Università degli Studi di Milano
New York University e Agora Europe
Articolo del percorso: #Cosedisinistra
Per la rubrica editoriale #FuoriLeidee

Introduzione

di Niccolò Donati

 

Il settimo appuntamento di “Cose di Sinistra” guarda al tema dell’integrazione sovranazionale a livello europeo. Volendo usare una brutta parola (gli inglesi la chiamano la f word, la parola che inizia con la F): federalismo europeo. Lo facciamo rivisitando uno scritto di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli, “I compiti del dopoguerra”, con due commentatrici che a vario livello si sono impegnate accademicamente e politicamente nel promuovere un’Europa più unita e giusta: Matilde Ceron (Università degli Studi di Milano) e Caterina di Fazio (Maastricht University e Agora Europa). Nei giorni in cui si discute, e si litiga, sul recovery fund che dovrebbe aiutare l’Europa a risollevarsi dalla crisi COVID, il tema del federalismo europeo è un tema di straordinaria attualità. Nei dibattiti degli ultimi mesi, l’Europa è parsa più un’Unione degli Egoisti stirneriana che un’Unione Europea. Gli interessi di breve termine, legati a rendite elettorali, sembravano aver prevalso sugli interessi “illuminati” di lungo periodo. L’Unione Europea sembra non essere mai stata così vicina alla rottura come negli ultimi mesi. Eppure qualcosa si è mosso. Un piano di aiuti, il recovery fund, è stato approvato. Nonostante il fatto che una parte rilevante delle risorse è stata sottratta ad altri fondi europei – uno su tutti il Just Transition Fund, per la transizione ecologica di territori industriali come Taranto – e nonostante l’imposizione di condizionalità nella forma di raccomandazioni specifiche per paese, è un passo avanti molto significativo verso una maggiore solidarietà tra europei.

Segno che, nonostante tutti i “nonostante”, il monito di Rossi e Spinelli continua ad esercitare un qualche richiamo sulle coscienze degli europei. Debole, e a volte vituperato. Ma sempre presente e attuale, oggi come 70 anni fa.

 


l’Europa politica di Rossi e Spinelli
di Caterina Di Fazio

Scritto nel 1941 durante il confino a Ventotene e pubblicato per la prima volta nel 1944 alla vigilia della liberazione, “Per un’Europa Libera e Unita. Progetto d’un manifesto” di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, prefigurava una visione comune per l’Europa ed è oggi considerato uno dei testi fondanti dell’Unione Europea. Manifesto programmatico, esso si poneva il compito di superare le divisioni nazionali che avevano condotto alle esperienze totalitarie e alla Seconda guerra mondiale, tramite quelli che gli autori definivano “i compiti del dopoguerra”: la ricostruzione non degli spazi nazionali, bensì dello spazio politico europeo.
Chi scrive oggi lo fa invece all’indomani di quello che è stato definito pressoché all’unanimità come un accordo storico senza precedenti, il Recovery Fund. L’accordo, raggiunto dopo una fra le più lunghe trattative del Consiglio europeo è stato salutato con soddisfazione come una risposta comune, a testimonianza di una visione che rafforza la dimensione comunitaria ed aumenta le “capacità di un’Europa che deve camminare insieme” (Sassoli). Il governo italiano si riferisce ad un’Unione Europea che si dimostra all’altezza della sua storia e ad una decisione, quella di ieri, “in favore di un’Europa più coesa, più solidale, più vicina ai suoi cittadini; in definitiva, più politica” (Conte). Sulla pluralità di posizioni e di interessi nazionali che si sono confrontate e hanno dato origine a quella che appariva come una lotta fra due blocchi, il Nord e il Sud dell’Europa, parrebbe alla fine aver trionfato una visione comunitaria che si installa all’interno del perimetro europeo, al fine di contrastare la paura diffusa fra i cittadini ed il distacco dalle istituzioni e salvaguardare i principi di solidarietà e di responsabilità verso i popoli europei.
Nelle parole che riecheggiano in lungo e in largo all’interno dello spazio politico europeo oggi sembrerebbe di rileggere i propositi, le speranze e i compiti che si prefiggevano Rossi e Spinelli quasi ottant’anni fa. È tuttavia opportuno indicare una differenza di prospettiva: mentre i leader dei nostri governi parlano della dignità dei singoli paesi e della loro responsabilità vis à vis i “nostri popoli”, Rossi e Spinelli scrivevano di di un unico popolo europeo; mentre le recenti decisioni, pur testimoniando una visione comunitaria, sono state prese dai leader dei singoli stati membri, Rossi e Spinelli auspicavano “la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani” e in definitiva una “riorganizzazione federale dell’Europa”. Questa unione passava, nelle intenzioni degli autori, attraverso l’abolizione di qualsivoglia principio di neutralità o di isolamento, nonché di ogni forma di asservimento o colonialismo. L’unione del popolo europeo passava cioè per una prospettiva comune di una federazione europea che, forte dell’equilibrio e dell’unificazione interne, potesse confrontarsi con le altre forze globali in un sistema di pacifica cooperazione, garantito proprio da una visione comunitaria volta alla fondazione di un “solido stato internazionale”. L’unificazione politica dello spazio europeo passa oggi, possiamo aggiungere, anche per una risposta comune alle due maggiori crisi del tempo presente, quella climatica e quella migratoria, e in particolare per una gestione comune dei flussi, per il rispetto della libertà di movimento e dei diritti umani enunciati nella Dichiarazione universale, per un’applicazione congiunta dei principi europei della solidarietà e dell’accoglienza, nonché infine per l’azzeramento del processo di esternalizzazione delle frontiere europee.
Oggi come ieri, all’indomani dell’accordo sul Recovery Fund così come nel dopoguerra, assistiamo non a una modificazione bensì a uno spostamento, uno slittamento dello spazio della rappresentanza e della partecipazione politica. La linea di divisione, di demarcazione, è non più fra le forze progressiste e le forze reazionarie, ma fra forze europeiste e anti-europeiste, fra coloro cioè che hanno compreso che le sfide del mondo globale si giocano non negli spazi nazionali ma nello spazio politico europeo.
Oggi come ieri, le più grandi sfide non possono trovare soluzione sul piano nazionale ma solo a livello europeo. Per questo, come ci invitavano a fare Rossi e Spinelli, occorre impegnarsi nell’unificazione di quei movimenti, muniti di una visione comune, che si sviluppano nei singoli paesi e che possono fornire insieme le fondamenta di un movimento transnazionale per un’Europa unita, per un’Europa politica.
“Il progetto più realistico è oggi quello più utopistico. Il Manifesto di Ventotene è più realistico oggi di quanto non lo fosse nel 1941. E, soprattutto, è più pragmatico di quello che ha governato fino ad ora l’Unione. A noi [Agora Europa] sembra che si possa uscire dall’impasse delle frontiere solo alzando la posta, ovvero riportando il problema laddove deve essere affrontato: creare un’autorità europea di decisione politica che risponda non ai governi dei paesi membri ma ai cittadini europei” (Caterina Di Fazio e Nadia Urbinati, “For a Political Europe”, in OpenDemocracy, May 7, 2019).
Alla vigilia del trentesimo anniversario del Trattato di Maastricht, Rossi e Spinelli ci rammentano il nostro compito primario in quanto cittadini europei, quello cioè dell’istituzione di uno spazio politico europeo che passa attraverso un’azione coordinata e plurale, partecipativa e attiva, aperta e rivolta a tutti i cittadini e residenti, che, sola, può realizzare appieno il principio fondante dell’integrazione europea.

