Durante le guerre molti patrimoni librari vanno distrutti: per incuria, per abbandono, ma non solo. I libri, infatti, sono simboli di grande significato collettivo. Testimoniano di chi ha vissuto in un luogo e dicono se quella testimonianza e quella traccia parlano per tutti in quel luogo.
Nel lungo secondo dopoguerra potevamo pensare che la distruzione del libro fosse una scena che ci eravamo lasciati dietro le spalle e dunque anche questo fosse il segno, forse tenue, ma non senza significato che un mondo migliore è possibile, o almeno auspicabile. La guerra al libro è invece ripresa e i libri sono tornati bruciare a Sarajevo nel 1992.
Se è vero che esiste unsottile filo simbolico intorno al libro come legame tra persona e storia, allora la vicenda di Sarajevo non parla solo ai bibliofili ma anche a coloro che nel tempo hanno intravisto nei patrimoni librari, nelle collezioni depositate nelle biblioteche un modo di riconoscersi nella storia e forse anche di ritrovare il senso di una storia collettiva. Proviamo a ripercorrerla quella scena collocata tra il 24 e il 25 agosto 1992.
I miliziani serbi, appostati sulle colline che circondavano Sarajevo, battono l’area intorno alla biblioteca con il fuoco delle mitragliatrici, cercando di impedire ai vigili del fuoco di spegnere l’incendio lungo le rive della Miljaka, nella città vecchia.
Le raffiche delle mitragliatrici fanno volare le schegge dal palazzo merlato costringendo i pompieri a ripararsi. Quando è stato chiesto a Kenan Slinic, comandante dei vigili del fuoco, perché mai rischiasse la vita, egli, sudato, coperto di fuliggine, a due metri dalla fiamme, ha risposto: “Perché sono nato qui e loro stanno bruciando una parte di me”.
In tutta la Bosnia biblioteche, archivi, musei e altre istituzioni culturali pubbliche e private in quell’estate furono destinate alla distruzione nell’intento di cancellare le testimonianze materiali – libri, documenti, opere d’arte – che potessero rammentare alle generazioni future che vi fu un tempo in cui persone di diverse tradizioni etniche e religiose condividevano in Bosnia la vita e un patrimonio comune. Il fatto stesso di distruggere le istituzioni e la documentazione di una comunità fa parte in prima istanza di una strategia di intimidazione, il cui scopo è espellere i membri dei gruppi presi di mira: tuttavia tale distruzione svolge un preciso ruolo anche a lungo termine. Quei documenti erano la prova che in quel luogo vivevano anche altri, altri che lì avevano le proprie radici.
Questo dunque voleva dire Kenan Slinic quando affermava che stavano bruciando una parte di sé.
Alle volte i libri salvano e permettono che si inizi di nuovo, non per ciò che contengono, per il sapere che testimoniano, ma per ciò che ci ricordano, per le storie di vita a cui alludono. Per fare in modo che uomini e donne che si sono trovati divisi, persi, possano ancora provare a ricostruire timidamente dei legami. Le storie locali alla fine sono questo, quando non sono solo la storia delle espulsioni. Sono anche le storie dei ritorni e dei percorsi tortuosi, contorti, difficili, attraverso i quali tentare di riprendere un cammino spezzato e darsi un domani possibile. A partire dai libri e per loro tramite, ritrovare le storie e dunque le persone.
David Bidussa
Responsabile archivi e biblioteca di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Multimedia
Sarajevo 451
Un videodocumentario sulla biblioteca di Sarajevo, dove sono le immagini a parlare e non le parole. Inevitabile l’associazione di idee col capolavoro di Truffaut “Fahrenheit 451”, visto che la biblioteca, una delle più antiche al mondo, è stata bersaglio delle bombe nel 1996. Nel video potete vedere cosa è rimasto di questo patrimonio dell’umanità.