Il 9 maggio Fondazione Giangiacomo Feltrinelli con Razzismo Brutta Storia e La Scuola Sconfinata ospita l’incontro “Per una scuola di tutt3. Costruiamo cassette degli attrezzi antirazzisti!”, che sarà possibile seguire anche online attraverso una diretta e collegandosi online ai tavoli di lavoro.
Durante l’incontro le e i formatori Ronke Oluwadare, Psicoterapeuta, Valentina Migliarini, Assistant Professor in Education Studies, University of Birmingham, Charaf El Bouhali, Docente scuola primaria e Fellow di Teach for Italy, Cinzia Ebonine, Educatrice e formatrice, Mackda Ghebremariam Tesfau’, Ricercatrice e attivista antirazzista e Claudio Tocchi, Formatore e attivista, presenteranno lenti teoriche e strumenti operativi per una pedagogia più attenta al contrasto del razzismo.
Proponiamo qui un assaggio di alcune di queste lenti e strumenti nell’elaborazione della Dott.ss Valentina Migliarini, a partire dalla ricerca “Ripensare gli Strumenti dell’Inclusione Scolastica. L’Approccio dei Disability Critical Race Theory (DisCrit)” per Inclusione: prospettive e sfide contemporanee.
“Posso raccontare la storia di un bambino che ho ricevuto in classe l’anno scorso, ha 12 anni. Avrebbe dovuto essere iscritto al primo anno di scuola secondaria, ma a causa della sua lingua è stato inserito nel quinto anno di scuola primaria. È di Capo Verde, ma il problema è che non ha documenti ufficiali di alcun tipo. È nato in Italia, poi si è trasferito a Capo Verde con la mamma dopo cinque anni, e poi è stato abbandonato a Capo Verde perché la madre si è ammalata. Non sappiamo nulla della malattia di sua madre, ma lei non poteva prendersi cura del bambino, quindi il bambino era completamente lasciato a sé stesso. Frequentava la scuola ma nessuno si preoccupava dei suoi risultati. Improvvisamente è stato rimandato in Italia, ma il padre non poteva prendersi cura di lui. Così alla fine è stato mandato a Roma, nella nostra scuola perché sua nonna vive qui a Roma, ma non c’è nulla di ufficiale. Non ha permesso di soggiorno. Adesso è affidato a sua nonna, ma lei è davvero anziana. Lei ha 70 anni, ma non possiamo fare niente perché non abbiamo documenti ufficiali, nessun documento ufficiale. Non abbiamo il permesso di soggiorno, quindi lo abbiamo mandato per una valutazione conoscitiva, ma è stato rifiutato perché privo di documenti. Quindi, il problema è abbastanza grande. Ora è al liceo e stiamo provando in un altro modo. Stiamo cercando di attivare il supporto attraverso l’assistenza sociale e non cognitiva, ma lo riteniamo socialmente a rischio, perché la nonna non può prendersi cura di lui perché è troppo anziana, e sono anche molto poveri. Il padre non vuole intervenire, quindi non abbiamo molti strumenti ufficiali da utilizzare. Ma per ora, utilizziamo il supporto sociale e vediamo. Si spera che ciò possa supportare la nonna nella burocrazia per ottenere documenti ufficiali e così possiamo fare qualcosa per lui… Il problema che la maggior parte degli studenti migranti deve affrontare è che le famiglie non vogliono integrarsi e devono affrontare problemi sociali e finanziari.
Rosa, Insegnante di Inglese
Questa testimonianza offre una prospettiva su alcune delle sfide che gli insegnanti italiani nelle scuole pubbliche devono affrontare quando chiamati a rispondere alle esigenze educative degli studenti che vivono all’intersezione di molteplici forme di oppressione.
Rosa (pseudonimo), l’insegnante di inglese, racconta la storia di uno studente privo di documenti di riconoscimento e mostra come una possibile diagnosi di disabilità venga utilizzata come mezzo per ottenere un maggiore sostegno sociale ed educativo per lo studente all’interno della scuola. Inoltre, tale testimonianza mette in evidenza gli ostacoli nel complesso sistema burocratico di welfare italiano, quando uno studente migrante è privo di documenti. L’intera descrizione dell’insegnante è incentrata sulle disfunzioni percepite nella famiglia del ragazzo, rafforzate dal commento su come le famiglie di immigrati non siano disposte a integrarsi nella società ospitante. Pertanto, sembra chiaro che le aspettative di progredire nell’apprendimento e nel rendimento scolastico che gli insegnanti italiani hanno nei confronti degli studenti disabili e provenienti da un contesto migratorio sono limitate.
Questa testimonianza rispecchia anche la tendenza degli insegnanti italiani monolingui e razzializzati come bianchi di costruire fenomeni come la povertà, la migrazione e l’apprendimento dell’italiano come seconda lingua come delle disabilità. Gli insegnanti usano spesso la vicinanza degli studenti alla ‘norma’ italiana bianca e all’abilismo come misura per accertare la loro capacità di appartenere a determinati contesti di apprendimento. Tali tendenze potrebbero essere interpretate come una reazione al significativo aumento dei bambini migranti nelle classi italiane. Ma sono anche il prodotto di uno storico approccio evasivo rispetto alla costruzione della razza e del razzismo, e al loro impatto nelle istituzioni scolastiche, della società italiana.
È importante fornire agli insegnanti strategie di supporto, per studenti che vivono all’intersezione di molteplici forme di oppressione, le quali possono essere utilizzate per ripensare pratiche di educazione inclusiva attraverso una lente intersezionale e culturalmente rilevante. Gli approcci inclusivi strenght-based, concentrati sugli aspetti positivi e le capacità di ciascun individuo piuttosto che sui deficit, e la loro applicazione in dispositivi come i Programmi Educativi Individuali (PEI d’ora in poi) ed i Piani Didattici Personalizzati (PDP), non sono necessariamente nuovi nel contesto italiano. Tuttavia, la ricerca riscontra come tali dispositivi per l’inclusione sono ancora guidati da modelli medici e deficitari di disabilità e diversità (D’Alessio, 2014). Per questa ragione, il presente contributo intende esplorare il processo di progettazione e implementazione dei PEI e PDP nel contesto italiano, che è considerato come esemplare per le sue politiche e pratiche inclusive.
In Italia, lo Stato è obbligato a fornire supporto finanziario e personale specializzato per garantire forme di insegnamento personalizzate a tutti gli studenti che necessitano di ulteriore sostegno. La tipologia di supporto inclusivo per gli studenti è cambiata all’indomani dell’attuazione delle politiche che regolano i Bisogni Educativi Speciali (BES) nel 2012 e 2013, e in seguito all’aumento del numero di studenti migranti e migranti forzati nelle classi e nella società italiana. Pertanto, è opportuno far luce su come anche nei sistemi educativi più inclusivi, come quello italiano, gli approcci intersezionali, strenght-based e culturalmente rilevanti siano di fatto trascurati. Inoltre, la ricerca internazionale mostra come spesso anche gli approcci inclusivi sono in gran parte assenti nello sviluppo e implementazione di PEI per studenti con disabilità. Di conseguenza i PEI, così come i PDP, dedicano solo un’attenzione superficiale alla documentazione dei punti di forza e delle abilità degli studenti. Così gli insegnanti perdono l’opportunità di vedere oltre i limiti e le sfide che i loro studenti possono affrontare e, invece, si concentrano eccessivamente sulle carenze degli studenti.