Pedagogista

Si propone qui un estratto del testo di Mario Lodi “Scuola come liberazione” pubblicato su “Quaderni in Corea”, terza serie, n.4, 1971, pp.5-10, tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

 

Una delle tecniche della scuola autoritaria che per prime decidemmo di eliminare fu il tema.

Analizzando criticamente il tema, tecnica ancora oggi molto diffusa, ci accorgemmo della sua funzione precisa in una scuola autoritaria: nel momento stesso in cui insegnavamo al bambino a leggere e a scrivere, gli dicevamo che cosa doveva leggere (sul libro) e scrivere (col tema). Studiando i temi dei bambini e confrontandoli con quelli di diverse scolaresche, notammo una cosa molto semplice e significativa: che quando l’argomento che noi imponevamo di trattare col tema si si avvicinava all’esperienza dei bambini, questi avevano molte cose da raccontare e lo facevano con vivacità e ricchezza di particolari. Quando invece l’argomento era lontano dalla loro esperienza, essi racimolavano le poche idee che avevano, inventavano, si arrangiavano e ne veniva solito tema scarso d’idee, sconclusionato, da quattro.

Da questa constatazione venne la domanda naturale: se quando ci avviciniamo al suo mondo il bambino ha idee e racconta con ricchezza di particolari, perché non partiamo sempre dalla sua vita? Così il bambino viene messo al centro della scuola, operando la rivoluzione copernicana della scuola al servizio dell’uomo.

 

 

La revisione di tutta la didattica tradizionale

 Fu l’inizio di una revisione a catena di tutti gli altri aspetti della didattica tradizionale. Mentre prima il bambino a scuola imparava sin dal primo giorno che il maestro che stava dietro la cattedra era una persona che aveva il sapere di trasmettere e alla quale si doveva ubbidire e dalla quale si prendeva il premio o il castigo a secondo del suo comportamento e delle risposte, ora il bambino era lì davanti a noi soggetto dell’educazione, individuo da liberare.

Ma valorizzare le sue attitudini, partire da lui, significava cambiare nell’aula tutto: il nostro rapporto con lui, l’orario, la distribuzione delle attività nello spazio e nel tempo, gli stessi programmi. Per liberarlo bisognava metterlo in condizioni di parlare, e per farlo parlare bisognava toglierli qualsiasi timore, perché se il bambino ha paura di qualche cosa, se non si sente completante libero, la chiave se la tiene lui gelosamente custodita e noi non possiamo né carpirgliela né strappargliela: soltanto lui ce la può consegnare quando si fida di noi, quando capisce che noi siamo lì per aiutarlo a vivere in libertà.

La sostituzione del tema con il testo libero (che il bambino dice o scrive o disegna quando ha qualcosa da comunicare agli altri di particolare significato, da non confondere quindi con il tema libero, che l’alunno è obbligato a scrivere quando vuole il maestro, anche se non ha nulla da dire) porta naturalmente i bambini a esprimersi, a discutere, a rivelarsi per quel che sono, a mostrare i loro condizionamenti e le loro attitudini.

 

 

I nuovi problemi di una scuola nuova

 Da qui nascono problemi di organizzazione. Si tratta di dare una nuova organizzazione alla scuola, la quale non risulta più strutturata secondo i soliti programmi fondati sulle materie di studio, e stabiliti dall’insegnante, ma sugli argomenti che i bambini portano in classe e che si riferiscono alla vita familiare e sociale. Da questi argomenti non possono non nascere dei problemi.

Dal testo libero si passa naturalmente a un’altra tecnica, che permette alla comunità di approfondire sulla realtà i problemi: la ricerca. (Da non confondere con la cosiddetta la ricerca sulle enciclopedie, ancora in uso in molte scuole italiane, che si risolve in un esercizio di copiatura di notizie). La ricerca è una tecnica fondamentale per la formazione della mentalità critica. Nessun l’insegnante l’ha imparata perché l’Istituto magistrale si studia solo sui libri. Essa non può essere accettata dall’insegnante borghese perché il problema che viene dall’ambiente che non si trova sui libri, fa parte del presente e siamo noi che dobbiamo scoprirlo, e può essere pericoloso per chi vuole scoprire la realtà.  La ricerca “sul campo” porta alla raccolta di dati, alla loro lettura e interpretazione, alla loro visualizzazione per mezzo di grafici, alle ipotesi e alle verifiche, a un complesso di attività che sviluppano la capacita critica.

Ciò contrasta con quanto si apprende nella scuola di tipo tradizionale, dove si esercita in primo luogo la memoria, e dove ciò che si impara è accuratamente prefissato da programmi che escludono la realtà ambientale nella sua globalità dinamica. È naturale che ciò avvenga da parte della scuola di classe: infatti in una società come la nostra (ma il discorso potrebbe valere per tutti i tipi di società) fondata sul profitto e quindi sulle disuguaglianze sociali, da qualsiasi problema del presente la nostra ricerca prende l’avvio, si arriva alle contraddizioni della società. Quando a scuola vengono portati e discussi e sviscerati i problemi del nostro tempo, il bambino comincia a prendere la coscienza del mondo in cui vive e ad agire di conseguenza, a operare delle scelte, perché la ricerca non è fatta per fotografare la realtà, ma per rilevare le contraddizioni dell’ambiente sociale e ricercare con quali strumenti gli uomini possono superare. E’ un tipo di lavoro attivizzante che stimola il ragionamento e la presa di coscienza morale, e fa pervenire gli alunni a risultati sempre provvisori, ma reali, ricavati dall’esperienza.

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