Tra l’8 e il 10 maggio, investitori in tutto il mondo hanno visto volatilizzarsi gli incassi ottenuti negli anni del boom delle monete virtuali. Per qualcuno la bolla sta per esplodere. Altri, però, credono ancora che siano il futuro della finanza.
«È come se avessi comprato un’auto nuova ieri e dopo 24 ore l’avessi schiantata contro un muro. Oggi mi sta andando male, ma vediamo come prosegue». Rocco la prende con filosofia ma in pochi mesi, a partire dall’inverno scorso, ha perso circa 30 mila euro, tutti investiti nelle criptovalute più blasonate. Il tempismo certo non ha aiutato: dopo il massimo storico raggiunto a novembre da Bitcoin ed Ethereum, è cominciata una spirale ribassista del valore delle monete digitali.
Da allora e fino ai primi di maggio, la moneta più popolare del settore ha perso quasi il 50% del suo valore. Niente, però, in confronto allo scenario che si sarebbe palesato pochi giorni più tardi quando, tra l’8 e il 10 maggio un’altra criptomoneta, TerraUSD, ha registrato un crollo del 98% in un solo giorno, trascinando ulteriormente in basso tutto il settore.
«La tempesta perfetta», «Debacle», «Una settimana da incubo», erano i titoli[1] di alcuni giornali all’indomani di quello che alcuni analisti stimano – un po’ frettolosamente – essere la fine del settore cripto. Nella loro visione più idealistica, le monete virtuali sono strumenti nati per garantire transazioni verificate da un sistema tecnologico all’avanguardia e decentralizzato che permette di aggirare i circuiti della finanza, sistema di potere che ha sulla coscienza tante delle crisi economiche degli ultimi anni. Per una fetta di osservatori, questa crisi è la conferma invece che le cripto sono un mercato come tutti gli altri, incapaci di fuggire del tutto da squali e speculazioni. «Ho visto evaporare i risparmi di una vita», scrive un utente su Reddit, il social network a metà tra una piattaforma di discussione e un forum. «Ho perso 450 mila dollari, non posso pagare la banca e presto perderò la casa. L’unica via di uscita che vedo è il suicidio», si legge in un altro post. Esternazioni come queste hanno costretto i moderatori di Reddit a indicare in cima alle conversazioni in ogni Paese i numeri di assistenza da contattare in caso di panico.
Il weekend nero delle monete virtuali si è materializzato con un attacco speculativo di cui ancora non si conoscono i responsabili. Nata per essere utilizzata per comprare e vendere “metabeni” nel metaverso, il conio virtuale TerraUSD è collegato a una moneta gemella, Luna. Terra è una stablecoin, cioè una moneta ancorata a un valore, in questo caso al dollaro, con un rapporto 1:1. La gemella Luna ha un valore che oscilla, come spesso accade nelle crypto. Il sistema Terra-Luna era concepito per mantenersi in equilibrio: nel caso di un attacco nei confronti di Luna, Terra avrebbe comprato e venduto automaticamente dalla sua gemella, per mantenerla in assetto.
La criptomoneta però non è riuscita a salvare se stessa dalla speculazione: qualcuno ha infatti utilizzato enormi disponibilità di monete virtuali per abbassarne il prezzo e guadagnare dall’improvvisa perdita di valore, proprio come accade nella finanza offline.
La manovra – eseguita vendendo e comprando miliardi di dollari di criptovalute da altri utenti, sia nell’ecosistema Terra-Luna sia in Bitcoin – è avvenuta off the chain, ovvero ricorrendo all’acquisto di valuta da altri utenti e non dai mercati, per evitare di essere notati. Raggiunto il valore record di 69 mila dollari lo scorso novembre, Bitcoin – capostipite e più diffusa valuta elettronica – oggi oscilla intorno ai 27 mila dollari.
TerraUSD, il cui valore sarebbe dovuto restare fisso a un dollaro, al momento in cui scriviamo vale cinque centesimi.
