La produzione di rappresentazioni e di narrazioni finora à stata messa in ombra da una ideologia del progresso visto solo come sviluppo tecnologico ed economico, ma in realtà le narrazioni hanno sempre avuto un ruolo portante nello sviluppo delle società occidentali tanto da generare anche i mostri che hanno percorso il ventesimo secolo e che sono infelicemente approdati anche nel ventunesimo secolo. Le strutture materiali e quelle sociali non sono state in grado di opporre nulla alla diffusione di narrazioni false, bugiarde ma capaci di soddisfare pulsioni tanto diffuse quanto primitive.
Dal nostro punto di vista il lavoro educativo con le nuove generazioni comincia da qui: dal produrre una rappresentazione del mondo ed una narrazione che dia senso alla vita dei giovani. Una conquista importante del pensiero psicologico ed antropologico è che le diverse età giovanili non rappresentino solo una preparazione alla fase adulta, ma età da vivere pienamente, età in cui è possibile sperimentarsi senza alcuna ansia utilitaria. Una società è abbastanza sociale, abbastanza solidale quando riesce a garantire ai giovani la possibilità di essere se stessi, di centrare la propria vita sulla sperimentalità agita piuttosto che su una finalizzazione precostituita.
La condizione dei giovani emarginati, dei giovani che vivono il ghetto, è di vedere un destino chiuso, di avere una rappresentazione del mondo e di sé che è senza libertà, senza speranza.
2017. Manifestazione
Il concetto di riscatto sociale in genere viene declinato come la possibilità di effettuare una scalata sociale, di disporre della scuola come ‘ascensore sociale’, e quando questo non si può realizzare ai giovani non abbiamo più nulla da dire.
Riscatto sociale nella dimensione educativa significa uscire fuori da pensieri coatti; potersi pensare in un progetto, in un futuro. Ciò che deve fare l’educatore è aiutare la mente della giovane persona ad uscire fuori dal ghetto, offrirgli esperienze di buone relazioni, aiutarlo nell’accesso alle proprie risorse interiori.
In secondo luogo occorre ridefinire le mete individuali dell’educazione: l’autonomia? L’idea di autonomia che passa è quella dell’individuo padrone di una posizione sociale che gli consente di risolvere ogni problema senza dipendere da nessuno. Al contrario in una società accogliente dovrebbe svilupparsi l’idea che è autonoma la persona che è al centro di una rete di relazioni che la sostengono, mentre essa stessa contribuisce a sostenere altre persone. Autonomia e comunità non sono in opposizione ma parte di un unico processo di crescita della persona e della socialità.
I luoghi della crescita personale devono quindi essere caratterizzati dall’esistenza di una rete ricca di relazioni che costituiscono una comunità capace di produrre una narrazione significativa, che apra per le giovani menti gli spazi di libertà che derivano dal prendere possesso di sé.
Le attività educative devono essere caratterizzate non dall’offerta di un ‘servizio’, ma dalla partecipazione, ossia dalla condivisione della progettazione e della realizzazione di una impresa comune, ed è un’impresa comune far crescere le capacità di cooperazione sociale e le capacità mentali di ciascuno per mettersi in grado di affrontare le incognite di un sapere aperto, di una società iper-complessa.