Università degli studi di Milano
 Il Contesto

Dopo la pandemia e le forti carenze emerse nella medicina territoriale, il PNRR e il Decreto Ministeriale 77 del 23 maggio 2022 hanno disegnato una riforma delle “cure primarie” e dell’assistenza territoriale e domiciliare, basata su tre innovazioni principali, da attuare entro la metà del 2026:

  • la creazione delle Case della Comunità (CdC), quale strutture multiprofessionali in cui operano medici di medicina generale (MMG, i medici di famiglia), pediatri di libera scelta (PLS), medici specialisti, infermieri (cosiddetti “infermieri di famiglia e di comunità”), altri professionisti sanitari e assistenti sociali. Nelle CdC, l’assistenza deve essere garantita per 12 o 24 ore al giorno. Otre a farsi visitare da un MMG, i cittadini possono effettuare esami, visite e cure specialistiche ed avere un primo accesso ai servizi sociali;
  • l’attivazione delle Centrali Operative Territoriali (COT), con il compito di coordinare le cure domiciliari, per le quali si prevede un forte potenziamento su scala nazionale, in modo da assistere complessivamente il 10% degli ultra sessantacinquenni mediante Assistenza Domiciliare Integrata (ADI):
  • la costituzione degli Ospedali di Comunità (OdC), gestiti prevalentemente da infermieri e destinati a ricoveri brevi di pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica.

In Lombardia la legge regionale 22 del dicembre 2021 e le successive deliberazioni regionali hanno recepito tali disposizioni, prevedendo la realizzazione di 216 CdC, 104 COT e 71 Ospedali di Comunità, prevalentemente con i fondi del PNRR. Se prendiamo l’innovazione più forte nel sistema lombardo, ossia le CdC, consultando il sito web della Regione risultano a tutt’oggi inaugurate 90 CdC, con una forte accelerazione negli ultimi mesi. Al momento molte CdC assomigliano agli ambulatori preesistenti: la scelta della Regione è stata quella di aprire prima possibile le strutture, per poi dotarle gradualmente dei nuovi servizi.

I programmi

Abbiamo confrontato i programmi elettorali dei tre principali candidati alla Presidenza della Regione Lombardia, per comprendere quali indirizzi vogliano portare avanti in un campo cruciale come quello dell’assistenza territoriale, nel prossimo quinquennio.

Tutti e tre i candidati dichiarano di volere proseguire e completare il programma di attivazione di CdC, COT e OdC. Allo stesso modo, tutti sembrano ispirarsi all’approccio “One health” nelle politiche per la salute e manifestano una certa attenzione per la prevenzione. Non mancano però le differenze sia nelle priorità generali, sia su temi specifici.

Quale priorità

Nella sua proposta, Fontana sembra dare priorità allo sviluppo dell’assistenza domiciliare, anche mediante i sistemi di telemedicina, più che ai servizi territoriali in quanto tali. Il primo punto del programma sulla sanità è intitolato “sistema sociosanitario a casa del cittadino”, indica che la casa debba “diventare il luogo di cura e di assistenza domiciliare, da cui eventualmente indirizzare il paziente alle strutture della sanità territoriale e ospedaliere”, per poi ricordare l’obiettivo PNRR del 10% di assistiti in ADI (obiettivo citato anche da Moratti). Per la Lombardia ciò significherebbe raddoppiare il numero di pazienti gestiti rispetto al 2019-20. Moratti attribuisce maggiore spazio e risalto alle questioni relative alla valorizzazione e al reclutamento del personale sanitario. Majorino pone l’attenzione prima di tutto sulla revisione dell’organizzazione e della governance del sistema sanitario lombardo, quale premessa agli interventi settoriali e tematici, inclusi quelli relativa alla sanità territoriale.

 

Il personale

Una criticità centrale della nuova assistenza territoriale sarà probabilmente quella della carenza di personale, di cui il PNRR non si occupa. Tutti i candidati paiono consapevoli dell’esistenza del problema. Tutti dichiarano di voler “valorizzare” il personale sanitario, incentivare le forme associative di MMG e PLS (medicine di gruppo, Aggregazioni Funzionali Territoriali o AFT) e l’assunzione di personale ad essi dedicato (amministrativi e infermieri). Esistono però accenti e anche proposte diverse.

Fontana vuole istituire un programma straordinario di assunzioni di MMG e PLS, per garantire l’accesso ai servizi per 24 ore e 7 giorni alla settimana, con incentivi per le aree più disagiate; un programma di formazione per specialisti e ospedalieri, anche per l’ADI; un piano per la formazione e il reclutamento degli specialisti in psichiatria.