Keep calm and buy crypto
In qualità di manager del reparto digitalization innovation di un’importante azienda italiana, Rocco, 34 anni, ha dimestichezza con il settore e il suo è un profilo atipico rispetto alla massa di utenti che popolano la galassia delle monete virtuali: «Gli alti e i bassi ci stanno, in questo settore – ammette Rocco due settimane dopo il tracollo -. Come nel mercato tradizionale, l’importante è imparare a gestire il rischio, ad “assimilare la perdita” come si dice in gergo, e a diversificare»
Alla base delle contropartite in criptovalute, c’è una serie di tecnologie che permette di strutturare i dati in modo innovativo: la blockchain. A differenza di un normale archivio di informazioni, nella blockchain (dall’inglese, catena a blocchi), ciascun dato inserito è convalidato da quello che lo precede e a sua volta convalida quello che lo segue: in questo modo, la perdita o l’alterazione di un’informazione sarebbe virtualmente impossibile in quanto invaliderebbe l’intera catena.
«In un mondo in cui cresce la sfiducia verso le istituzioni tradizionali non dovrebbe stupire che le criptovalute, le quali offrono la piena libertà di gestire i propri risparmi, siano generalmente guardate con attenzione», spiega Federico Pecoraro, imprenditore e fondatore di Chainblock. Esiste sempre il rischio di «avventurarsi senza comprendere a pieno i rischi di un investimento sbagliato o incorrere in una truffa, ma in questo non vedo enormi differenze con i mercati tradizionali», conclude Pecoraro. Secondo un recente sondaggio[2] commissionato da Euronews alla Redfield and Wilton Strategies (società di consulenza del mercato finanziario) gli italiani sono i principali detentori di Bitcoin in Europa: ne possiede il 18% della popolazione ma solo l’8% di questi dichiara di conoscere bene il settore, e il 49% ammette di saperne addirittura poco.
L’ingresso nel mondo delle crypto è a portata di tutti: pochi click, una carta di debito, il minimo indispensabile di dimestichezza con smartphone o pc.
Come nella finanza tradizionale, non serve nemmeno conoscere a menadito il funzionamento del sistema per cominciare a investire. I digital assets, inoltre, sono sempre più legittimati anche dalle istituzioni: in primis la Cina, che ne ha creato e lanciato una propria moneta; in secondo luogo, Europa e Stati Uniti, nei quali sono in corso i preparativi per crypto dollari ed euro.
Persino l’Ucraina, a un mese dall’invasione della Russia, ha deciso di ricorrere al mercato della moneta elettronica per raccogliere finanziamenti a sostegno del proprio sforzo bellico.
Tra febbraio e marzo il governo ha lanciato Aid for Ukraine, prima campagna governativa volta alla raccolta, attraverso singoli sostenitori in tutto il mondo, dei fondi per l’acquisto di armi, elmetti, indumenti antiproiettile e, addirittura, veicoli militari. Un modo per aggirare la tortuosa e lenta diplomazia. Il 19 marzo, a un mese dal lancio, il governo dichiarava di aver raccolto criptovalute per il valore di 60 milioni di dollari (56 milioni di euro); il crollo del mercato in corso da maggio ne ha ridotto il valore intorno ai 51 milioni.
Bolla o non bolla
Con transazioni quotidiane nell’ordine dei 500 miliardi di dollari – su oltre cinquemila diverse valute – sembra che i digital assets siano qui per restare. Tuttavia, dare un numero alla quantità di reali utilizzatori delle criptovalute sembra un’impresa impossibile: i wallet – portafogli al portatore – al momento registrati si aggirano intorno ai 68 milioni ma, complice l’impossibilità di regolare un mercato autogestito, è possibile crearne sempre di nuovi in modo anonimo senza particolari difficoltà.
«Una delle tante caratteristiche che hanno segnato il successo di questa tecnologia e la mancanza di intermediari, che non attrae solo chi cerca l’anonimato, ma anche e soprattutto chi vuole esplorare nuove possibilità di investimento», spiega Stefano Capaccioli, commercialista e fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain. «In qualche modo questo mi ricorda il passaggio dalla protezione dei signorotti locali, che offrivano protezione e un esercito in cambio delle tasse, all’avvento delle armi da fuoco, che di fatto segna la capacità anche del singolo cittadino di proteggere le proprie terre», chiosa.
