Autrice e redattrice di libri scolastici
Artista e pedagogista
Articolo del percorso: #Cosedisinistra
Per la rubrica editoriale #FuoriLeidee

 


Introduzione

di Sabina Langer e Nazario Zambaldi


Nell’articolo I verdi e la sinistra (1985) Alexander Langer analizza con lucidità il rapporto tra “verdi” e “rossi”, tra centro e periferie, tra intellettuali e “ruspanti”, interpretando categorie, partiti, politica come strumenti di una mediazione instancabile di un pensiero in azione. Il discorso di fondo dell’articolo sviluppa concetti presenti l’anno successivo nell’introduzione a La politica dei Verdi (F. Capra e C. Spertnak, La politica dei Verdi. Culture e movimenti per cambiare il futuro dell’Europa e dell’America, Feltrinelli, Milano 1986), una copia dell’edizione americana Green Politics. The Global Promise (E. P. Dutton, Inc., New York, 1984) con gli appunti di Langer è conservata presso la Fondazione Alexander Langer Stiftung a Bolzano.

L’attualità di questo discorso – tra realismo o fondamentalismo, sinistra o destra, conservatorismo o progressismo – mette in questione un’utopia rinchiusa nell’astrattezza intellettuale o ideologica e suggerisce invece un’apertura alle pratiche, all’esperienza. La polarizzazione che Langer intende superare rivela, oggi più che mai, il fraintendimento di culture, parole, categorie, concetti che traducono sinistra, destra, progresso, crescita, sostenibilità…

Individuando la matrice intellettuale e la base sociale del discorso ecologista nelle élite metropolitane, private dal rapporto diretto con la natura, Langer sottolinea come i Verdi possano scegliere “di caratterizzarsi come catalizzatori di una profonda riforma della politica, in nome della vivibilità del presente e del riguardo per le generazioni future o di ricadere nell’ambito dei movimenti effimeri che fanno una loro stagione e irradiano un qualche messaggio, ma poi non riescono a mettere radici durature nel tempo” (dalla citata introduzione del 1986). Proprio per poter cambiare paradigma – cambiare la politica anziché di politica – Langer guarda all’esperienza di quelle comunità che resistono allo sviluppo industriale e allo sfruttamento turistico per trovare valori, pratiche e relazioni da “conservare”.

Il suo pensiero sul rapporto con l’ambiente e tra le persone – oggi emergente nell’importanza della tutela dei “beni comuni” – sarà sistematizzato in La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile (1994). Qui come in altri scritti degli anni ’90, il motto olimpico citius, fortius, altius (più veloce, più forte, più alto) – che già negli anni ’80 Langer usava per caratterizzare la società capitalista – viene rovesciato in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce) per attuare una conversione ecologica individuale e sociale e poter costruire un benessere reale basato sulla qualità anziché sulla quantità.

Già più di trent’anni fa, Langer affermava infatti che lo “sviluppo sostenibile” poteva sì sembrare la magica quadratura del cerchio, ma non era altro che la legittimazione di un nuovo ordine mondiale in cui i paesi del Sud dovevano imparare a usare le risorse con più parsimonia e razionalità, per permettere a quelli del Nord di mantenere il proprio stile di vita.

Per Langer invece, una crescita più umana, intesa come coscienza condivisa, sceglie modelli desiderabili, eco-logici o eco-nomici (etimologicamente normativi del rapporto esseri umani ambiente), intelligenti. Anziché il consenso basato sulla paura – della catastrofe apocalittica, del cambiamento climatico o della pandemia – propone un ethos dell’autolimitazione, della semplicità e, in definitiva, della vivibilità anche nel presente.

 


I verdi e la sinistra riletto da Terre in movimento


“Se i verdi sapranno rinunciare alla tentazione intellettualistica di presentarsi come rinnovatori del mondo con progetti e principi astratti, e riusciranno invece a collegarsi a quanto di vivo e di propositivo si può ricavare dall’esperienza non ancora cancellata dei rapporti tra uomo e natura, e tra uomini, nella cultura popolare, il discorso verde potrebbe smascherare contemporaneamente la falsità del “conservatorismo” della destra e del “progressismo” della sinistra, prospettando una via d’uscita davvero liberata dalla consunta polarizzazione ereditaria tra destra e sinistra”

scriveva Alexander Langer nel 1985.

A più di 3 decadi dalla sua fondazione, il partito dei Verdi ha attraversato molte e alterne stagioni, arrivando alle recenti Europee del 2019 nella nuova formazione di Europa Verde ma senza superare la soglia di sbarramento in Italia, mentre in Europa il movimento ambientalista è in ascesa.

L’ambientalismo nel nostro Paese resta un lusso elitario perché si infrange puntualmente contro la più aberrante delle dicotomie: quella tra salute e lavoro. La fabbrica uccide ma senza di essa si muore. Come uccide il lavoro della terra fondato su schiavitù e caporalato.

