Il Sessantotto è stato una temperie culturale e politica che ha spazzato gli angoli più diversi del globo, tanto da configurarsi come uno snodo storico di una World History, forse un passaggio chiave per percepire nella mentalità collettiva la dimensione globale assunta da sfide, problemi e interconnessioni che caratterizzano le società contemporanee.
Guardando ai tratti comuni di un fenomeno che, come si vedrà sulla base dei documenti presentati, è plurale, si potrebbe parlare di cosmopolitismo della contestazione dell’autorità, su tutti i piani.
Sulla base di una mobilitazione permanente e continua le contestazioni del Sessantotto si sono sostanziate innanzitutto come una rottura delle catene di trasmissione generazionale sulla base della rivendicazione di identità diverse rispetto ai contesti di appartenenza rappresentati dalla generazione adulta, con le sue tradizioni, i suoi costumi, la sua etica, le sue istituzioni.
Usa: “Rat”, 8-21 May 1970, cover
Scarica la fonte tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Siamo di fronte a nuove generazioni, cresciute in un contesto di maggior o crescente benessere rispetto a quello sperimentato dai padri nella loro giovinezza, che, proprio per questo, aspirano a qualcosa di più e di diverso e percepiscono come ormai insopportabili disuguaglianze, promesse non mantenute e costrizioni incarnate nei contesti sociali, culturali e politici nei quali iniziano a muovere i loro passi coscientemente.
In linea generale quello del 1968 è un movimento di trasgressione delle regole e di richieste di altri modi di vivere e di convivere. Un movimento composto principalmente da giovani, che non si integrano passivamente nel mondo dei padri.
Questo spiega la rottura di tabù e convenzioni, che ha rappresentato anche una rivoluzione sul piano dei costumi e dell’etica. Come ricorda la curatrice dell’Annale Memory in Movements: 1968 in 2018, Donatella della Porta, non di solo costume e di etica però si tratta. Ma di una critica profonda, irriverente e radicale, alla società, ai suoi equilibri (o disequilibri), di una rivendicazione di giustizia sociale e di riconoscimento di identità collettive alternative.
Guardando al fenomeno più in profondità, non può però che emergere il peso esercitato dai contesti di origine diversa in cui i vari movimenti insorgono dando luogo a una contestazione che sarebbe opportuno declinare al plurale, sia per comprendere il concreto sorgere e operare del movimento contestativo nelle specifiche realtà di riferimento, sia per cogliere la ricchezza di istanze presenti nei suoi differenti rivoli, sia, ancora, per poterne comprendere le conseguenze e le eredità.
Infatti, se alcuni dei tratti che caratterizzano l’ondata contestativa del Sessantotto internazionale sono comuni alle diverse realtà (peso dell’elemento giovanile che si afferma come soggetto; difficoltà di comunicazione inter-generazionale; ondata contestativa come «presa di parola» di soggetti che si sentono esclusi o ai margini e che con le loro rivendicazioni irrompono sulla scena della storia con la loro richiesta di riconoscimento) e vengono mutuate in una sorta di comunanza internazionalista, altre ancora differiscono profondamente per origine e traiettoria.
Un fenomeno che riletto a distanza di cinquant’anni si presenta come un momento di allargamento dei diritti e, quindi, dello spazio di cittadinanza sull’onda delle vertenze e delle rivendicazioni manifestate. Un’occasione a volte colta, a volte no. Ma che comunque ha contribuito, per il suo stesso manifestarsi nel campo delle possibilità, a cambiare la nostra contemporaneità e a lasciare tracce e conseguenze (spesso involontarie o non pronosticabili) nelle società che ne sono state investite.
Ramparts, aprile 1969