Ma se da una parte è vero che alcuni wallet sono anonimi, dall’altra è pur vero che ogni transazione può essere pubblicamente monitorata da chiunque, semplicemente accedendo alla blockchain, il protocollo che governa ogni movimento e lo valida. Così è possibile essere a conoscenza in tempo reale di ogni informazione relativa alle transazioni dette crypto-whales (dall’inglese balene, transazioni mostruosamente grandi) così come delle transazioni più minute.
«Sono in questo settore per rimanerci, nonostante qualche perdita qua e là», confida Rocco. «Il mio è un investimento frazionato, ne ho ritagliato una parte da investire nel mondo delle criptomonete e sono cosciente che il rischio sia alto, ma mi auguro che un giorno questi investimenti mi permettano di liberarmi economicamente dall’azienda per cui lavoro per crearmi la mia strada, con i miei progetti».
Un gettone è per sempre
Ma non tutto ciò che passa dalla blockchain riguarda il mondo della finanza: per sua natura, il protocollo “a blocchi” su cui si basa l’intero sistema ha dimostrato di poter funzionare in molti ambiti. Dalla registrazione di contratti immobiliari fino all’inserimento in anagrafe dei nascituri, la blockchain ha stimolato la curiosità dei tanti che ne hanno studiato il funzionamento, fino a far gemmare la tecnologia che, forse più di tutte, è stata protagonista nel 2021: gli NFT. L’acronimo sta per Non fungible token, ovvero, letteralmente, gettone non sostituibile.
Si tratta di strumenti che permettono l’emissione di un codice non replicabile che identifica un dato oggetto.
Di particolare successo nel mondo dell’arte, gli NFT hanno ingenerato un movimento di piccoli o grandi investitori (qualcuno li chiama mecenati) in titoli di proprietà di opere digitali. Nulla impedisce che chiunque possa scaricare una copia di un’immagine presa dal web facendo uno screenshot o salvandola con un click destro del mouse, ma la proprietà virtuale di quella immagine, se ne è stato acquistato l’NFT, rimane a chi l’ha pagata.
Gianmaria, 32 anni, ha cominciato a osservare la galassia cripto già dal 2014 e a investirci i primi risparmi tre anni più tardi. In quanto creatore lui stesso di NFT, invece, li conosce abbastanza bene: «Dal punto di vista artistico non sono un’innovazione poiché la logica di mercato è simile a quella delle opere d’arte, ma per una miriade di eccellenti artisti rappresentano una potenziale fonte di guadagno, prima impensabile». La logica dietro gli NFT è, tutto sommato, semplice. Si assegna un codice univoco a un’opera – dal quadro a un’immagine in jpeg – che ne rappresenta una sorta di certificato di identità. Chi acquista l’opera, quindi, non possiede l’opera in sé quanto invece la possibilità di esercitare un diritto di proprietà sull’opera stessa. L’NFT in questione tiene inoltre traccia dei passaggi di proprietà.
Gli NFT di Gianmaria decodificano immagini di news relative a un arco temporale di 365 giorni. «Per ciascuna notizia del giorno abbiamo creato un’immagine all’interno della quale sono codificate informazioni quali la data della notizia, le coordinate geografiche, l’autore dell’opera e la componente visuale basata sulla trasformazione della notizia in forme geometriche».
La concorrenza è spietata, dice, ma il mercato offre ancora tanti spazi. Il suo obiettivo non è tanto il profitto quanto il lascito di un oggetto ai posteri: gli NFT sono una «navicella verso l’immortalità». «Per me – dice Gianmaria – vale il concetto del “lungo presente”: così come gli archeologici decodificano informazioni da reperti vecchi migliaia di anni, la nostra idea è trasferire informazioni che tra mille anni chi sarà su questo pianeta avrà la possibilità di decodificare».
Di tutt’altro avviso è Riccardo, docente di animazioni virtuali per il Politecnico di Torino. «Sono molto scettico sull’intero settore, NFT compresi», racconta. Da un lato, lo preoccupa l’impatto ambientale: i computer che macinano la tecnologia blockchain sono sempre più energivori. Dall’altro, sostiene che la logica di mercato resti la stessa che regola il mercato dell’arte attuale: «È completamente arbitrario, l’“opera” acquisisce valore solo nel momento in cui viene acquistata e quel che è peggio è che tu in quanto acquirente non la possiedi, non puoi dire che è tua, detieni invece il solo certificato di proprietà. Uno scontrino, insomma».
