Preambolo


La pandemia di Covid-19 che si è diffusa nel mondo rischia di impattare sul corso politico-economico della Russia segnato dalla recente riforma costituzionale che sta preparando una nuova era Putin. Una tale catastrofe epidemiologica, che genera e amplifica paure e insicurezze, potrebbe essere un motivo in più per giustificare la presenza sine die di Putin al Cremlino e il rafforzamento dell’autorità dello stato, o potrebbe incrinare la popolarità del presidente e il rating del potere.

Solitamente i sistemi autoritari escono rinforzati da simili flagelli: il silenziamento di media e rete col pretesto dell’infodemia, il possesso della totale legittimità di restringere le libertà dei cittadini per garantire una maggiore sicurezza, o la sospensione delle mobilitazioni popolari per evitare assembramenti con lo scopo di prevenire la diffusione del contagio, avvantaggiano i regimi illiberali fortificando il loro monopolio sul potere.

 

Tuttavia, ogni paese ha la sua storia. In Russia, il presidente Putin si è mosso con un certo ritardo delegando l’adozione di provvedimenti “impopolari” di contrasto al Covid-19 agli 85 soggetti federati (i poteri locali), di cui è composta la Federazione russa, nonostante i vertici dei soggetti della Federazione non abbiano i poteri per introdurre tali provvedimenti. Solo un decreto del presidente, approvato dal Consiglio della Federazione (la camera alta) può disporre misure di restrizione dei diritti costituzionali dei cittadini. Nel frattempo, la Duma (la camera bassa) ha approvato una legge anti-coronavirus (25 marzo), con cui affida al governo la piena responsabilità di dichiarare lo stato di emergenza in tutto il paese o in alcune regioni e di stabilire regole di condotta obbligatorie. In questo modo, Putin cerca di preservare la sua immagine di “garante della stabilità del paese” e di scaricare un domani su altri le responsabilità delle misure di stretta sorveglianza adottate con la scusa di fronteggiare la situazione d’emergenza. I governatori regionali e i sindaci hanno messo a punto diverse modalità di controllo dei cittadini. Nella municipalità di Mosca – epicentro della pandemia, le uscite con l’uso dei mezzi di trasporto sono concesse solo se si è in possesso di un modulo elettronico online con codice QR generato da siti governativi che consente il monitoraggio degli spostamenti dei cittadini. Per i trasgressori sono previste multe e nei casi più gravi pene detentive. Queste misure, che danno ulteriore impulso allo sviluppo della tecnologia già in uso per controllare i movimenti e la comunicazione dei cittadini, sono state oggetto di critiche da parte delle forze d’opposizione, che temono possano persistere ed espandersi, terminata l’emergenza Covid-19, costruendo un vero e proprio “campo di concentramento digitale” – come ha affermato il leader del Partito del cambiamento, D. Gudkov.


Putin visita i malati di Covid-19 a Mosca


Ma la partita non si chiude qui. In realtà, il Covid-19 si presenta come una sfida titanica per Putin. In gioco è proprio la “stabilità”, la parola chiave brandita come un mantra dal presidente per legittimare la riforma costituzionale approvata i primi di marzo dal parlamento, che gli consente di prolungare la sua permanenza al Cremlino. Il piano d’emergenza sanitaria adottato in Russia s’inserisce in un contesto distinto da un servizio sanitario nazionale compromesso da burocratismo, corruzioni e tagli al personale (vanta, per contro, un eccellente staff medico e para-medico nelle cliniche private), al punto che il calo demografico nel paese è da imputare non solo alla decrescente natalità ma anche alla scadente qualità delle strutture pubbliche socio-sanitarie. Sul versante economico, la fragilità della piccola e media impresa e la quasi totale assenza di tutele per il mondo del lavoro mostrano un sistema produttivo in affanno, con una possibile impennata della disoccupazione. L’isolamento degli anziani, più esposti al rischio di contagio, rischia di minare la base sociale delle famiglie (sorretta dalla figura della babuška – nonna, che si occupa della casa, dei nipotini e della cucina quando i figli sono al lavoro), mettendo a nudo uno stato sociale pressoché inesistente.

Confidando sulle riserve valutarie e sulla oligarch-tax, il governo ha varato una serie di misure anti-crisi, che introducono sussidi integrativi a famiglie e imprese. Quanto saranno efficaci queste misure su un tessuto economico non solido dipenderà dalla profondità dell’impatto della pandemia e dalla sua durata. È certo che la tassa sugli oligarchi non potrà essere applicata a lungo e che le riserve valutarie sono messe a dura prova, tenuto conto che la recente rottura delle trattative con l’Opec sul controllo dell’estrazione del petrolio ha colpito le difese dell’economia russa con il crollo del prezzo sul greggio (già in ribasso per effetto dell’epidemia) e la conseguente svalutazione del rublo. Ed è noto che le maggiori entrate statali provengono proprio dai proventi degli idrocarburi.

