storico, Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo

Non solo storia – Calendario Civile \ #Genova2001

 

Chi a Genova c’era; e chi no, vivendola “in differita”, da casa. Chi non poteva ancora esserci, perché troppo giovane; e chi non era manco nato. Per tante e tanti, il G8 è stato importante e continua ad essere uno snodo centrale. Il ventennale è l’occasione per riflettere sul portato della tre giorni e di quel movimento dopo il 21 luglio. Questo contributo intende proporre alcune riflessione sui processi memoriali passati e presenti.


Memorie del G8

Genova dei pestaggi e Genova dello scontro finale. La stessa città, due linee diverse del ricordo con molteplici declinazioni, tante quante sono state le esperienze – dirette o di riflesso – e le soggettività. Sono, queste, anche due modalità precise di definire il posizionamento personale rispetto al ricordo: da un lato, lo schema narrativo vittimale; dall’altro, quello reducistico. C’è chi ricorda i pestaggi della polizia, le violenze a Bolzaneto e alla Diaz, l’uso indiscriminato della forza contro ogni manifestante; c’è chi, invece, intende quelle giornate come emblema di una situazione difficile, tale da essere unica e irripetibile. Entrambe queste forme di memorializzazione del G8 – che il più delle volte si intrecciano tra di loro – derivano da fattori endogeni ed esogeni, da vissuti personali e collettivi, da ciò che i media hanno raccontato.

Sicuramente si potrebbero avanzare riflessioni su come il trauma abbia agito nel cristallizzare o per lo meno prefigurare queste due modalità del ricordo. Adriano Zamperini e Marialuisa Menagatto hanno dedicato un intero volume alle tante sfaccettature della ferita prodotta da quei giorni e alle ripercussioni pubbliche e private, individuali e collettive. L’approccio che qui propongo è di altro genere e si concentra sui processi memoriali, partendo dalla ricerca di storia orale che ha portato alla pubblicazione de I fatti di Genova. Una storia orale del G8 (Donzelli 2021).

Adottando questo sguardo, dunque, le due forme del ricordo citate sopra – quella del vittimismo e del reducismo – sono espressione del tentativo, consapevole o involontario, di riportare tutto al 2001. Eppure, il G8 di Genova non è finito con il vertice, ma da esso si sono continuati a produrre significati anche in seguito. Dunque, è come se si tentasse, nel primo caso, di evitare di generare collegamenti con un prima e un poi, con quanto accaduto fino a quel momento e con ciò che è avvenuto dopo. Genova rimane, così, come apice di una violenza statuale che diventa quasi mitica, emblema di un potere che supera le leggi, la morale, la stessa democrazia. Ma a guardare bene, e con attenzione storica, si può affermare che le forme di repressione erano palesi già prima – contro i movimenti e nella società, rispetto a soggetti considerati “nemici”, “pericolosi” o “devianti”. E lo sono state anche dopo il 2001: si pensi alla militarizzazione della Val di Susa, alle forme di restrizione della libertà individuale che hanno portato in carcere, per una protesta pacifica, Dana Lauriola. La violenza efferata ed estrema conto la persona – commessa, sì, da divise, ma ordinata da chi aveva ruoli di comando nella gerarchia militare – è avvenuta anche dopo il 2001. Basti citare le vicende di Stefano Cucci, Federico Aldrovandi e Giuseppe Uva in relazione a chi è stato detenuto, picchiato e torturato nella caserma di Bolzaneto o massacrato nella scuola Diaz. Perché, dunque, non si riesce a scorgere il filo rosso che attraversa tutta la storia della Repubblica?

I motivi possono essere molteplici. Primo, forse il più dirimente, che proprio all’interno della cerchia di chi sarebbe deputato a garantire l’ordine, le libertà individuali e collettive, si annidano i pericoli. Come si può avere fiducia di chi si può aver paura? D’altronde, l’esito dei processi del G8 contro le forze dell’ordine è chiaro: a parte alcune eccezioni, nessuno ha pagato per le brutalità commesse contro i manifestanti. In tal senso, le memorie delle violenze durante il G8 sono fissate in quel 2001, quasi per mantenerne lontana la presenza dall’oggi, per esorcizzarne il portato emozionale e le possibili eredità, per tentare di illudersi che quegli esponenti delle forze dell’ordine – o altri che nel frattempo hanno preso il loro posto, ma con le stesse pratiche repressive – non sono più in servizio, oggi.

L’altro processo memoriale – che concerne sempre il rimanere o il rimandare a Genova – riguarda il reducismo. Basta ritornare ai mesi che precedono il vertice, seguendo il montare dell’evento sui giornali, per capire che una parte considerevole della stampa e del mondo politico non solamente soffiò sul fuoco, ma preparò attentamente la battaglia. O, per lo meno, si prestò a tal fine. Gli esempio sono molteplici: la retorica dell’arrivo a Genova dei reparti speciali, i missili terra-aria per proteggere gli “otto grandi”, i paracadutisti e gli incursori, la zona rossa come area interdetta e militarizzata. E poi c’è l’immaginario di cosa sarebbe certamente accaduto: morti, arresti, incarcerazioni. Molti articoli parlano delle 200 body bags giunte nel capoluogo ligure per contenere i cadaveri dell’imminente scontro; della costituzione di un apposito pool di magistrati per giudicare in direttissima i fermati; di un piano d’emergenza sanitaria per centinaia di feriti; del trasferimento di oltre duecento detenuti in altre carceri per fare spazio ai prossimi arrestati. La battaglia è prima combattuta a parole e poi nelle strade. Secondo numerose voci, i pericoli sarebbero molteplici e legati all’uso di armi non convenzionali da parte dei manifestanti. Quali? Lo spiega il “Corriere della Sera”:

