon nel suo libro The killing Fields of 9780745662589_0_0_300_80Inequality (2013), quello della disuguaglianza è un fenomeno complesso che impatta in modo diverso sulla vita degli individui, influenzando direttamente la struttura socio-economico delle comunità in cui tale fenomeno si manifesta. Analizzare il fenomeno delle disuguaglianze significa dunque adottare una visione olistica capace di tenere in considerazione le diverse forme di iniquità.

Negli ultimi anni, la crescente attenzione in merito alle disuguaglianze economiche tra aggregati di popolazione, sta mettendo in seria difficoltà le “formule di gestione” dei sistemi economici politici, nazionali e globali (figura 1).

Nonostante diverse ricerche che, aggregando dati di misurazione del benessere, sembrano mostrare la crescita in termini di libertà e sviluppo economico (Our World in Data, 2017), la percezione generale su cosa i sistemi politici potrebbero fare in merito alle diseguaglianze è diventata molto grande, derivante principalmente dalla forte crisi occupazionale che in molti settori economici stiamo vivendo, in Italia e nel Mondo. Una crisi nelle condizioni di lavoro che genera a sua volta forti conflittualità sociali, instabilità economica e politica, allargando il consenso delle agende di stampo populista e sovranista.

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Fonte: caixabankresearch.com

In questo dibattito, con il saggio “Il prezzo della disuguaglianza” Joseph E.Stiglitz ha sostenuto nel 2013 la posizione che gli interessi consolidati di una piccola parte di popolazione (che egli chiama «società dell’1%») hanno prevaricato quelli di un’ampia fetta della popolazione (per contro il 99% della società), soffocando il capitalismo dinamico e aumentando la forbice di divario sociale tra la popolazione.

La posta in gioco è alta, essendo la disuguaglianza il prezzo di un sistema economico meno stabile e meno efficiente, con meno crescita, il quale a sua volta contribuisce ad alimentare la disuguaglianza in un circolo vizioso.

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Fonte: weforum.org

La disuguaglianza tecnologica come vera sfida del futuro: ripensare le competenze

Tra le diverse iniquità osservate, merita una particolare attenzione il ruolo della tecnologia, essendo la società alle prese con la quarta rivoluzione industriale. Il “capitale tecnologico” non è solo un tema di hardware (finanza, infrastrutture, macchinari) ma soprattutto del software (competenze, linguaggi, significati) necessario ad affrontare le sfide del “futuro del lavoro”.

In breve: se un giorno le macchine dovessero produrre tutto quello di cui abbiamo bisogno, il bagaglio di competenze che ne attivano le funzioni sarà il vero capitale su cui le istituzioni dovranno investire, per redistribuire i vantaggi che queste apportano e ridurre le disuguaglianze. Concetto valido su questo tema specifico ma che, come fa notare l’economista Luca Ricolfi, è valido come possibile interpretazione generale nelle misure contrasto delle diseguaglianze.

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Le fonti di questo fenomeno di divario sociale sono molteplici: alcuni si concentrano sul rapporto esistente tra i cambiamenti tecnologici e il livello di qualificazione della forza lavoro, il cosiddetto skill-biased technological change, che genera fenomeni di polarizzazione nel mercato del lavoro; altri chiamano in causa soprattutto fattori sociali come l’indebolimento dei sindacati o il cedimento delle norme sociali sui limiti delle retribuzioni manageriali; altri ancora puntato il dito sulla globalizzazione degli scambi (il movimento di beni e servizi) e del capitale, ovvero la liberalizzazione finanziaria.

Da un punto di vista economico le innovazioni tecnologiche generano differenziali salariali, polarizzando il mercato del lavoro. L’importanza delle digital skills riflette già i ritorni salariali più elevati di queste competenze rispetto a lavori a basso contenuto di conoscenza (come sostiene OECD; vedi figura in basso).

Fonte: Oecdskillsandwork.wordpress.com

A livello sociale invece, vi è ancora incertezza sull’impatto dell’automazione nel mercato del lavoro.

Tra scenari apocalittici di perdite di milioni di posti di lavoro e scenari più ottimistici (di cui NESTA ne propone una sintesi) la vera questione socio-economica di fondo è che lo scenario che si sta delineando: (1) non segue una logica incrementale di sviluppo economico ed occupazionale (2) mette in crisi la capacità di riorganizzare le competenze utili a sostenerlo.

In questo senso le politiche pubbliche devono ripensare competenze e soluzioni utili ad indirizzare nuovi modelli formativi, formali e informali, capaci di costruire nuovi bagagli di competenze in grado di soddisfare la domanda di lavoro dell’era digitale, in una logica di lifelong learning.

Welfare e riorganizzazione delle public policy nella rivoluzione 4.0: alcune riflessioni

Possibili risposte alle disuguaglianze tecnologiche si riflettono in differenti soluzioni che sono al centro dell’attuale dibattito pubblico, ripercorribili in questo articolo di secondi percorsi di welfare sulla “care economy”.