Intanto, anche a detta di Putin, per i ceti più vulnerabili (inclusa una buona fetta della classe media russa), che sono la gran parte della popolazione e che costituiscono il principale bacino elettorale del presidente russo, le prospettive per i prossimi mesi non sono delle migliori. Ma Putin ha capito che se saprà traghettare il paese fuori dalla pandemia senza eccessivi danni, questa potrebbe trasformarsi per lui in un’opportunità, soprattutto in considerazione del fatto che il presidente da tempo sostiene davanti al paese che la propria permanenza al potere è la sola garanzia perché la Russia non rischi affondi.


Il lockdown in Russia 


Intanto, prende tempo, rinuncia a governare la crisi sanitaria dal centro (delegando le decisioni alle regioni e al governo), e si riserva spazi di manovra per agire poi a seconda di come si metteranno le cose. Putin non ama il rischio. La posta in gioco è troppo alta per commettere errori. Più volte è apparso in televisione. Ha lanciato di persona la tassa sugli oligarchi, chiedendo di accettarla con comprensione, poiché è una risorsa che “andrà a sostenere la famiglie con bambini, i malati e le persone che resteranno senza lavoro”. Ha più volte espresso il pensiero di un bilanciamento equilibrato tra salute pubblica e benessere materiale. L’economia è importante ma non è la priorità, e chi lo pensa “chiede di tornare all’inciviltà e alla barbarie… La Russia non è Sparta. Non getterà i più deboli dalla rupe”. La solidarietà è la parola chiave della crisi. Nell’appello del 25 marzo, ha differito sine die la data di consultazione popolare di approvazione della riforma costituzionale. Un appuntamento, a cui – ha affermato il presidente – “tengo moltissimo, come sapete”, anche se gli emendamenti alla Costituzione sono già stati approvati dal parlamento. Ma tale consultazione ha per Putin un chiaro significato simbolico. In caso di esito positivo del voto la sua permanenza al potere sarebbe frutto della volontà popolare.


La riforma costituzionale


Con questa riforma, l’autoritarismo, costruito nel corso del ventennio putiniano attraverso la restituzione progressiva della centralità alla verticale del potere, sarà ulteriormente consolidato: a partire da un più forte sistema di controllo federale sui governi locali sino ad arrivare alla prefigurazione di un Consiglio di Stato della Federazione Russa (FR), che sarà investito di un super-potere (per ora solo organo consultivo, presieduto dal presidente), avendo tra i suoi compiti quello di definire gli indirizzi fondamentali di politica interna ed estera della FR e di individuare le aree prioritarie di sviluppo socio-economico del paese. La riforma prevede che i governatori regionali facciano parte del Consiglio di Stato, che vedranno, dunque, accresciuto il proprio ruolo, in cambio di una più salda lealtà al Cremlino. Lo statuto del Consiglio di Stato sarà introdotto in Costituzione. Tuttavia, il passaggio che mostra un netto rafforzamento delle tendenze illiberali della riforma è quello che consentirà all’attuale presidente di partecipare nuovamente alle elezioni del capo dello stato. Su proposta della deputata di Russia Unita, V. Tereškova, è stata adottata una modifica in base alla quale sarà possibile azzerare il numero dei mandati ricoperti dal presidente in carica dopo la riforma costituzionale, consentendo con ciò la rielezione alla presidenza di Putin.

La riforma potenzia la nazionalizzazione delle élite, con l’introduzione del divieto di possedere una cittadinanza straniera o un permesso di soggiorno di un altro stato per il presidente del governo, ministri, parlamentari, governatori di regione e giudici. Stessa regola sarà applicata al candidato alla presidenza, che dovrà dimostrare, inoltre, di risiedere in Russia da almeno 25 anni (e non più 10 anni), e che non potrà svolgere più di due mandati consecutivi.

Con la preminenza della Costituzione russa sulle disposizioni dei Trattati internazionali viene ribadita la primazia dello stato russo e dei popoli costituenti la FR – sostanza della democrazia sovrana (idea elaborata dal consigliere di Putin, V. Surkov), che critica gli “eccessi” della difesa universale dei diritti dell’uomo e che rivendica la non interferenza negli affari interni da parte di entità straniere. A protezione della sovranità statuale, è previsto, inoltre, il divieto di azioni volte ad alienare parte dei territori della FR.

