Calendario Civile / #1maggio2022
Il Primo Maggio, come un’impalcatura a protezione dei lavoratori, riporta alta l’attenzione contro l’insicurezza, lo sfruttamento, l’assenza di tutele che gravano sul mondo del lavoro.
Ma da quell’impalcatura le persone cadono, precipitano, muoiono. E i diritti tornano a essere privilegio di pochi, appannaggio di chi non si scontra, ad ogni risveglio, con la precarietà di un mondo in costante tensione tra la massimizzazione del profitto e il respiro corto di lavoratori e lavoratrici in progressivo affanno. Un’altra morte bianca segna la data del 28 aprile, la Giornata sulla sicurezza sul lavoro, a prologo di un Primo Maggio che deve rivendicare una priorità condivisa: difendere il lavoro non è un ricatto, come sostengono le industrie, replicando alla proposta del ministro Andrea Orlando di concedere aiuti pubblici in cambio di aumenti contrattuali. È un diritto e un dovere: è una scommessa di futuro alla base di un nuovo e irrinunciabile patto sociale.
Lo dobbiamo a Luana D’Orazio, la giovane operaia del tessile di Prato stritolata da un macchinario il 3 maggio scorso, dipinta dai media come una Cenerentola che non aveva trovato il suo Principe azzurro e che quindi era costretta a un lavoro malpagato.
Ma come scrive Alberto Prunetti su Valigia Blu, Luana d’Orazio non è morta di malasorte.
E con lei nemmeno le 279 vittime del lavoro da inizio anno. Queste morti sono sotto gli occhi di tutti e hanno il peso e l’evidenza di questi numeri: con un aumento del 47,6% delle denunce di infortunio e un esito fatale nel 9,6% in più dei casi rispetto al primo bimestre 2021. Un incremento che impone «una seria riflessione per stimolare maggiore attenzione verso il tema della salute e sicurezza sul lavoro», spiega il presidente dell’Inail, Franco Bettoni.
L’assenza di tutele e controlli uccide ogni giorno tre persone. E questo stando a quel che è possibile tracciare perché, come osserva il ricercatore Vito Di Santo, “il problema principale resta il lavoro non ufficiale: tra i vari infortunati, ammalati e morti sul lavoro, vi è una parte di lavoratori a nero difficile da stimare e che sfugge a ogni statistica” .
Spesso è anche difficile ricondurre gli infortuni agli incidenti sul luogo di lavoro: “sono centinaia le testimonianze di lavoratori che cadono da una serra o da un ponteggio, sbattono la testa o si rompono la schiena e anziché essere soccorsi sul posto da professionisti qualificati vengono raccolti, come un sacco di patate, portati in prossimità di un ospedale e lì abbandonati con l’obbligo di non dire al personale medico dove e come si sono infortunati” riporta il sociologo Marco Omizzolo.
La mancanza di una cultura della prevenzione nel nostro paese alimenta questa strage dai costi umani ed economici inestimabili e che pure si traduce in un’esangue contabilità delle vittime che ha finito per prosciugare anche parole e indignazione. Una cultura da costruire tra i banchi di scuola per educare ai diritti e consolidare una politica, si sarebbe detto un tempo, della “salute collettiva”.
È quello che leggiamo nelle parole di Giulio Alfredo Maccacaro. Medico, biologo e biometrista, partigiano e fondatore di Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute, che si costituisce, nel 1976. La salute collettiva – che è altro dal benessere privato e individuale – diventa un bene fondamentale, “valore totalizzante di altri valori”, a fronte del “deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, attraverso la perdita di potere d’acquisto dei salari, la precarietà dell’occupazione, l’insufficienza della casa”.
La saluta collettiva ha smesso di essere “assunzione in una lotta di altre lotte”, come avrebbe detto Maccacaro. Ma la colpa non è dei ragazzi. Le manifestazioni di protesta contro la morte di uno di loro raccontano un ritrovato protagonismo delle nuove generazioni, la loro voglia di esserci, di poter contare.
Caricati dalla polizia, ignorati dal silenzio imbarazzato della politica, studentesse e studenti hanno dato voce alla storia di Lorenzo Parelli, ucciso a 18 anni da una trave, scuotendo le nostre coscienze più dei media e di proclami incompiuti.
Ma non basta. Non basta se la società è quella che impone la retorica tossica del “farcela da soli col duro lavoro”, che è poi un velo per mascherare la competizione ad ogni costo. Non basta se continuiamo a bollare i giovani come pigri o sfaticati perché preferiscono essere padroni del proprio tempo piuttosto che lavorare ogni giorno senza garanzie e per pochi euro all’ora. Non basta se giustifichiamo tutto come esperienza formativa.
Dobbiamo riconoscere la nostra posizione di privilegio: perché se a noi non rischia di cadere una trave d’acciaio in testa, non possiamo permetterci di metterci a tacere le uniche voci che contano, quelle di chi sta con i piedi dentro gli abusi e lo sfruttamento.
Il mondo del lavoro vive di insicurezza e la possibilità di farsi male (o perdere la vita) lavorando diminuisce con l’aumentare dei privilegi. Perché la sicurezza sul lavoro è anche sicurezza del lavoro, dal momento che spesso condizioni contrattuali e retributive sono connesse alla prevenzione e alla salvaguardia della salute.
Le esperienze Gkn, i sindacati di Amazon, Apple, Starbucks ci insegnano che il lavoro può tornare ad essere la grande questione che coagula lotte trasversali, facendo convergere – come racconta Francesca Gabbriellini – “movimenti ecologisti, transfemministi, studenteschi”, verso nuovi rapporti di produzione e di potere e verso forme di organizzazione partecipata che dovrebbero essere d’ispirazione per la sinistra.
Quando oggi si mette al centro la questione della democrazia economica – un’economia ispirata ai principi di giustizia distributiva che dia ai lavoratori e alle persone pari dignità, riconoscendo loro la possibilità di co-determinare le decisioni che le riguardano – si rimettono in circolo parole chiave incagliate in sentieri interrotti che già suggerivano l’interdipendenza di alcune battaglie. Era il 1984 quando Alexander Langer, ragionando del potenziale “verde” nella politica italiana, metteva l’accento sulla cultura del benessere e della salute collettiva che abbiamo richiamato anche con Maccacaro:
“La critica radicale al modello di sviluppo espansivo ‘della crescita’ genera un’attenta e multiforme ricerca alla scoperta di modelli decelerati, decentrati, nonviolenti, antigerarchici, partecipativi di produzione, consumo, convivenza, trasporti, salute, abitazione, cultura, apprendimento, educazione”.
Le ricorrenze servono anche a riannodare i fili: quelli della memoria e dei diritti duramente conquistati e quelli del presente che possono convergere verso nuovi orizzonti di mobilitazione sociale.