Università degli Studi di Milano

Il termine che meglio rappresenta l’attuale stato della relazione tra cittadini e voto, tra elettori e partiti, è quello della volatilità. Il mondo occidentale nel suo complesso, ed il nostro paese in particolare, ha vissuto per decenni una forte stabilità di comportamento elettorale, quando le motivazioni di voto erano attribuibili per una vasta quota di elettori al cosiddetto “voto di appartenenza”, demarcato per questo da un forte livello di fedeltà, una “fedeltà pesante”, come è stato spesso definita, frutto del radicamento delle tradizionali sub-culture cattolica, da una parte, e social-comunista, dall’altra.

Il rapporto del cittadino con il proprio partito era radicato nel suo Dna: il partito era di fatto il punto di riferimento più rilevante nella strutturazione della sua personalità politica, tanto che il sistema normativo-valoriale in cui era inserita fin dalla nascita non “permetteva” deviazioni se non occasionali o episodiche. Tramontate con la caduta del muro di Berlino e la fine della spaccatura del mondo in due blocchi contrapposti, in due visioni del mondo antitetiche, le tradizionali appartenenze sub-culturali, proprie della prima repubblica, si è in parte ricostituita in Italia una inedita spaccatura di tipo ideologico grazie all’avvento di Berlusconi, nella seconda repubblica post-tangentopoli. La forte contrapposizione tra la visione del mondo del berlusconismo e quella della sinistra ha permesso di instaurare una sorta di sentimento di vicinanza politico-elettorale ad una delle due aree conflittuali, ricostruendo una parvenza di appartenenza basata su ciò che è stata definita come “fedeltà leggera”. Il voto riacquistava una decisa stabilità, legata non più all’importanza che il partito rivestiva come rappresentante dei propri interessi, o della propria sub-cultura di riferimento, quanto alla condivisione delle ideologie che le due aree politiche rappresentavano. Destra contro sinistra, stato contro mercato, berlusconismo contro anti-berlusconismo erano, fino alla fine del primo decennio del nuovo secolo, le fratture che determinavano maggiormente la scelta di voto dei cittadini.

Il declino politico di Berlusconi, e la lenta fine dell’epoca berlusconiana, ha tolto dal 2011 in poi la possibilità da parte degli elettori di identificarsi con un progetto o con una proposta politica rilevante per le loro modalità di accostarsi al voto. I partiti si sono progressivamente allontanati dai propri rappresentati e sono stati vissuti sempre più, dai cittadini, come una sorta di “casta” impegnata unicamente a perseguire i propri interessi specifici e la propria sopravvivenza. Una tendenza che ha portato l’elettore a riformulare le proprie motivazioni di voto, orientate ora ad una certa volontà di sperimentazione, ad una aleatorietà e provvisorietà delle scelte e ad un inedito pragmatismo, che risponde sostanzialmente a due fattori: l’alterità nei confronti della classe politica e la richiesta di maggior livelli di sicurezza sociale ed economica.

Si sono quindi privilegiati i partiti o i movimenti che, almeno nella proposta, dessero maggiori garanzie rispetto a queste due tematiche che peraltro, con un elevato livello di probabilità, non potranno che rivelarsi di breve respiro, quasi contingenti, ricreando pertanto un nuovo tasso di volatilità elettorale. Per ragioni piuttosto semplici: la nuova classe politica non potrà che rappresentare nel corso del tempo, nella mente dell’elettore, una riedizione gattopardesca, sotto nuove spoglie, di quella precedente, provocando nuove alterità; e le parole d’ordine per la sicurezza sociale ed economica non potranno venir certo venir ottemperate facilmente, stante i complessi fenomeni super-nazionali che il mondo contemporaneo deve affrontare, come la globalizzazione dell’economia e le pressioni migratorie.

La deriva della politica, il costante allentamento dei legami tra elettori e partiti, potrebbe essere parzialmente corretto soltanto attraverso modalità di azione politica che veda i cittadini maggiormente coinvolti nei propri territori di appartenenza, in un rapporto più diretto con i propri rappresentanti. Se la ovvia premessa è che non sia più possibile riproporre modelli partitici superati dalla storia, è forse necessario ripensare ad una sorta di rappresentanza “dal basso”. Da una parte, attraverso il ridisegno di leggi e sistemi elettorali maggiormente legati al territorio, con “constituency” più piccole, che valorizzino la rappresentanza locale e in cui la persona dell’eletto possa rappresentare (anche simbolicamente) le istituzioni centrali sul territorio, in cui i politici siano al servizio della cittadinanza e si sviluppi una efficace interazione tra la popolazione e gli eletti, o gli stessi rappresentanti dei partiti e delle amministrazioni locali.

Dall’altra, è necessario valorizzare le istituzioni locali. L’amministrazione comunale dovrebbe diventare il connettore del tessuto sociale e politico della comunità. Anche a livello simbolico, le istituzioni locali rappresentano la vicinanza della politica ai cittadini. È necessario dunque incentivare la partecipazione locale dei cittadini per creare fiducia nella politica. Potenziare e valorizzare la strutturazione territoriale della partecipazione civica attraverso l’attivazione di luoghi fisici nei quartieri in cui creare aggregazione, discutere, erogare servizi, dare informazioni e risposte ai cittadini-elettori.

Un processo che in parte è stato intrapreso da alcuni partiti e movimento politici, e che per questo hanno suscitato, in parte, nuove vicinanze politiche e consensi elettorali, ma che deve essere perseguito in maniera stabile e costante nel tempo, se si vuole evitare che, in ogni occasione elettorale, il cittadino si affacci con un punto interrogativo, estemporaneamente risolto soltanto a poche ore dal voto.

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