Università degli Studi di Pavia

LA DIFFICILE COMPARAZIONE DELL’ATTUALE CRISI PANDEMICA GLOBALE CON ESPERIENZE ANALOGHE DEL PASSATO

In primo luogo mi sembra opportuno tenere conto del fatto che questa crisi pandemica non ha precedenti di breve periodo e che, per trovare possibili comparazioni, peraltro differenti dal caso di specie, è stato fatto ricorso a memorie storiche (Asiatica (1957-1958), Spagnola (1918-1920), Peste (1629-1630) anche molto lontane tra loro. In effetti, talune specificità di questa pandemia sembrano aver messo in crisi i sistemi sanitari di molti Stati e messo in allarme in tutto il Globo terrestre:

 

  • il virus denominato COVID-19 non era conosciuto in ambito scientifico e non si era così consolidata una letteratura specifica e mancavano protocolli per la cura. Dopo l’insorgere della crisi, mentre si affrontavano le emergenze sanitarie, con molte analogie tra i diversi sistemi nazionali, erano messi in opera anche studi e condotte sperimentazioni. Ciò nonostante permangono numerose incertezze avvalorate dalla ricerca scientifica internazionale. Come in altre circostanze del passato, inoltre, i sistemi sanitari non possono ancora avvalersi di un vaccino;

 

  • in condizioni di emergenza e di particolare stress  i sistemi di prevenzione e di gestione territoriale della salute, sia in ambito globale che in ambito statuale e locale sono intervenuti con un certo ritardo e sembrano essere risultati meno efficienti e meno organizzati rispetto alla capacità di risposta dei sistemi ospedalieri preposti alla cura dei malati. Tutti gli Stati hanno potenziato le strutture, sia pure con difficoltà estreme e ritardi, in parte giustificati dalla diffusione del contagio e dalla velocità con cui la crisi epidemica ha colpito i diversi Paesi;

 

  • lo stress a cui sono state sottoposte le strutture  sanitarie, nei Paesi più avanzati, in generale, sembra avere retto lo tsunami pandemico se pure sarà opportuno tenere conto di questa emergenza per ripensare ai pregi e alle debolezze di ciascun sistema;

 

  • il nostro Paese si era dotato, nel tempo, di una efficiente struttura di protezione civile (per un’interessante lettura di questa vicenda si può v. V. Pepe, Il diritto alla protezione civile, Giuffrè, Milano 1996; M. Furiozzi, La protezione civile in Italia e all’estero, Centro Editoriale Toscano, Firenze 2010; E. D’Angelis,Italiani con gli stivali. Storia, imprese, organizzazione della protezione civile, Polistampa, Firenze 2016) a cui è stata affidata la responsabilità del coordinamento e della gestione della crisi. Questo pur efficiente sistema, affinato dopo ogni catastrofe naturale che ha interessato il nostro Paese, non era stato mai attivato per affrontare una crisi prodotta da un’epidemia. Questa constatazione può aiutare a riflettere sulle deficienze che si sono manifestate con l’auspicio che s’intenda trarre insegnamento dalla vicenda in atto per rendere più efficiente il sistema e più efficace la risposta per i tempi a venire.

 

 

QUALCHE NOTA RELATIVA ALLA GESTIONE ISTITUZIONALE E POLITICA DELLA CRISI

In tutte le crisi epocali che si sono presentate alla ribalta della storia i governanti hanno sempre risposto facendo ricorso a “poteri eccezionali”. In passato si ricorse anche allo “stato di assedio” (v. P. G. Grasso,  I problemi giuridici dello stato d’assedio nell’ordinamento italiano, Tipografia del libro, Pavia 1959) concepito quasi esclusivamente con un’impostazione militare (catena di comando, coprifuoco, sanzioni applicate con legge marziale ecc.). Negli ordinamenti di democrazia liberale misure di eccezione possono essere adottate sulla base di valutazioni di “necessità ed urgenza” a provvedere, secondo quanto è  previsto anche dalla nostra Costituzione. I Costituenti non vollero (per ragioni di prudenza e per esigenze garantiste determinate dalla vicenda storica del nostro Paese e accentuate dalla dittatura e dalla guerra civile) inserire nel testo costituzionale un apposito riferimento allo “stato di emergenza”. Al riguardo occorre segnalare che anche i Paesi di democrazia liberale che hanno fatto ricorso ad una formula analoga (Francia, Germania, Stati Uniti) non avevano come quadro di riferimento una pandemia bensì altre possibili condizioni di grave crisi politica e sociale con conseguenze di tale intensità da richiedere interventi straordinari per salvaguardare le istituzioni fondamentali dello Stato e le libertà costituzionali.

