La strategia della sinistra deve iniziare da alcune osservazioni strategiche e da delle contingenze. I fatti strategici sono due: il sistema economico neoliberale si è inceppato e il sistema geopolitico unipolare, quello sognato dai conservatori americani, è finito.
In Postcapitalismo dico che o l’élite lascia il neoliberismo o la globalizzazione si sgretolerà. La logica di questo allarme è che, quando la crescita si contrae, la globalizzazione è sempre meno un gioco a somma positiva.
Non c’è abbastanza crescita affinché tutti beneficino del sistema di commercio globale – e se, come accade ora, la Cina comincia a succhiare una buona parte della crescita del resto del mondo, il problema si inasprisce.
Ma il crack del sistema è emerso soprattutto nel mondo sviluppato. La Brexit, l’elezione di Donald Trump, le transizioni ideologiche verso il nazionalismo xenofobo, come in Ungheria e Polonia, sono tutti sintomi dello stesso problema. Questi fenomeni raccontano un ritorno al neoliberismo nazionalista – si isola il paese dalle istituzioni della globalizzazione per implementare il Tatcherismo in un solo paese.
Allo stesso tempo, la tracotanza degli Stati Uniti ai tempi dell’amministrazione Bush ha spinto Obama a scegliere l’isolazionismo e a giustificato l’atteggiamento da cagnolino agitato di Trump. Come un maleducato Terrier, Trump guaisce e ringhia affinché potenziali amici e nemici lascino liberi gli Stati Uniti.
Queste erano le osservazioni strategiche. Le contingenze sono altre: praticamente ogni volta che la situazione è cambiata, il centro liberale della politica ha sottostimato la minaccia, e la socialdemocrazia di sinistra ha fatto lo stesso errore.
Nel Regno Unito, i tecnocrati centristi del partito liberaldemocratico si sono autodistrutti triplicando le tasse universitarie in una maledetta coalizione con la destra. Quando hanno indetto il referendum sulla Brexit per poi provare a mentire e convincere i cittadini di votare “remain”, gli stessi centristi liberali, ancora attorno a David Cameron, si sono compromessi di nuovo.
Ora, nella politica tedesca, davanti alla minaccia dell’estrema destra (pensiamo all’AFD), il centro sta ripetendo lo stesso errore, e il partito socialdemocratico si sta autodistruggendo in una nuova coalizione con la Merkel.
Davanti a questa situazione, cosa deve fare la sinistra? Per prima cosa, proporre una strategia economica che è più di un ritorno alle politiche Keynesiane degli anni settanta. Il pubblico italiano non fa fatica a ricordare come la militanza dei lavoratori non sia di per sé la cura al malessere dell’economia a spinta statale.
La crisi del neoliberismo è più profonda della crisi del capitalismo di stato a carattere Keynesiano. Col senno di poi, il modello del libero mercato era semplicemente un modello di lavoro piuttosto che la cura al problema fondamentale: bassa produttività e stati con un alto debito. Per trent’anni, noi abbiamo spinto la crescita attraverso l’indebitamento ed allargando la massa di lavoratori meno qualificati – sia attraverso migrazioni sia ritardando l’età dei pensionamenti sia aumentando la participazione.
La soluzione di lungo termine è un nuovo modello di crescita fondato sulla separazione tra lavoro e salario (attraverso il reddito base e servizi base universali) e sulla creazione di un forte settore di cooperative, enti no-profit, e produzione orizzontale.
Ma nel breve termine per riabilitare la propria immagine, la sinistra deve concentrarsi su due cose: rappresentare veramente i giovani – il loro cosmopolitismo, la loro cultura, la loro dimensione globale; e garantire economicamente la classe operaia – nella forma di infrastrutture, istruzione e spesa culturale.
Questa è la lezione di Jeremy Corbyn in Gran Bretagna. Corbyn ha rotto con il neoliberismo, pronunciato la sua morte, adottato promesse radicali per rinazionalizzare alcune industrie, controllare le banche e aumentare gli stipendi. E poi ha rifiutato ogni compromesso con razzismo, xenofobia, nazionalismo, già diffusi tra le comunità operaie più anziane.
Jeremy Corbyn, 27 febbraio 2016
E Corbyn ha deciso di rispettare il risultato del referendum sulla Brexit – combattendo però su due fronti, quello dell’impatto economico e quello dei migranti economici. I liberali, disorientati e centristi, volevano che il Labour dichiarasse una guerra culturale contro la sua stessa base, stigmatizzandone le idee come reazionarie.
Noi abbiamo rifiutato questa prospettiva. Da questa scelta si è generata una reale battaglia su due fronti: si lotta contro la xenofobia tra le classi operaie tradizionali e si lotta contro quel “far niente” delle élite che ha condotto alla distruzione di Hilary Clinton e alla Brexit.