 

Secondo la Bnd (il controspionaggio tedesco) esse vanno dalle “trappole antiuomo” alle “armi non letali” che però sono in grado di mettere ko le forze dell’ordine (ad esempio paralizzando temporaneamente gli agenti in servizio), ai mezzi tecnici necessari per portare attacchi alle strutture informatiche del vertice, o per cercare tempeste magnetiche contro gli apparati elettronici. Infine, fa parte di questa categoria di armi, l’uso di piccoli aerei telecomandati in grado di trasportare agenti chimici o biologici oppure – si legge in un rapporto dei nostri servizi segreti – l’impiego di palloncini contenenti sangue infetto con il virus dell’Aids.[1]

E ovviamente non può mancare la minaccia islamica. Sempre secondo “Il Corriere della Sera”, infatti:

Ad essere in allerta sono soprattutto gli investigatori americani e tedeschi. Proprio dalla Germania già a febbraio era giunta la segnalazione che Osama Bin Laden, il king-maker del terrorismo islamico, avrebbe iniziato a finanziare naziskin in tutt’Europa affinché essi possano portare a compimento attentati ed azioni nel nostro Paese durante il G8.[2]

 

Analizzando il prima, e consapevoli di quanto accadde poi il 20 e 21 luglio, l’esperienza della battaglia – per i più non voluta – può aver generato un ricordo reducistico. Ma a guardare meglio, focalizzandosi sulle scelte individuali e collettive, è interessante cogliere che nonostante il racconto mediatico, nonostante gli scontri e le immagini brutali mandate in diretta tv il 20 luglio, nonostante i pestaggi, nonostante l’uccisione di Carlo Giuliani, nonostante tutto questo, moltissime persone decisero di essere a Genova il giorno dopo. O forse proprio consapevoli delle ragioni sopra scelsero di partecipare al corteo del sabato. Non parlo di militanti, di attivisti, ma della maggioranza: di centinaia di migliaia di persone probabilmente senza alcuna esperienza politica pregressa. Prende piede, dunque, l’ipotesi che i media abbiano concorso a produrre con le loro narrazioni, centrate su una medesima immagine che ha assunto tanto la declinazione vittimista quanto quella reducistica, la struttura del ricordo entro cui le singole persone hanno poi depositato le loro memorie.

Dunque, nel raccogliere le memorie orali – parlo della ricerca che ha portato al libro pubblicato da Donzelli – è stato importante porre attenzione anche a ciò che anticipava e seguiva le parole, alle scelte: che poi è il senso delle memorie in relazione ai fatti. Era necessario usare un’altra metafora della memoria – ossia una struttura diversa del ricordo rispetto alle due sopra – offrendola alle persone intervistate; uno spazio libero, non modellizzante, capace di accogliere il dialogo e la produzione della fonte storica nello scambio intersoggettivo. La metafora scelta è la più semplice e diretta del ricordo: il viaggio. Il libro è organizzato, dunque, in tre parti: la parenza, le giornate del G8 e il ritorno.

In tutte le interviste – oltre settanta, a soggettività differenti in termini di genere, età, aree politiche – non vi è traccia di vittimismo o reducismo. Inoltre, sono comparse molteplici emozioni e tantissimi significati attribuiti a quelle giornate capaci di tenere insieme il personale con il politico. La narrazione monotematica centrata sulla violenza, è stata rimpiazzata da un insieme di racconti sulla resistenza come pratica che tutte e tutti, a Genova, hanno dovuto praticare. Inoltre, il G8 nei racconti orali non è mai la fine, ma uno snodo determinante del percorso di vita, dell’attività politica, dell’intervento nel sociale. Certo, quel ciclo di lotte si esaurisce, con un prolungamento fino alla manifestazione di Firenze; ma, viceversa, non terminano i percorsi di militanza, attivismo e impegno sociale, che continuano – in moltissimi casi – fino all’oggi.

Non solo storia – Calendario Civile \ #Genova2001

 


Bibliografia di riferimento

Ilaria Bracaglia e Eddy Olmo Denegri, Un ingranaggio collettivo.  La costruzione di una memoria dal basso del G8 di Genova, Edizioni Unicopli, Milano 2020.

Gabriele Proglio, I fatti di Genova. Una storia orale del G8, Donzelli, Roma 2021.

Adriano Zamperini e Marialuisa Menagotto, Cittadinanza, ferita e trauma psicologico. Dopo il G8 di Genova il lavoro della memoria e la ricostruzione di relazioni sociali, Liguori Editore, Napoli 2011.

Federico Boni, Marina Villa (a cura di), Dal rito all’evento. La copertura mediatica del G8 di Genova (luglio 2001), Edizioni Unicopli, maggio 2005.

Stefano Crisanti (a cura di), Violenza mediata. Il ruolo dell’informazione nel G8 di Genova, Editori Riuniti, Roma 2003.

Massimiliano Andretta, Donatella della Porta, Lorenzo Mosca, Herbert Reiter, Global, noglobal, new global. La protesta contro il G8 di Genova, Laterza, Roma-Bari 2002.

[1] Guerriglia al G8 con armi non convenzionali, in Corriere della Sera, 20 maggio 2001.

[2] Varante le misure per prevenire attentati e disordini, in Corriere della Sera, 25 maggio 2001.

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