Il 2016 è iniziato per il mondo della ricerca italiana con un certo clamore di cui sono un buon metro le pagine dei principali quotidiani affollate dalle contrastanti opinioni di autorità scientifiche che si sono espresse sui mali della ricerca italiana e sulle vie da percorrere – o da evitare – per risolverli. Al di là del casus belli che ha dato nuovo vigore al dibattito, le problematiche centrali non si sono scostate di molto da quelle periodicamente lamentate dai vari attori che nel mondo della ricerca operano facendovi fronte tutti i giorni: tra queste, la continua contrazione dei fondi pubblici destinati alle attività di ricerca, la dispersione e la frammentazione di opportunità di finanziamento che inficiano la qualità delle proposte finanziate, la mancanza di prospettive di lungo termine per un settore chiave per lo sviluppo di un Paese. È di qualche anno fa il caso mediatico del ricercatore italiano a Cambridge che spiegò in un post sul suo blog le ragioni del suo sofferto abbandono della carriera accademica, subito ripreso da altre centinaia di ricercatori che hanno voluto condividere i dolori di cui i giovani accademici soffrono – più o meno in maniera analoga – in molti centri di ricerca nel mondo.
A un occhio sensibile alla tematica, il web appare pieno di storie di questo tipo, affollate di frustrazioni, costose rinunce e accorati appelli a un’utopica ristrutturazione del settore della ricerca e dei suoi meccanismi di premialità. Decisamente meno presenti sono le manifestazioni della consapevolezza del privilegio dell’essere ricercatore che porta quanti scelgono di dedicarsi alla ricerca a investire le proprie capacità, aspirazioni e risorse, in un parola il proprio io, a indagare in profondità qualcosa la cui essenza si vuole capire al fine di condividerla.
Il privilegio del pensare, dell’interrogarsi e interrogare per capire e avanzare, che assurge a professione di indubbia quanto sottovalutata valenza sociale.
Insito nel fare ricerca c’è, infatti, una dimensione collettiva, che le tristi contingenze allontanano inesorabilmente da chi con la ricerca si misura tutti i giorni, per la quale l’obiettivo è quello di generare conoscenza che possa essere impiegata al servizio della Comunità. In questo senso, il ricercatore è l’elemento “ponte” tra un presente perfettibile e un futuro migliore alla cui realizzazione contribuisce facendo luce su ciò che ancora non è compreso trasmettendolo agli altri, in primis a quanti sono nella posizione di tradurre la ricerca in pratica. Si configura, quindi, come l’avanguardia di cui disponiamo protesa verso l’utopia cui naturalmente tendiamo nell’atto di immaginare un mondo senza malattie incurabili, senza fame, senza incomprensioni culturali e tensioni politiche.
Un ruolo, questo, la cui crucialità sfugge ai più, ivi compresi gli stessi accademici e ricercatori, i quali si confrontano nel quotidiano con asperità ben più concrete per le quali l’utopia più grande che si possa immaginare si riduce, nuovamente ed inevitabilmente, a quel riconoscimento professionale ed economico che ancora troppo spesso è loro negato.
Bianca Dendena
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
21/06/2016
Approfondimenti
Il 27 giugno chiude la sala di lettura della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nella sede storica di via Romagnosi 3. Carlo Feltrinelli, Salvatore Veca e Massimiliano Tarantino hanno il piacere di invitarvi a un aperitivo di saluto in attesa di rivedervi nella nuova sede di viale Pasubio che aprirà al pubblico alla fine del 2016.
Ci saluteremo parlando di città vivibile a partire da un’idea di utopia e domani auspicabile, grazie agli interventi di Claudia De Lillo, Bianca Dendena, Davide Agazzi, Paola Dubini, Ranuccio Sodi eSalvatore Veca.
Una staffetta di parole per declinare la cultura in termini di partecipazione e continuare a
cercare, conoscere e immaginare.
“Questa era dunque la nostalgia del futuro. Partire dalle cose amate, per cercare”.
Vittorio Foa, Il cavallo e la torre