Altro punto della riforma è quello che consente al Consiglio della Federazione di proporre al presidente il licenziamento dei giudici federali. Su raccomandazione del presidente, alla camera alta è anche concessa l’autorità di rimuovere dall’incarico i giudici delle Corti costituzionali e supreme. Infine, il presidente potrà nominare e licenziare – dopo aver consultato il Consiglio della Federazione – il procuratore generale della FR e i suoi sostituti. Si assiste, in questo modo, ad ulteriori penalizzazioni dell’autonomia di giudici e procuratori, la cui conseguenza è l’annichilimento del sistema di pesi e contrappesi, che mette in discussione la capacità di rendere effettivo il principio della separazione dei poteri.

Il progetto di riforma prevede che la Duma approvi (e non esprima più un consenso) le candidature del presidente del governo, nonché su indicazione di quest’ultimo anche di tutti i suoi vice e ministri federali, che saranno poi nominati dal presidente. Il presidente non potrà respingere i candidati approvati dalla Duma. Alcuni analisti hanno commentato positivamente questo punto della riforma, interpretandolo come una dislocazione del potere del capo dello stato verso il parlamento, pur mantenendo la Russia un regime a forte impronta “presidenziale”. Tuttavia, è il caso di osservare che sotto un regime “autoritario competitivo”, come quello russo, le elezioni politiche, che rimangono, al pari delle cosiddette democrazie liberali, la principale fonte di legittimità per il potere, non risultano “libere e imparziali”, e sono tese a premiare lo schieramento politico del governo in carica. Altri hanno spiegato questa traslazione dei poteri come l’ipotesi di una futura candidatura di Putin a primo ministro, riconfermando l’esecutivo bicefalo Medvedev/Putin del 2008-2011.

Con lo scopo di assicurare un relativo benessere, la riforma potenzia il carattere sociale dello stato. La Costituzione della FR stabilisce che il salario minimo non deve essere inferiore al livello di sussistenza. Gli emendamenti proposti fissano in aggiunta l’indicizzazione obbligatoria per pensioni, indennità e altri benefit sociali e la garanzia di un’assicurazione sociale obbligatoria.

 

La riforma “costituzionalizza” i valori costanti richiamati da Putin e dal suo partito “Russia Unita”: deržavnost’ (grande potenza) e gosudarstvenničestvo (stato forte), il cui combinato è l’idea che la Russia sia destinata ad essere una grande potenza se imperniata su uno stato forte, oppure a non esistere affatto. Putin guarda al passato. Elogia Pietro il Grande, fondatore della Russia moderna, e il “riformatore” Stolypin, primo ministro dello zar Nicola II, che è riuscito a realizzare le sue riforme agrarie, senza rinunciare ai tradizionali metodi dispotici di governo. “In Russia – diceva Stolypin – le riforme liberali possono essere compiute soltanto da un potere forte”. Particolarmente evocativa dal punto di vista putiniano è l’esortazione del primo ministro – rivolta ai socialisti rivoluzionari in una seduta alla terza Duma – a individuare come prioritaria, per rendere l’Impero russo competitivo, la stabilità interna di lungo periodo contro qualsiasi velleità di insurrezione “…Datemi venti anni di pace interna (…) e non riconoscerete la Russia. (…) Voi avete bisogno di grandi sconvolgimenti, noi abbiamo bisogno di una Grande Russia”.

Pugno di ferro e sviluppo socio-economico – questi sono i vettori che accompagnarono la riforma di Stolypin, e che il presidente russo ha preso a modello. Impossibile non accostare quelle parole al richiamo ostinato di Putin alla stabilità del paese, come bastione di difesa dal disordine mondiale e dalle vulnerabilità di cui soffre la Russia, che “…avrebbe esaurito la sua quota di rivoluzioni e che ora ha bisogno di uno sviluppo evolutivo e ordinato”. E chi meglio di lui può assicurare l’equilibrio necessario per continuare a rafforzare l’autorità dello stato? “Dopo tutto – sostiene Putin – è il presidente il garante della Costituzione, della sicurezza dello stato, della sua solidità interna…”. Un segno chiaro diretto a eternare la sua figura – soprattutto in assenza di un degno successore – cui va il merito di aver suscitato il desiderio di riscatto.