Moratti intende pianificare gli orari delle AFT in modo da renderle accessibili 24 ore su 24 e 7 giorni su 7; affidare a MMG, PLS e personale infermieristico l’esecuzione di alcune prestazioni ambulatoriali; stabilire, previo accordo con le rappresentanze sindacali, l’obbligo per i medici specialisti, durante almeno i primi cinque anni di esercizio della professione, di prestare servizio almeno in parte presso le strutture di cura a bassa e media intensità (come gli OdC). Viene poi indicata come priorità la definizione di un nuovo accordo sindacale con MMG e PLS, finalizzato, tra le altre cose. ad espandere la formazione universitaria e le borse di specializzazione per MMG e PLS.

Majorino propone “un piano pluriennale per garantire un equilibrato ricambio generazionale di specialisti medici e medici di famiglia” e un’azione per aumentare il tasso di studenti che arrivano alla laurea infermieristica (oggi al 75%). Il suo programma pone un’attenzione peculiare alle professioni sanitarie in senso ampio (infermieri, ma anche altre professioni come radiologi, fisioterapisti ed educatori), suggerendo anche la costituzione di un Dipartimento delle professioni sanitarie all’interno della Direzione generale Welfare della Regione.

Resta per lo più non precisata, nei programmi, la spinosa questione del rapporto tra MMG e PLS quali professionisti indipendenti convenzionati con il SSN, da un lato, e CdC e distretti sanitari delle ASST pubbliche, dall’altra.

Pubblico e privato

Nella nuova sanità territoriale, Fontana e Moratti tendono a confermare il rapporto tra pubblico e privato tipico del modello sanitario lombardo, orientato alla libertà di scelta della struttura di cura e alla sussidiarietà. Fontana sottolinea l’importanza della collaborazione pubblico-privato anche per l’abbattimento delle liste di attesa, incluse quelle delle prestazioni di diagnostica territoriale; prevede la presenza delle “associazioni” all’interno delle CdC; intende rilanciare il sistema di presa in carico dei pazienti cronici, anche con la valorizzazione delle cooperative dei MMG.

Moratti dichiara che, per quanto la gestione delle CdC dovrebbe essere in via prioritaria pubblica, si può valutare l’adozione di “un sistema di accreditamento per la loro gestione da parte di erogatori privati secondo criteri stringenti di qualità dell’offerta e orientamento al servizio pubblico”. Il contributo dei privati deve continuare ad essere pienamente valorizzato nel sistema lombardo, anche se occorre indirizzarne maggiormente azione e investimenti verso obiettivi di interesse pubblico.

Majorino propone invece esplicitamente il potenziamento prioritario della sanità pubblica, con un aumento sostanziale dei fondi ad essa destinati. Le Cdc sono concepite come strutture pubbliche, anche se si riconosce il ruolo che il non-profit può avere al loro interno, in particolare per l’integrazione socio-sanitaria. Si propone poi di subordinare l’autorizzazione di ogni nuova attività alle esigenze della programmazione regionale e di negoziare, sempre in base a queste esigenze, il 50% della destinazione del budget allocato ai privati.

 

L’organizzazione del sistema sanitario lombardo e le cure territoriali

Prevedibilmente, Fontana e Moratti sono orientati verso il mantenimento dell’organizzazione del Servizio Sanitario Regionale esistente, quale emersa dopo la legge regionale 22 del 2021. Il programma di Fontana sembra dare per scontato questo elemento, mentre Moratti fa propria la riforma del 2021 in modo esplicito, proponendosi di attuarla e completarla con un rafforzamento del sistema dei controlli sugli erogatori.

Majorino vuole introdurre elementi sostanziali di revisione organizzativa, come il superamento della separazione tra ATS e ASST mediante l’individuazione di una loro governance unitaria.  Questo porrebbe fine ad uno dei pilastri del modello lombardo dal 1997 in poi. ossia la separazione tra organizzazioni addette alle funzioni di programmazione, finanziamento e controllo dei servizi (le ATS), e quelle di produzione dei servizi stessi (le ASST). Più che gli altri candidati, Majorino sembra inoltre puntare sui nuovi distretti sanitari, che riuniscono i servizi territoriali delle ASST. Nei distretti, i Comuni e i sindaci assumono un ruolo significativo nella programmazione territoriale dei servizi. Infine, è prospettata l’adozione di nuovi sistemi di remunerazione dei produttori di servizi sanitari, riducendo il ruolo del pagamento a prestazione e dei DRG ospedalieri. In tal modo, potrebbero essere introdotti meccanismi di pagamento più coerenti con le esigenze dell’assistenza territoriale.

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