Federalismo europeo, oggi
di Matilde Ceron

In questo estratto del saggio “Per un’Europa Libera e Unita. Progetto d’un manifesto” di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli dedicato al tema de “I compiti del dopoguerra” gli autori pongono le basi per quello che sarà il manifesto di Ventotene.

Gli autori, di fronte alla distruzione provocata dai nazionalismi che dilaniavano il continente, sottolineano la necessitò di superare i fallimentari stati nazionali per unire i popoli europei in una federazione. Una federazione europea è vista come unica soluzione che ponga fine all’anarchia istituzionale all’interno del continente che aveva portato gli europei a combattersi gli uni contro gli altri.

Dalla “coscienza della gravità del pericolo” che ha corso il continente del soggiogamento delle istituzioni democratiche all’egemonia dei nazionalismi scaturisce l’opportunità e la responsabilità del dopoguerra di porre le basi per una unità europea e in prospettiva mondiale. Solo attraverso uno stato federale si può garantire un ordine comune e pacifico non solo all’interno del continente ma anche a livello globale. Secondo gli autori, alla luce delle crescenti interdipendenze che rendono necessario dotarsi di strumenti adeguati a gestire i conflitti creando un nuovo spazio istituzionale europeo, la priorità e la nuova linea di divisione – al di là delle faglie ideologiche – deve essere la costruzione una democrazia sovranazionale come migliore difesa rispetto a derive nazionaliste e totalitariste.

Oggi, il progetto di Rossi e Spinelli è in larga parte naufragato, di fronte al riemergere delle divisioni nazionali nel dopoguerra che ancora oggi permangono, dovute in larga parte alla centralità delle dinamiche intergovernamentali nei processi decisionali dell’Unione Europea. L’Europa di Ventotene è ancor oggi incompiuta. Del resto, l’idea di federazione appariva come “lettera morta” già alle origini del processo di integrazione. Già nella dichiarazione Schuman che pose le basi per l’integrazione europea si trattava di un obiettivo ideale, da destinarsi ad un lontano futuro.

Ciò nonostante, il pensiero di Rossi e Spinelli è quanto mai attuale. Già prima della pandemia i limiti dell’assetto istituzionale europeo erano emersi con la Grande Recessione del 2010, che ha mostrato come l’Unione, divisa e priva degli strumenti per una risposta comune, abbia faticato nell’affrontare la tempesta. Il continente europeo è stato travolto da enormi ripercussioni economiche e sociali che hanno contribuito a dare forza a spinte nazionaliste e sovraniste, mettendo in discussione la stessa sopravvivenza del progetto europeo.

Il COVID, mettendo le nostre società di fronte alla propria enorme fragilità e interdipendenza, è a tutti gli effetti la più grave crisi che le nostre società si siano trovate ad affrontare dal secondo dopoguerra.

Analogamente al secondo dopoguerra, siamo davanti agli enormi rischi e opportunità indicate da Rossi e Spinelli. In questo saggio che ha posto le basi per il Manifesto di Ventotene gli autori ci mostrano la via per l’unità politica dell’Europa in uno stato federale, allora come oggi condizione necessaria per garantire il futuro dei popoli europei e per una pacifica cooperazione a livello globale.

 

Consulta le fonti

 

 


I compiti per il dopoguerra, brano tratto da “Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto”, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli
Scarica la fonte

Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 84878\