 

In passato il sistema dell’emergenza ha sempre affrontato le crisi straordinarie (in particolare quelle dovute a eventi eccezionali come terremoti, alluvioni, disastri industriali ecc. ) con strumenti rispondenti alle esigenze poste da ragioni di necessità ed urgenza (decreti-legge, ordinanze, commissari ad acta ecc.). In questa circostanza l’utilizzo, nelle fasi più acute della crisi, di  soli atti d’amministrazione a livello di Presidenza del Consiglio ha suscitato numerose e fondate  perplessità, se pure, in seguito, i contenuti essenziali sono stati sottoposti al vaglio delle Assemblee parlamentari. La crisi sanitaria ha imposto, inoltre, un costante raccordo tra poteri centrali e autonomie che non ha mancato di produrre difformità e di evidenziare dissensi e incertezze. Nonostante ciò il Paese sembra aver retto l’urto immediato prodotto dalla crisi pandemica, sia pure scontando i limiti propri di una condizione di eccezione determinata da un evento poco noto nella sostanza e dagli effetti devastanti.

 

In ragione della crisi pandemica ai cittadini sono state imposte delle privazioni importanti e sono state introdotte delle consistenti limitazioni delle libertà costituzionali. Alcuni diritti fondamentali hanno subito un vulnus consistente: la libertà di movimento, la libertà di riunione, talune libertà associative oltre all’esercizio e al godimento di diritti e provvidenze in ambito sociale, nell’assistenza, nell’istruzione, in ambito culturale ecc.  Sappiamo bene che la prima fondamentale esigenza, per contenere l’epidemia, è quella del “distanziamento” fino al confinamento della singola persona in ambito domestico o in altri appositi luoghi per ostacolare la circolazione del virus. Abbiamo dovuto prendere atto che  tutto il “sistema Paese” è stato investito dalla crisi pandemica con la conseguente interruzione di gran parte delle attività produttive, delle attività commerciali, del turismo interno ed estero, delle fruizioni in ambito culturale, ludico, sportivo ecc.

Si tratta, indubbiamente, di effetti molto seri che potranno produrre conseguenze di lungo periodo. A tutto questo si associano le singole tragedie familiari per la consistente perdita di vite umane in condizioni di solitudine e forse anche di disperazione.  Si comprende, dunque, la condizione di eccezione giustificata dalla peculiarità di una “crisi pandemica” rispetto ad ogni altra, pur gravissima, emergenza nazionale. Alla luce di tale circostanza le misure adottate, se pure comprensibili e giustificate, talora, sono state anticipate in modo improprio ed impreciso e i provvedimenti emergenziali sono stati confusi e contraddittori mentre, proprio in  queste circostanze, sarebbe importante che le disposizioni legali risultassero  chiare ed essenziali e che fossero declinate con attenzione e rigore. Per tale ragione occorre:

a) utilizzare strumenti normativi appropriati e fornire sempre una motivazione adeguata per ogni provvedimento adottato;

b) indicare i termini di tempo per l’entrata in vigore e per la permanenza delle misure prescritte;

c) stabilire, in modo comprensibile ed essenziale, le giustificate eccezioni;

d) indicare, con chiarezza, le eventuali sanzioni per le trasgressioni, ma, soprattutto, poterle rendere effettive. In primo luogo la chiarezza dei dispositivi prescritti dovrebbe rendere agevole il rispetto delle regole mentre le sanzioni (che sono sempre un’eccezione), oltre che proporzionate, dovrebbero essere dotate di qualche efficacia anche ai fini preventivi.