Un altro pacchetto di emendamenti è teso a proteggere Dio, patria e famiglia: il matrimonio è un’unione tra un uomo e una donna; lo stato ha il dovere di onorare la memoria dei custodi della patria e di difendere la verità storica, di preservare l’identità culturale panrussa, la diversità etnoculturale e linguistica dei popoli della Russia, e di indicare la fede in Dio – come valore ricevuto dagli antenati. Il riferimento a Dio nella Carta costituzionale è stato fortemente voluto dal patriarca Kirill, che ha avuto una parte centrale nella definizione della nuova architettura costituzionale russa. Alla Chiesa ortodossa è, infatti, sempre più riservata una posizione di favore, che ha finito con il dar vita in Russia all’antico sodalizio bizantino tra Sacerdotium e Imperium. E qui si chiude il cerchio. Il messaggio è seducente, ma regressivo e rischioso: la Russia è uno “stato-civiltà, che non oscura la cultura, le tradizioni, la religione e i sacri valori familiari del popolo russo, la cui missione è diversa da quella della civiltà occidentale, secolarizzata e aperta al multiculturalismo, all’immigrazione e all’ideologia di genere, che hanno comportato una debolezza e una degenerazione delle società, dimostrando quanto sia ormai obsoleta l’idea liberale.

Ma cosa pensano i russi di questa riforma? Gran parte di loro crede alle parole del presidente contenute nel suo ultimo messaggio all’Assemblea Federale: “la riforma è necessaria per migliorare la governance nell’interesse della maggioranza della popolazione”. Ancora a marzo 2020, il 63% dei russi esprimeva un giudizio positivo sull’operato di Putin (Levada Center). La silogarchia sostiene l’apparato di potere, e la Russia delle province, segnata da una società civile apatica, conservatrice, omofoba e razzista, si affida al presidente – l’uomo forte e garante della tradizione. Eppure i consumi ristagnano per via dei salari invariati o in calo (il salario medio è pari a 587 euro mensili). Più della metà dei cittadini sono privi di risparmi e di una rete di protezione sociale. Il tasso di povertà è al 15%. Aumenta il conflitto sociale. La classe media russa, cresciuta nel corso del ventennio putiniano dal 20% al 42% della popolazione, è disomogenea. Il suo nucleo più vulnerabile (26% – con un livello reddituale e d’istruzione medio-basso, che vive fuori delle grandi città) accusa la nomenclatura di cleptocrazia e stagnazione economica. Tuttavia, guarda con sospetto all’offerta politica dei movimenti e partiti di matrice liberale (di cui fanno parte, tra gli altri, l’oligarca Chodorkovskij – tristemente noto per la vicenda della Bank Menatep, I. Jašin – delfino di B. Nemcov, ucciso nel 2015 e artefice negli anni ’90 della “shock therapy” in campo economico, M. Kas’janov – già ministro delle Finanze sotto la presidenza El’cin) e respinge le istanze anti-corruzione estremiste e populiste del blogger Naval’nyj, prediligendo la certezza di una stabilità economica e politica che l’opposizione antisistema non è in grado di garantire. L’altra parte di ceto medio (16%), che possiede una posizione socio-economica e un’istruzione più alte ed è concentrata nelle metropoli, rappresenta la base sociale protagonista del cambiamento. È quella che ha seguito o partecipato alle proteste del 2011-2013 (“rivoluzione della neve”) contro la corruzione e i brogli elettorali.

Per un momento sembrò che questa esplosione di attivismo politico potesse influire sulle dinamiche del potere russo. In realtà non è andata così. Da allora molte cose sono cambiate, nel paese e fuori. Internamente, l’estrema eterogeneità del fronte delle proteste, insieme con la stretta repressiva e le leggi liberticide, aveva indebolito l’opposizione. All’estero, c’era stata la crisi ucraina, l’annessione della Crimea alla Russia e la guerra in Siria. Tutto ciò ha consentito il ritorno vittorioso di Putin al Cremlino nel 2018, grazie anche a candidati concorrenti deboli. Le successive proteste del 2017-2018 contro la riforma delle pensioni e del 2019 contro l’esclusione di alcuni candidati dell’opposizione dalle liste per il rinnovo degli organi dei governi periferici non hanno scalfito gli equilibri di potere. Il partito di governo, “Russia Unita”, si è confermato prima forza politica alle elezioni locali, pur con una flessione dei consensi.

Certo, la pandemia rischia di rimescolare le carte. Ma Putin incarna tuttora lo shock post-traumatico del paese. E la sua forza odierna è proporzionale alla debolezza delle forze d’opposizione. Non c’è allora speranza di cambiamento? Personalmente credo che nel medio periodo Putin rimarrà ancora in sella – con una popolarità più bassa. Non nel lungo periodo. La stabilità da sola non basta a reggere un sistema. Cosa sarà poi la Russia post–Putin è il tema del futuro.

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