Successo e disciplina
La mancanza di regole e di paletti normativi è stato uno dei motivi per cui le criptomonete hanno generato fin dall’inizio tanto interesse. Con il successo, però, è arrivata anche la maggiore attenzione di enti regolatori internazionali. Da un approccio istituzionale indirizzato a scoraggiare la crescita degli asset digitali, si è passati a un improvviso e deciso tentativo di condurre il cripto-mercato verso canoni di compliance già riconosciuti. C’è un’ammissione implicita in tutto questo: la crescita del settore è ben più rapida del previsto e non rappresenta più un fenomeno di nicchia destinato a sgonfiarsi.
Nel primo trimestre del 2022 Unione europea e l’OCSE hanno accelerato il processo normativo e la definizione di nuove procedure di cooperazione fiscale internazionale.
L’obiettivo è incanalare le cripto-attività all’interno di un filone con regole simili a quelle della finanza tradizionale. Gli interventi in corso sono tanti e profondi e potrebbero mettere in discussione alcuni concetti – come l’autoregolamentazione, l’anonimato e l’assenza di autorità di vigilanza – su cui si fonda l’intero settore.
Il più impattante, secondo gli esperti, sarà l’applicazione della cosiddetta travel rule, l’obbligo per banche e società finanziarie di conservare per diversi anni le informazioni che “viaggiano” (travel, in inglese) tra pagatori e beneficiari di una transazione. La regola obbliga i prestatori di servizi crypto a verificare le informazioni sul proprio cliente, a trasmetterle alla controparte e a renderle disponibili alle autorità competenti in caso di indagine. Ogni convenzione internazionale per la lotta al riciclaggio di denaro sporco e all’evasione fiscale si basa su regole di questo genere. Ma il sistema crypto è per sua vocazione anonimo e quindi ostile al tracciamento di pagati e pagatori.
Il 14 marzo scorso, il Parlamento europeo ha dato il primo via libera al regolamento MICAR (Market in Crypto-Asset Regulation), proposto a settembre 2020 dalla Commissione europea. Il testo è stato oggetto di significativi emendamenti da parte del Parlamento rispetto alla versione originale. Le più rilevanti andranno a equiparare le cripto-attività a strumenti finanziari, fornendo definizioni (cosa si intende per crypto, per operatore, per wallet e così via) e obblighi (registrarsi presso l’autorità nazionale, fornire linee guida sulla tutela dei consumatori, obblighi di trasparenza, requisiti minimi per l’emissione di token…). Prima di diventare operativo, il MICAR passerà per un successivo round di negoziazioni tra Commissione e Parlamento.
Infine, l’OCSE. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico è in fase di progettazione di un sistema per lo scambio di informazioni tra autorità fiscali espressamente dedicato alle cripto-attività.
In Italia è invece in fase di studio un regime fiscale che prevede anche un “criptocondono” per gli italiani che detengono criptovalute non ancora dichiarate.
Per gli amatori come Gianmaria, la questione è distinguere i professionisti dai ciarlatani e non farsi fregare dall’idea di soldi facili. La popolarità di una criptomoneta o di un sistema di blockchain non è per forza sinonimo di qualità nella sua componente tecnica. «Il problema è che ci sono dieci aziende che lavorano con tecnologie all’avanguardia e personale competente, che sono poi oscurate da altre mille aziende che si comportano in maniera opposta e screditano il sistema», ragiona. «Per me vale la logica del gioco d’azzardo: se investi 5 euro è un conto, se scommetti la casa di famiglia, allora, bisogna fare attenzione».
[1] https://www.ilsole24ore.com/art/cripto-settimana-incubo-arriva-crack-token-luna-AEXtpiYB
[2] https://www.corriere.it/economia/finanza/21_settembre_02/bitcoin-18percento-italiani-li-ha-ma-non-sa-cosa-siano-allarme-lagarde-bce-bf437ac2-0bda-11ec-a022-b610359699dd.shtml
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