Presidente onorario Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Qui di seguito pubblichiamo un estratto dal libro di S. Veca, Qualcosa di sinistra, Milano, Feltrinelli, 2019, pp. 145-150.


Ora mi propongo di illustrare alcuni impor­tanti aspetti dell’idea di sviluppo sostenibile. In primo luogo, il suo carattere di approccio analitico che si ba­sa sulla connessione fra dimensione sociale, economi­ca, ambientale e culturale. Come vedremo, una con­nessione sottolineata con forza nell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. In secondo luogo, il suo caratte­re di idea normativa che si basa sulla nozione di quali­tà della vita e di dignità delle persone, chiunque siano e ovunque siano. Sono convinto che la qualità di vita delle persone abbia più di una dimensione e richieda un approccio intrinsecamente pluralistico. In questo senso preciso, esaminando la dinamica delle ricer­che sulla sostenibilità, siamo indotti a riconoscerne i molti volti. Sono anche convinto che l’idea di sviluppo sostenibile sia una tessera decisiva del mosaico della cultura politica di una sinistra da ventunesimo secolo.

Ora,  uno dei  temi dominanti  nelle pagine dell’en­ciclica  Laudato  si’ coincide con la convinzione  che “tutto nel mondo è intimamente connesso”. Confesso che è difficile sfuggire al fascino morale e intellettuale dell’enciclica. Papa Francesco lancia una sfida a chiunque, credente o non credente, condivida la sorte dei coinquilini del pianeta. Della casa comune. Un pianeta esposto al saccheggio, allo scarto e allo spre­co, alle manovre e alle culture predatorie di poteri e istituzioni che scippano futuro comune. Un pianeta che non è intrinsecamente nostro. Un mondo di natu­ra e cultura che non abbiamo ereditato dai nostri pa­dri, ma abbiamo preso in prestito dai nostri figli, co­me ci ricorda una massima di saggezza amerindia cui papa Francesco è molto affezionato (si parva licet, come ho già detto, lo sono anch’io). In una prospetti­ va teologica, “la terra ci precede e ci è stata data”. Di qui, la nostra responsabilità di custodia e coltivazione del “giardino del mondo”. La sfida è radicale e la grammatica dell’enciclica ecologica e sociale è quella della “semplicità”.

Ma torniamo al tema dominante secondo cui “tutto nel mondo è intimamente connesso”. Nel capitolo quar­to, Un’ecologia integrale, e nei primi paragrafi del quin­to capitolo, Alcune linee di orientamento e di azione, l’a­nalisi delle connessioni si articola in un esame delle differenti dimensioni della sostenibilità e delle loro in­terazioni. Il riferimento ai documenti sullo sviluppo so­stenibile via via discussi e approvati in sede Onu divie­ne preminente e si ha l’impressione che gli impegni normativi di papa Francesco siano strettamente legati alle prospettive elaborate nell’ambito delle ricerche economiche, politiche e sociali al centro della recente discussione internazionale sulla sostenibilità.

Il paradigma della sostenibilità

Si consideri, in proposito, un contributo influente come quello di Jeffrey D. Sachs, L’era dello sviluppo sostenibile.  Sachs  sostiene  che, in quanto approccioanalitico, quello dello sviluppo sostenibile mira a comprendere il senso delle interazioni fra sistemi complessi quali l’economia globale, la società mon­diale e l’ambiente naturale. In quanto idea normativa, quella di sviluppo sostenibile raccomanda un insieme di obiettivi cui  dovremmo  aspirare come coinquilini della ” casa comune” .

In senso etico, “lo sviluppo sostenibile auspica che nel mondo il progresso economico abbia la più ampia diffusione; che la povertà estrema sia eliminata; che la solidarietà sociale sia incoraggiata mediante politi­che volte  a rafforzare il sentimento comunitario;  che l’ambiente venga protetto dal degrado provocato  dal­le attività umane. Si noti che lo sviluppo sostenibile propone un quadro olistico in cui la società punta a obiettivi economici, sociali e ambientali”.

Ora, sappiamo che l’idea di sviluppo sostenibile ri­sale almeno al celebre Rapporto della Commissione Brundtland del 1987. Nel Rapporto Brundtland la so­stenibilità riguardava il livello di benessere delle per­sone su un orizzonte temporale esteso: è sostenibile lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri. L’idea stessa di sostenibilità è sta­ta approfondita nel tempo con l’introduzione di una pluralità di dimensioni e di indicatori. Basta pensare agli esiti del Summit sulla Terra di Rio (1992), al Summit dell’Onu sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (2002), in cui si individuano le connessioni fra dimensioni economiche, sociali e ambientali; al Rio più Venti (2012) in cui l’Assemblea generale dell’Onu preserva e arricchisce l’approccio multidi­mensionale alla sostenibilità per ”The Future We Want”, sino alla definizione dei diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile nel settembre 2015.

