L’incendio di qualche mese fa della Grenfell Tower a Londra non è riducibile a una tragedia puntuale; si tratta, piuttosto, dell’evento più spettacolare, e drammatico, di una crisi dell’abitazione che ha scala globale e radici storiche (cf. Madden e Marcuse, 2016). Londra, centro pulsante della finanza globale, è certamente tra i luoghi in cui la crisi dell’abitazione è più evidente; ma la lunga onda della crisi economica globale, e forse ancor più una ripresa economica guidata in molte città da turismo e immobiliare, hanno fatto della casa (di nuovo) il fulcro delle lotte politiche un po’ ovunque in Europa e nel mondo. Si pensi, ad esempio, alla ondata di sfratti nelle città spagnole seguita allo scoppio della bolla finanziaria e al ruolo della rete PAH (Plataforma de Afectados por la Hipoteca, http://afectadosporlahipoteca.com/) nel creare alcune delle basi per la esperienza politica di Podemos.
Trenta anni di/senza politiche per la casa?
Che la abitazione sia una delle dimensioni urbane più colpite dalla crisi non è certo una casualità. Negli ultimi decenni, gli stati europei hanno progressivamente abbandonato le tradizionali politiche di promozione della casa (e la costruzione di “case popolari”), puntando decisamente sullo stimolo alla rigenerazione urbana; ma di fatto lasciando la produzione delle abitazioni al mercato e stimolando l’acquisto della casa di proprietà, generalmente attraverso sconti fiscali sugli interessi dei mutui (cf. Harloe, 1995). In quei paesi, come quelli sud europei, dove il patrimonio di abitazioni pubbliche non era molto sviluppato, la proprietà della casa è diventata il bene fondamentale del welfare familiare, e il debito privato è esploso, diventando una delle cause principali dei problemi che han portato alle richieste di assistenza esterna da parte di Grecia, Portogallo e Spagna (Lapavitsas et al., 2010). In breve, la casa, da componente dello stato sociale, è diventata un bene di consumo; e un bene da utilizzare per investire in finanza – e infatti, la crisi finanziaria globale è risultata dallo scoppio delle bolle speculative sostenute dai mutui, soprattutto in Nord America.
Innovazione urbana: è abbastanza?
Il caso di Lisbona, città a lungo “semi-periferica” (Santos, 1985) rispetto alle dinamiche europee, ma da pochi anni al centro di flussi economici globali, permette di riflettere sulla questione della casa e sulla relazione tra innovazione urbana e politiche della casa. Seppur capitale di un paese colpito profondamente dalla crisi economica globale (il Portogallo è stato assistito finanziariamente tra 2011 e 2015), Lisbona ha resistito abbastanza bene alla recessione. Da un lato, la sua relativa specializzazione economica (su tutto, servizi ed educazione superiore), ha costituito un cuscinetto rispetto a una crisi nazionale che ha colpito suprattutto i settori edilizio e industriale. Dall’altro, la amministrazione locale, guidata con continuità dal 2005 da governi di centro-sinistra, è stata capace di puntare con successo su rigenerazione urbana e innovazione sociale per attirare investimenti esterni e classi creative. A partire dal 2013/2014, Lisbona – improvvisamente diventata “di moda” nelle testate internazionali – è stata investita da un boom di turismo e mobilità internazionale qualificata (studenti, Erasmus, startuppers, soprattutto), catalizzato dal successo di piattaforme (sia globali come AirBnb che locali come Uniplaces) che hanno stimolato il passaggio delle abitazioni dal mercato di affitto a quello a breve termine. Quelle che fino al 2014 sembravano dinamiche di sviluppo locale (Tulumello, 2016), si sono improvvisamente rivelate processi particolarmente rapidi di gentrificazione e turistificazione. Su tutti, due dati (riportati dal giornale Público) mostrano le dinamiche in atto: il triplicare del valore medio degli affitti in pochi anni; e la perdita di un terzo della popolazione giovane adulta, quella che, non avendo usufruito degli stimoli alla proprietà nei decenni precedenti, è più dipendente dal mercato degli affitti. Allo stesso tempo, si sono moltiplicati gli sfratti nei quartieri auto-costruiti nelle zone periferiche della area metropolitana, che adesso si trovano in posizioni strategiche per nuovi investimenti. È stata la ripresa, più della crisi, e soprattutto le scelte politiche di successo (nel senso della capacità di capitalizzare su flussi globali) della amministrazione locale a produrre la crisi della casa a Lisbona. Non deve sorprendere, allora, che sebbene in un paese tradizionalmente poco incline al conflitto sociale, si stiano moltiplicando i movimenti sociali che lottano per l’accesso alla casa e il diritto alla città, come la Caravana pelo Direito à Habitação, promossa da una rete di associazioni e dagli abitanti di tre quartieri auto-costruiti, o la recente occupazione di uno stabile in centro a Lisbona, in una città dove non si verificavano occupazioni da oltre un decennio.
Ritorno al futuro: che politiche della casa?
Il caso di Lisbona suggerisce che, in un’epoca in cui i flussi economici globali hanno una capacità di impatto sui territori locali senza precedenti, la capacità di attrarre investimenti e classi “creative” non siano sufficienti, di per sé, a garantire uno sviluppo locale (economico, ma non solo) armonico – lo stesso Richard Florida (2017) ha ammesso che le sue creative cities sono diventati luoghi della diseguaglianza. E la dimensione della abitazione è quella in cui questo paradosso diventa più evidente. E, allora, sembra di poter dire che sia necessario un rinnovato impegno pubblico e collettivo nella promozione dell’abitazione: che lo stato (nei suoi vari livelli) promuova la rigenerazione urbana per fissare i residenti e attrarne di nuovi; e che, allo stesso tempo, siano i territori a trovare nuove forme di co-abitazione, capaci di estrarre progressivamente la casa dal mercato (penso alla possibilità di pensare la casa come bene comune).
In un certo senso, è paradossale come, nell’epoca della digitalizzazione, della virtualizzazione e della dematerializzazione dei flussi (economici, sociali, culturali), sia nella dimensione più materiale della vita urbana, nella casa, nel brick and mortar anglofono, che si espliciti il ritorno della conflittualità politica – e, allo stesso tempo, la possibilità per una innovazione locale che faccia sviluppo includente. Un vero e proprio ritorno al futuro che ci catapulta, dotati di gadget tecnologici e piattaforme online, nuovamente nel cuore della questione urbana per come fu definita un secolo e mezzo fa da Frederik Engels.
Riferimenti bibliografici
FLORIDA, R. (2017). The New Urban Crisis. New York: Basic Books.
HARLOE, M. (1995). The People’s Home? Social Rented Housing in Europe & America. Oxford: Blackwell.
LAPAVITSAS, C., KALTENBRUNNER, A., LINDO, D., MICHELL, J., PAINCEIRA, J.P., PIRES, E., POWELL, J., STENFORS, A., TELES, N. (2010). Eurozone Crisis: Beggar Thyself and Thy Neighbour. Journal of Balkan and Near Eastern Studies 12(4): 321-373.
MADDEN, D. MARCUSE, P. (2016). In Defense of Housing. The Politics of Crisis. London: Verso.
SANTOS, B.S. (1985). Estado e Sociedade na Semiperiferia do Sistema Mundial: O Caso Português. Análise Social 87-88-89: 869-901.
TULUMELLO, S. (2016). Reconsidering Neoliberal Urban Planning in Times of Crisis: Urban Regeneration Policy in a ‘Dense’ Space in Lisbon. Urban Geography 37(1): 117-140.