Alcune date del nostro calendario evocano momenti che hanno mutato inesorabilmente il destino di interi territori, individui e collettività; punti di svolta per via dei quali il corso del tempo si è diviso inesorabilmente in un prima e in un dopo. Si tratta spesso di eventi drammatici, come le catastrofi naturali, che con la loro portata devastatrice coinvolgono tutti gli aspetti della vita di intere comunità: ambiente, economia, politica, relazioni sociali, immaginario. Dopo il loro impatto, nulla sarà come prima.

Tuttavia, nella memoria pubblica questi eventi spesso non riescono ad essere accolti per la loro reale portata: è sovente ricordata la tragedia del momento o al massimo i progressi raggiunti dalla successiva ricostruzione materiale. Si genera insomma, come ha scritto Gabriella Gribaudi, un gap fra una forma di memoria trasmessa istituzionalmente e una più privata, quest’ultima comunicata attraverso canali informali che va costituire un sottofondo silenzioso, un fiume carsico che in alcuni momenti può riapparire e incontrare la superficie.

Il sisma del 23 novembre 1980 rientra in questa tipologia di eventi.

Le migliaia di morti, feriti e senzatetto lo rendono il terremoto più disastroso della recente storia italiana, probabilmente “il terremoto”, la cui immagine consolidatasi nel discorso pubblico è quella di un’immensa tragedia umana ma anche di uno dei più grandi scandali all’italiana, con i suoi ritardi, sprechi e irregolarità emersi durante la fase di ricostruzione.

Si tratta di aspetti reali che non coinvolsero uniformemente la vasta area colpita ma che provocarono conseguenze nella vita nazionale. La tragedia iniziale infatti, amplificata dall’inefficienza dei soccorsi, diede vita al percorso che ha portato alla costituzione della odierna Protezione Civile mentre gli scandali emersi verso la fine degli anni ’80 ebbero ripercussioni sulla classe politica coinvolta e sul processo di ricostruzione.

In questa narrazione imperniata su elementi negativi sono tanti gli aspetti che mancano all’appello in grado di restituirci la complessità di un evento così devastante. Mancano sicuramente le popolazioni, quelle che avevano sofferto profondi lutti e avevano visto svanire il proprio spazio vissuto in 90 secondi. La loro esperienza, dai primi drammatici momenti fine alle intense trasformazioni generate dalla ricostruzione, finì nell’ombra dei flussi di denaro, dei personaggi politici, dei capannoni industriali.

Nell’area del cratere, fra le province di Avellino, Salerno e Potenza, furono decine i paesi non più riconoscibili e qui, di fronte alla tabula rasa, fu necessario un immenso sforzo affettivo e cognitivo, per riprendere a vivere, per indirizzare il proprio futuro. La legge 219, che regolava la ricostruzione e lo sviluppo delle aree terremotate, concedeva molta libertà agli enti locali in materia di ricostruzione abitativa e dunque ogni comune poté scegliere il proprio corso da seguire.

Il dibattito sul destino da assegnare ai “paesi presepe” risentiva delle precedenti esperienze del Belice (1968) e del Friuli (1976) e vide fronteggiarsi grossomodo due posizioni principali: da una parte il trasferimento di interi centri verso le principali vie di comunicazione, dall’altra il recupero e la conservazione di quanto andato distrutto. Si tratta di un dilemma frequente nella storia poiché la ricostruzione, aprendo una “finestra di opportunità”, può essere l’occasione per eliminare o ripensare elementi del passato ritenuti obsoleti ma, d’altro canto, la pianificazione per il futuro si intreccia inevitabilmente con il desiderio di continuità con il passato.

Fra gli esiti differenti raggiunti nei 40 anni post-1980 due paesi in particolare esemplificano questi due “opposti”, comunità che ho studiato per anni alle quali ho dedicato il mio libro Memorie dal Cratere. Storia Sociale del terremoto in Irpinia. Si tratta di Sant’Angelo dei Lombardi, con il suo centro storico ricostruito “com’era dov’era”, e Conza della Campania, con la delocalizzazione e un nuovo centro costruito a valle.

Sant’Angelo dei Lombardi

Cosa significa perdere improvvisamente familiari, compaesani e non ritrovare più i luoghi in cui si è cresciuti? Cosa vuol dire trascorrere anni in abitazioni provvisorie? Quali sono le motivazioni alla base delle diverse scelte compiute per la ricostruzione? Quali le aspettative generatesi e quali i giudizi rispetto a queste ultime? Che senso viene attribuito a questa esperienza?

Sono domande a cui solo un ascolto attento dei racconti e delle esperienze di chi ha vissuto direttamente l’evento e le sue conseguenze può dare risposte. Il terremoto, oltre a distruggere lo spazio fisico, ristruttura l’organizzazione del tempo individuale e collettivo divenendo il fulcro intorno al quale si costruisce una nuova identità collettiva.

Conza della Campania

Il tempo del disastro oltrepassa il momento della distruzione, diviene cesura ma anche unico elemento che può spiegare e dare senso al passato e al presente. Un evento così pervasivo può essere compreso a pieno solo accedendo alla dimensione soggettiva, alle storie intime, alla visione del mondo sconvolta dalla natura che si anima.

Da questo punto di vista, il sisma del 1980 – ma potremmo includere anche tutti i disastri sismici che a intervalli più o meno regolari colpiscono il nostro Paese – costituisce un serbatoio di conoscenze che attende di essere esplorato e le competenze acquisite dovrebbero diventare patrimonio e memoria del Paese.

Penso a Vincenzo che mi ha parlato delle «stimmate mai rimarginate» e dello spirito di comunità andato perduto.

A Giuseppe, che ricorda: «Noi siamo stati costretti a superà… quando uno perde tutto… in un giro di un minuto poi la vita gli cambia… qua non c’è una famiglia che si è salvata da questa calamità… ci siamo rimboccati le maniche e siamo andati avanti».

Oppure a Gerardina che a proposito del suo periodo nei prefabbricati a Conza parla di una «bella esperienza… perché emmo vissuto più vicino alle persone tutti… eravamo tutti uguali e essere tutti uguali è importante».

Ma anche a Tonino che pensando al primo anno dopo il sisma ricorda «un anno esaltante… sul piano dell’impegno, della condivisione, della speranza, sembrava di esser diventati tutti uguali nel senso che sembrava anelassimo a un solo modo di pensare… purtroppo è durato solo una stagione».

Infine a Giulio, appena nato nel 1980: «I primi ricordi, le prime immagini rimandano a un paese, a luoghi devastati, luoghi che guardarli oggi sembrerebbe quasi post-apocalittico… siamo quindi i figli del terremoto, i nostri primi ricordi sono legati a un paese segnato dal terremoto, una parola che abbiamo ascoltato appena le nostre funzioni uditive si sono messe in moto, per noi nati nel terremoto è difficile focalizzare il momento esatto in cui abbiamo avuto la percezione ‘Qui c’è stata una tragedia… qui c’è stata una catastrofe’ perché noi siamo nati nella catastrofe».

Le fonti orali ci consegnano storie intime e profonde, ci avvicinano all’esperienza delle persone e al ruolo che un trauma profondo gioca in una comunità. È la memoria il luogo in cui possiamo rintracciare ogni volta una sintesi fra passato, presente e futuro.

A distanza di 40 anni è possibile rileggere la storia di questo devastante evento non più sotto la lente degli scandali ma come un lungo processo di trasformazione che ha coinvolto ambiente, economia, politica, donne, uomini e comunità. Allo stesso tempo è possibile trarre insegnamenti per gestire emergenze presenti e future in cui si voglia porre la giusta attenzione ad aspetti sociali e in un’ottica di lungo periodo.

Le ricostruzioni post-disastro, ma anche tutte le situazioni di emergenza che sempre più spesso sperimentiamo, non sono un insieme di “oggetti” come case e strade ma andrebbero intese come un lungo processo, una serie di azioni che rispondono gradualmente a dei bisogni.

Il nostro calendario è pieno di date che risuonano a distanza di anni, in pezzi del Paese, nelle vite delle popolazioni. Da un ascolto attento di queste esperienze si dovrebbe partire per comprendere a fondo la fragilità del nostro territorio e far riemergere finalmente il fiume carsico delle memorie private.

 


Riferimenti
Gribaudi G., La memoria, i traumi, la storia. La guerra e le catastrofi nel Novecento, Viella, Roma 2020.
Moscaritolo G.I., Memorie dal Cratere. Storia Sociale del terremoto in Irpinia, Editpress, Firenze 2020.
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