E si consideri, d’altra parte, come a partire dagli anni  novanta  del secolo  scorso la  ricerca  sulla questione centrale della qualità di vita per persone assu­ma come fondamentale una prospettiva incentrata sull’essenziale varietà delle sue dimensioni. Basti pensare,  ancora  una  volta,  ai  lavori  pionieristici di Amartya  Sen,  al classico The  Quality of Life (1993), curato da Sene Martha Nussbaum, alle idee centrali dell’approccio delle capacità, all’adozione di un pa­niere di criteri valutativi e di indicatori dello sviluppo come sviluppo umano, al centro di Undp.

La tensione fra breve e lungo termine

Ora, la riflessione teorica e le pratiche che mirano allo sviluppo sostenibile presuppongono che sia sod­disfatta una condizione previa ed elementare: che le scelte, le politiche, le pratiche e le condotte sfuggano alla trappola del breve termine, estendendo l’ombra del futuro sul presente. La stessa questione dei diritti delle generazioni future, cui l’enciclica si riferisce con forza, non può essere neppure formulata se non è soddisfatta la condizione previa. Questa tensione fra breve e lungo termine è certamente presente nella Laudato si’. E ha ragione papa Francesco quando af­ferma che “le questioni ambientali sono state sempre più presenti nell’agenda pubblica e sono diventate un invito a pensare a lungo termine”.

L’ossessione del breve termine pervade larga parte dell’economia, certamente larghissima parte dell’eco­nomia finanziaria, della politica e della tecnologia. Se l’interesse percepito per le persone o per le imprese o per le agenzie politiche e sociali è l’interesse “imme­diato”, allora l’idea stessa di sostenibilità collassa. E chi si ammanta, nel discorso pubblico, del riferimen­to o della dichiarazione di responsabilità nei confron­ti dello sviluppo sostenibile o mente o si contraddice. Punto e basta. La nozione stessa di sostenibilità pre­ suppone che l’orizzonte temporale delle nostre scelte qui e ora sia esteso. Che l’ombra del futuro si estenda, quanto più è possibile, sul nostro presente. Ha ragio­ne papa Francesco quando ci chiede, a livello di go­vernance globale, di rispondere all’invito permanente a pensare a lungo termine. E ha ragione quando ci parla del “dramma di una politica focalizzata sui ri­sultati immediati” e quando denuncia esplicitamente il prevalere dell’interesse economico immediato, del­ la priorità pervasiva del breve termine, del mercato divinizzato e senza regole, del feticismo del denaro che genera più denaro.

L’estensione temporale dell’ombra del futuro sul presente va insieme all’estensione spaziale dello sguar­do, all’adozione degli occhi del “resto dell’umanità”. Contraete, sino allo spasimo, i varchi del futuro e non avrete null’altro da guardare che un “noi” claustrofi­liaco, in guerra virtuale o reale con altri “noi” tribali. Altro che famiglia umana e umanità condivisa! La ca­sa comune diventa terra desolata, e la terra desolata, ridotta a un “immenso deposito di immondizia”, as­sume l’aspetto spettrale di un teatro in cui sulla scena illuminata si aggirano i pochi potenti di mezzi e, nella penombra, scorgiamo a fatica i molti, i moltissimi coinquilini della casa comune che vivono vite di scar­to. Ancora una volta, uno dei principi base dell’enci­clica mi sembra essere quello della connessione e del­ la relazione fra le cose. Ed è per questo che la conversione a una prospettiva ecologica integrale implica un genuino impegno per la giustizia come equità glo­bale. Solo estendendo l’ombra del futuro sul presente e praticando la virtù esigente della lungimiranza, pos­siamo pensare alla governance del paniere dei beni comuni globali e ai minima moralia d’umanità nella casa comune. In tempi molto difficili.

L’invito chiama  in causa i rapporti fra economia, politica, scienza; tecnica e società in un contesto glo­bale in cui poteri sociali si impongono su decrescenti poteri  politici  e  istituzioni  efficaci  di  una governance globale dei beni comuni sembrano esigere un ridise­gno e un processo di riforma incisiva delle organizza­zioni internazionali, a partire proprio dalle Nazioni Unite, sullo sfondo di incerte transizioni. Tuttavia, pensare a lungo termine non presuppone una singola prospettiva di valore, connessa a una “conversione ecologica”. Presuppone un’essenziale pluralità di pro­spettive e un esercizio tenace della difficile arte di in­dividuare punti d’equilibrio instabili e provvisori, tra­de off ragionevolmente accettabili fra interessi e valori divergenti e confligenti nella “casa comune”. E, soprattutto,   pensare  a  lungo  termine  presuppone la

persistenza nel tempo di uno spazio pubblico globale cui abbia accesso, con eguale dignità, ogni voce. La voce eloquente e influente dell’autore di Laudato si’ come ogni altra voce, nella pluralità e  nell’inevitabile dissonanza.

Per estendere, per quanto è possibile, passo dopo passo, l’area del consenso per intersezione sulle di­mensioni plurali della sostenibilità e dello sviluppo umano.

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