di Alexander Langer
Fondatore del partito dei Verdi italiani e Leader del Movimento Verde Europeo

Forse sarebbe dunque meglio riporre le idee sino­ra dominanti intorno allo stato-nazione nell’ambito delle fantasie idealtipiche, difficili da incontrarsi o da attuare nella realtà, e denunciare come sbagliata (o quantomeno irrealizzabile) la concezione-base che a esse si connette: che cioè un popolo (una etnia, una tribù, ecc.) per vivere bene e affermare la pro­pria soggettività storica e la propria libertà e demo­crazia abbia bisogno di vivere sul territorio in cui si trova in una condizione di omogeneità etnica, possi­bilmente dotata di sovranità, o comunque almeno di maggioranza. Tale concezione porta all’esclusivismo (o integralismo) etnico, che nelle sue forme estreme – e purtroppo non rare nella storia – impone l’inclusione o l’esclusione forzata dei «diversi» (persone, gruppi, lingue, culture, religioni…). Ciò può avveni­re da un lato attraverso l’assimilazione imposta e non di rado violenta, dall’altro attraverso l’emargi­nazione, la discriminazione, l’espulsione dal territo­rio o addirittura lo sterminio. In ogni caso l’integra­lismo etnico produce attriti e guerre – ormai questo è noto dall’esperienza storica, e bisognerebbe saper­ne tener conto.

Chi desidera o costruisce uno «stato dei tedeschi» (o degli italiani, dei rumeni, dei croati, dei lettoni, dei francesi…) non dovrà stupirsi se tutti quelli che non si considerano tedeschi, italiani, rumeni, croati, let­toni o francesi – a seconda dei casi – comincino a sentirsi a disagio e a ribellarsi. E quanta più statua­lità si collega all’affermazione degli obiettivi etnici o nazionali, tanto più pericolose ne saranno le conse­guenze. Anche una politica della convivenza pluri-etnica non potrebbe puntare in prima linea sugli strumenti della statualità, ma esige comunque anch’essa una certa misura di garanzia istituzionale del pluralismo linguistico, etnico, culturale e religioso, e della sostanziale parità di diritti e opportunità, non­ché del reale riconoscimento e della promozione del­la diversità e della sua dignità.

Chi è consapevole di quanto infausta e pericolosa sia ogni tentazione di esclusivismo etnico, dovrà in­ vece lavorare intorno a politiche positive di convi­venza: sarà questa una delle principali sfide dell’oggi e del prossimo futuro, e sarà questo uno dei para­metri decisivi secondo i quali si devono misurare gli stati, le strutture politiche e anche gli stessi obiettivi e le iniziative dei movimenti etno-nazionali minori­tari. Esclusivismo etnico o politica della convivenza: è questa la fondamentale alternativa da porre, e sta qui una sorta di cartina di tornasole per verificare un importante aspetto della qualità pacifica o guerra­ fondaia di stati, costituzioni, ordinamenti – e anche dei movimenti di risveglio etnico.

Bisognerà dunque valorizzare la dimensione terri­toriale assai più che la dimensione etnica o naziona­le: il comune vincolo che unisce le persone convi­venti su uno stesso territorio, costituisce un legame con esso e tra le generazioni che vi si susseguono. Vi possono confluire positivamente importanti aspetti ecologici, sociali, economici e anche culturali, e decisamente vi corrisponde meglio una concezione fe­deralista piuttosto che lo stato-nazione o le sue cari­cature in sedicesimo. Anche perché gran parte degli odierni stati c.d. nazionali sono al tempo stesso trop­po grandi e troppo piccoli: troppo grandi per assicu­rare reale democrazia e partecipazione, e troppo pic­coli per affrontare in modo efficace i maggiori problemi di carattere sovra-nazionale (p. es. la pro­tezione dell’ambiente o la politica di sicurezza).

Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 70543\