 

LE LEZIONI CHE SI POSSONO TRARRE PER I TEMPI A VENIRE

Alcune lezioni, comunque, questa crisi le ha già impartite proponendo soluzioni ed interventi utili per i tempi a venire:

 

a) l’esigenza di poter rispondere, con maggiore tempestività, a fronte di fenomeni che non consentono di applicare, con la consueta prudenza dettata dai procedimenti ordinari, le misure da adottare;

 

b) l’urgenza di ripensare una “cabina di regia” che possa coniugare l’azione di governo, le competenze tecniche e scientifiche, gli assetti territoriali e l’organizzazione dell’emergenza. La pandemia insegna che, per questo tipo di minacce, occorre avere uno specifico strumento operativo (che può essere bene incentrato sulla funzione di protezione civile, adattandola, però, all’emergenza sanitaria pandemica);

 

c) l’importanza di poter attivare tutte le risorse che il Paese è in grado di mettere in campo. Abbiamo visto, ad esempio, che le forze armate sono state chiamate a svolgere un ruolo importante anche in questa crisi, come lo era stato, nel corso storico, in occasione di ogni grave emergenza nazionale. In questa evenienza è stata particolarmente utile l’esperienza della sanità militare nel predisporre strutture sanitarie di emergenza e interventi d’urgenza sul territorio. Questo settore delle forze armate, nel tempo, era stato molto depotenziato (ad esempio con l’abolizione della leva e la professionalizzazione degli apparati militari si erano giustificate le progressive dismissioni degli ospedali militari). Più in generale questa crisi insegna che le politiche sanitarie meritano un globale e radicale ripensamento per potenziare i sistemi territoriali, estendere i presidi volti alla prevenzione, rafforzare le aree dell’emergenza, disporre di personale qualificato e dotato degli strumenti adeguati e delle protezioni necessarie. Per quanto, in particolare concerne le Università sarà bene rispondere, con efficacia, all’ineludibile esigenza di  ristrutturare radicalmente e di rafforzare l’impegno formativo in campo sanitario;

 

d) si è discusso molto circa il ruolo dell’informazione nelle situazioni di emergenza. In questa sede mi preme rilevare che, se pure è opportuno unificare i messaggi istituzionali e porgerli al più largo pubblico in modo chiaro, non mi sembra utile emarginare dal dibattito le voci critiche e sostituire una sorta di “comunicazione di regime” ad un pubblico ed aperto dibattito. La sola risposta pubblica ufficiale, come avviene nei regimi politici non liberali, non aiuta a verificare eventuali carenze e debolezze del sistema né a distinguere e far valere le responsabilità di chi deve agire. Se la fase dell’emergenza impone cautela e responsabilità la stessa non può comportare la rinuncia all’esercizio delle funzioni di controllo che sono proprie di un ordinamento democratico: i poteri d’indirizzo, di controllo e d’indagine del Parlamento, la libera informazione a tutti i livelli e con tutti gli strumenti messi a disposizione dalle tecnologie attuali, l’operatività degli organismi di garanzia, la vigilanza del Capo dello Stato. Ritengo che, a fronte di poteri straordinari di Governo che, nella fase più acuta di una crisi potrebbero essere esercitati senza trovare ostacoli burocratici e formalismi ostativi, si debbano parimenti rafforzare gli strumenti propri della democrazia: i controlli di legalità, il libero confronto delle opinioni e l’accesso all’informazione plurale;

 

e) sono stati messi alla prova i più avanzati sistemi tecnologici, informativi, dialogici e applicate delle tecnologie che erano riservate ad ambiti particolari. L’epidemia ha costretto (lo stiamo sperimentando anche in sede universitaria) ad  organizzare il lavoro con modalità del tutto innovative, a riformulare le offerte formative, a rivedere i protocolli con i quali venivano gestite numerose attività ecc. Sperimentiamo delle nuove opportunità di comunicazione che potranno avere molteplici applicazioni. Tutto questo, tuttavia, dovrà trovare un assetto, un ordine, una potenzialità di svolgimento e di sviluppo che possa consentire un’estensione dell’uso nell’ordinario volgersi della vita collettiva senza alterare, in modo improprio, funzioni e impostazioni che hanno un assetto consolidato e uno specifico compito. In particolare i sistemi formativi potranno avvalersi delle nuove tecnologie se saranno adeguatamente finanziati e se non si seguirà un indirizzo che confonde gli apporti positivi del progresso tecnologico e dell’innovazione con la specifica funzione educativa e dialogica di ogni ambito scolastico.

 

Se da questa severissima contingenza si vorrà trarre un utile insegnamento, agendo di conseguenza, le ingenti risorse necessarie per far fronte alla crisi non saranno sprecate.

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