Alcuni hanno invocato forme pubbliche di regolazione, come tassazione dei robot e come enforcement delle regole rivolte a garanzia della qualità del lavoro, volte ad imporre un freno al processo di sostituzione degli umani con le macchine.

Altri hanno argomentato contro le forme di mitigazione dell’impatto della adam_ristrutturazione del mondo del lavoro mediante meccanismi di redistribuzione del reddito, misura che riguarda la sfera riflessiva della morale più che quella economica, in linea con quanto afferma Adam Smith.

Un terzo gruppo è a favore di un reddito di cittadinanza, altri ancora di introdurre degli schemi di profit sharing a partire da nuove forme di proprietà degli strumenti di innovazione tecnologica, per redistribuire l’automation dividend tra coloro che vengono minacciati dall’automazione.

Tuttavia, nonostante le soluzioni proposte quello che emerge è che la riflessione sia ancora agli inizi e serva ancora un lungo processo di creazione dell’infrastruttura cognitiva (più che regolativa e istituzionale) per supportare questo processo epocale di transizione, prima sociale che tecnologico. Nella ricerca di soluzioni rispetto al rapporto tra politiche pubbliche e competenze utili a ridurre le diseguaglianze, la triplice riflessione che proponiamo riguarda tre linee di lavoro:


Primo.
Riconsiderare il costrutto antropologico del concetto “lavoro”: tutti gli attori e stakeholder che giocano un ruolo attivo nel mercato del lavoro sono chiamati ad analizzare la natura del lavoro del futuro a partire dai cambiamenti indotti dalla stessa tecnologia a livello di nuove competenze, altri luoghi produttivi e nuovi diritti. Non solo, riflettere su tale tematica significa anche tenere a mente i progressi che la tecnologia sta avendo in altri campi, ad esempio quello della salute, per comprendere come i nostri percorsi di vita potranno in futuro evolvere e dunque la nostra abitudine al lavoro. Con la tecnologia che sta dilatando l’aspettativa di vita degli esseri umani è probabile che in un futuro non molto lontano, a noi sconosciuto, inizieremo a passare da modelli di vita lineari— nasciamo, andiamo a scuola, facciamo parte della forza lavoro, andiamo in pensione, e alla fine, moriamo — a modelli di vita ciclici in cui “siamo impegnati ad imparare, a lavorare, a goderci il tempo libero in un ciclo che si ripete” per tutta la nostra vita (come prospettato in questo articolo di businessinsider.com )


Secondo
. Promuovere un’innovazione aperta, inclusiva e sostenibile: le istituzioni devono ampliare le formule di sperimentazione e co-produzione di pratiche e politiche abilitanti: promuovendo la connessione tra tecnologie e nuovi modelli d’impresa, cosi come formule di finanza sostenibile (capitali pazienti) ed innovazione sociale nella produzione di beni e servizi tradizionali. Questa sfida impone la ricerca di un azione congiunta tra diversi attori per trovare soluzioni efficienti, abilitando ecosistemi competenti utili a contrastare “dal basso” le disparità sociali, coinvolgendo le diverse componenti della nostra società, sviluppando un mercato del lavoro competitivo e flessibile che accolga le repentine innovazioni socio-culturali che il nuovo scenario genera. Alla prospettiva di un mondo sempre più tecnologico non può corrispondere un mondo di disoccupazione (come molti analisti tendono a delineare). Policy maker, regolatori ed   operatori privati condividono dunque la responsabilità nel promuovere nuove economie capaci di rigenerare le capacità di imprese e lavoratori, creando nuovi prodotti e servizi sostenibili, promuovendo comportamenti utili a massimizzare benefici sistemici e forme virtuose di interazione sociale.

Terzo. L’utilizzo di tecnologie per supportare le decisioni e il design dei servizi: le istituzioni devono utilizzare le tecnologie per migliorare la connessione e lo scambio con le persone, adottando servizi capaci di recepire la user experience ed attivare meccanisti di risposta. Rispetto a questo tema, il digital divide è il maggiore problema e la necessita di politiche utili ad abilitare le competenze dei cittadini una sfida con cui confrontarsi. L’esempio della Svizzera (una delle economie più competitive al mondo secondo WEF) è uno dei più rappresentativi rispetto alla capacità di promuovere la democrazia diretta. In questo senso le istituzioni diventano una piattaforma e non un’agenzia, abilitando soluzioni capaci di indirizzare i servizi laddove le esigenze vengono manifestate. La ricerca delle soluzioni relative alle tematiche sopra citate non è certamente compito facile, ma può trovare risposta attraverso un nuovo patto di cittadinanza, dove le istituzioni e la società intera possano condividere diritti, competenze e soluzioni per disegnare assieme  un futuro equo e sostenibile per tutti.

di Andrea Zucca e Luca Tricarico

Andrea Zucca è ricercatore dell’area Futuro del lavoro
Luca Tricarico è ricercatore dell’area Globalizzazione e sostenibilità


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