Così, da Gela a Porto Marghera, da Porto Torres a Taranto, dall’Agro Pontino al foggiano, l’esigenza di sviluppo di interi territori economicamente arretrati è stata il lasciapassare per il loro sfruttamento e avvelenamento. Il grande inganno teso a popolazioni già storicamente penalizzate che si sono trovate a pagare in prima persona, con malattie e morti, lo sviluppo economico.

La fabbrica uccide ma senza di essa si muore.

 

Tale sviluppo ha un costo in termini di salute e di ambiente. Gli effetti sulla salute causate dall’inquinamento atmosferico raggiungono solo in Italia una cifra compresa tra i 330 e i 940 miliardi di euro all’anno. Siamo al nono posto nel mondo per i decessi causati da gas e polveri sottili. Gli alimenti contaminati causano 600 milioni di malati e 420mila morti nel mondo e costano ogni anno almeno 100 miliardi di dollari nei Paesi a basso e medio reddito. Tutto questo si chiama “diseconomia dello sviluppo”.

Il benessere economico è un anestetico che ci impedisce di vedere che continuiamo ad ammalarci e a morire a causa di uno sviluppo fatto di monopoli e di monocolture. Abbiamo urgenza di una nuova coscienza ecologista che difenda l’ambiente e gli esseri umani, specie quelli più socialmente e fisiologicamente fragili.

L’ecologia dello sviluppo sostenibile che chiede correttivi al modello capitalistico ha ormai ridotto l’ecologia a diventare una branca dell’economia senza riuscire a equilibrare la relazione tra uomo e natura. Tale ecologia è diventata obsoleta.

L’ecologia di cui abbiamo bisogno oggi deve diffondere una ridiscussione radicale del sistema economico fondato su tecnocrazia, competizione, iperconsumismo e iperproduzione e deve dimostrare che un altro mondo è possibile.

Tale mondo non solo è possibile ma è già esistente, lo è in quelle “manifestazioni di vita personale e comunitaria che conservano vitali elementi di un rapporto con la natura e tra la gente. Un mondo “spontaneamente ecologico”, come scriveva Langer, stilando un elenco oggi ancora valido: “dall’economia di sussistenza, alla coltivazione diretta, dall’agricoltura differenziata a tante forme ancora esistenti di artigianato, dalla sopravvivenza di forme comunitarie non-statuali e non-istituzionali, alla solidarietà vicinale e al mutuo aiuto, dall’ospitalità alla festa, dalle dimensioni stesse della vita quotidiana al modo di sentire e praticare tradizioni, costumi, idiomi, modi di dire”.

“Raccogliendo l’eredità del pensiero di Langer, l’ecologia che noi proponiamo è popolare e pone al centro valori umani e ambientali opposti alle disuguaglianze sociali e ai dettami del modello di sviluppo dominante.”

Questo scrive il collettivo Terre in Movimento nel suo manifesto “Per una ecologia popolare”, ideato e pubblicato durante il periodo di confinamento dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19.

“L’ecologia oggi necessaria non può non sentire su se stessa i medesimi pericoli che minacciano la natura e l’umano. Non può più affidarsi alla ragionevolezza delle élite, ma deve avvertire come ormai inevitabile il conflitto con il sistema economico – e con quello culturale che lo supporta – e metterlo al centro della propria azione”.

Su ogni territorio è possibile individuare i semi di un ambientalismo popolare pragmatico e fattuale, anche se spesso frammentato o privo della giusta voce, ma capace di tenere insieme passato e futuro, visione e buon senso, esperienza ed utopia, pratica e riflessione.

In tempi in cui l’ampiezza del respiro, fisico come intellettuale, torna di drammatica urgenza, raccogliere il testimone di Langer equivale a farsi interpreti della sua capacità di essere intercapedine e camera d’aria per il dialogo. Di fare spazio e farsi spazio per il confronto tra tutte quelle esperienze di ecologia popolare che, nei diversi luoghi dell’abitare il nostro pianeta, difendono la vita.

I movimenti ecologici popolari sono promossi e sostenuti in particolare dalle donne nei sud del mondo; l’ecofemminismo promuove attivamente il recupero della biodiversità ripensando l’intero sistema produttivo; le comunità indigene e le reti popolari sono in lotta contro il terricidio; i braccianti agricoli reclamano la riforma agraria; le pratiche di auto-organizzazione alimentare, le esperienze di comitati popolari e i movimenti dal basso lottano tutte, in vario modo, contro le devastazioni del territori

L’unico ambientalismo oggi possibile non può che ripartire dalle lotte di tutte le realtà che, su scala locale e globale, già esistono e resistono, mettendo in discussione i rapporti di produzione e di riproduzione sociale, per costruire reti e rafforzare il confronto che ha come scopo quello di allargare la visione degli uomini, delle donne e della società, per fare spazio al mondo.

 

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