Il tasso di disoccupazione a luglio era all’11,3%. Lo ha comunicato l’Istat segnalando un aumento di 0,2 punti percentuali da giugno. Il dato sarebbe tuttavia da leggere in positivo perché si accompagna a un incremento degli occupati, + 59 mila unità, e un drastico calo degli inattivi, -115 mila. Aumenta quindi la quota di persone che pur non avendo un lavoro si mette alla ricerca, e questo fa crescere il tasso di disoccupazione, cioè il numero di persone che sono a caccia di un impiego ma non lo trovano. L’istituto di statistica segnala inoltre come, per la prima volta dal 2008, il numero totale degli occupati in Italia sia tornato a salire sopra quota 23 milioni su base tendenziale, cioè rispetto a luglio 2016, il numero di occupati sale di 294 mila unità. Nello stesso periodo diminuiscono sia i disoccupati (-0,6%, -17 mila) sia, soprattutto, gli inattivi (-2,4%, -322 mila).
I movimenti positivi sul fronte del lavoro sono ovviamente accolti con favore da politici e opinionisti, ma non si può non constatare come il mercato del lavoro nel nostro paese sia un tema su cui la sfasatura tra la percezione collettiva e le rilevazioni ufficiali è ancora particolarmente vistosa. L’elemento di novità è che la pensa in modo simile anche la Banca centrale europea, stando al bollettino economico diffuso l’11 maggio scorso, un documento che ha avuto scarsa eco sui mezzi di comunicazione. Secondo la Bce la disoccupazione in Italia (e in Europa) è significativamente sottostimata: tenendo conto non solo dei disoccupati (persone che cercano lavoro), ma anche degli scoraggiati (persone che non cercano più lavoro ma vorrebbero lavorare) e dei sottoccupati (persone che vorrebbero un lavoro a tempo pieno ma hanno ottenuto solo un part time), la disoccupazione media dell’Eurozona passerebbe dal 9,5 al 18% e quella italiana supererebbe il 25%. Ovviamente gli istituti di statistica (Eurostat a livello continentale, Istat in Italia) non vengono accusati di truccare i dati o di sbagliare i conti. Il problema sono i criteri di misurazione e, in ultima analisi, il concetto stesso di disoccupazione. L’ipotesi di partenza espressa nello studio della Bce è che il tasso di disoccupazione si basi su “un’accezione piuttosto ristretta di sottoutilizzo della manodopera” e che quindi “potrebbe tuttora persistere un alto grado di sottoutilizzo della manodopera, ben superiore al livello suggerito dal tasso di disoccupazione”.
Immagine storica: uomini disoccupati in coda fuori da una cucina aperta a Chicago (1931)
Il fatto che si cominci a parlare di “sottoccupazione” in senso ampio piuttosto che di disoccupazione in senso tradizionale non è tuttavia una particolare novità. Da anni la Federal Reserve statunitense utilizza, per la regolazione della propria politica monetaria, l’indicatore U-61, che misura l’incidenza sulle forze di lavoro allargate non solo dei disoccupati, che non intercettano le persone che si trovano nell’area di confine tra la disoccupazione e l’inattività, ma anche dei lavoratori part-time che vorrebbero lavorare più ore e degli inattivi che non cercano attivamente un’occupazione, ma sarebbero disponibili a lavorare immediatamente. L’U-6 è un indicatore importante perché misura la quantità effettiva di lavoro disponibile non pienamente utilizzata dal sistema produttivo, che il solo tasso di disoccupazione non è in grado di stimare. Infatti, accanto ai disoccupati, definiti come persone che non lavorano, che sono disponibili a lavorare immediatamente e che cercano attivamente un’occupazione, vi sono molte persone che hanno i primi due requisiti, ma che non cercano un lavoro perché sono in gran parte scoraggiate: sono considerati inattivi che fanno parte delle forze di lavoro potenziali. A questi occorre aggiungere i part-time involontari, che vorrebbero lavorare full time, ma non hanno trovato offerte di lavoro a tempo pieno.
Il tasso di sottoutilizzo del lavoro, che misura complessivamente la quantità di lavoro disponibile non pienamente utilizzata dal sistema produttivo, arricchisce le possibilità di fotografare il mercato del lavoro nel quale, tradizionalmente, le persone possono avere, dal punto di vista statistico, solo tre condizioni professionali: occupato, disoccupato e inattivo. Una classificazione troppo schematica per riuscire a cogliere, in un mercato del lavoro sempre più frammentato e diversificato, le complessità delle aree grigie in cui l’inattività degli scoraggiati, che sono pronti a lavorare immediatamente, non ha caratteri molto diversi dalla disoccupazione e anche l’occupazione a tempo parziale involontaria, con retribuzioni ridotte, condivide alcune delle criticità della disoccupazione, per esempio il rischio di povertà.
1 Alternative measures of labor underutilization (U-6): Total unemployed, plus all persons marginally attached to the labor force, plus total employed part time for economic reasons, as a percent of the civilian labor force plus all persons marginally attached to the labor force. Persons marginally attached to the labor force are those who currently are neither working nor looking for work but indicate that they want and are available for a job and have looked for work sometime in the past 12 months. Persons employed part time for economic reasons are those who want and are available for full-time work but have had to settle for a part-time schedule. Fonte: U.S. Bureau of Labor Statistics.