L’articolo di Mariana Mazzucato, dal titolo Un’agenda per la sinistra pubblicato su La Repubblica mercoledì 8 ottobre 2015, ha l’indubbio merito di mettere in discussione il paradigma mainstream basato sull’austerità – intesa come riduzione della spesa pubblica e del perimetro delle attività economiche intermediate dallo Stato – e sulle cosiddette riforme strutturali del mercato del lavoro e dei beni che ha dominato il dibattito pubblico e le policy europee negli ultimi anni.
Una vera e propria provocazione, che ci spinge a ripensare quali siano le vere leve per aumentare la competitività del sistema Paese. Non la rincorsa alla svalutazione dei salari, ma un circolo virtuoso innescato da un processo di investimenti in ricerca e formazione e da una crescita dei salari pienamente proporzionale ai guadagni di produttività ottenuti grazie all’innovazione.
Le tesi proposte – presentate come una nuova agenda di politica economica offerta a quella parte di elettorato del Labour britannico in piena crisi di rigetto nei confronti della Terza via blairiana – dovrebbero essere di grande interesse anche per la Sinistra italiana. In particolare, non si può non riscontrare il ritardo della classe dirigente del nostro paese, che ha varato e ha tuttora in programma riforme che puntano a recuperare competitività sui mercati internazionali attraverso il taglio del costo del lavoro e la compressione della spesa pubblica per istruzione e ricerca.
Qual è il problema allora, se ne esiste uno, in questa nuova “agenda per la sinistra”? Essenzialmente quello di basarsi soprattutto su un ripensamento di classiche soluzioni basate sul ruolo dell’offerta e che sembrano accettare come data l’idea che la crescita economica sia un processo alimentato esclusivamente dalla dinamica dei fattori di produzione e dal progresso tecnologico. Pur condividendo l’idea che non ci potrà essere ripresa senza ritorno alla crescita degli investimenti pubblici e privati non si può però non sottolineare come gli investimenti stessi potranno ripartire solo in presenza di una solida crescita della domanda.
L’analisi della Mazzucato, che pure offre squarci rilevanti in questa direzione citando giustamente la crescente divaricazione fra la dinamica dei salari e quella della produttività e l’importanza della spesa pubblica come volano dello sviluppo, sembra quindi fermarsi a metà del guado, forse temendo di spingersi fino alla logica conseguenza di chiedere il ritorno ad autentiche politiche di piena occupazione, e quindi troppo in là anche per la sinistra britannica post-Blair.
È un peccato soprattutto perché persino negli Stati Uniti economisti come Paul Krugman e Lawrence Summers non stanno esitando a proporre al grande pubblico analisi che vanno proprio in questa direzione. Come primo passo della sfida lanciata dalla nuova leadership laburista per conquistare i cuori e le menti dell’elettorato britannico non si può tuttavia che applaudirlo e approvarlo.
Mario Perugini
Ricercatore di Spazio Lavoro, un progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli