Articolo di approfondimento che riassume i temi e i risultati del workshop Fragilità: sfide, indicatori e dimensioni, di Agenda Open Lab.
Territori vicini eppure distanti: molteplici dimensioni di fragilità
Secondo Il tempo dei bambini, la decima edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio, presentato da Save The Children, in Italia sono circa 1,2 milioni i bambini e gli adolescenti che vivono in povertà assoluta1 e che non riescono ad accedere a una serie di beni e servizi essenziali per vivere meglio, tra i quali l’educazione.
Riflettere sulle povertà educative, secondo un approccio ispirato alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (1989) e alla teoria delle capabilities sviluppato da Amartya Sen (2011) e Martha Nussbaum (2012), spinge ad andare oltre la misurazione della sola deprivazione materiale per considerare altri fattori che limitano la possibilità dei minori e degli adolescenti di apprendere, coltivare i propri talenti, fare esperienze di vita, esplorare la realtà che li circonda. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla qualità delle istituzioni scolastiche e dell’offerta formativa, alla presenza di luoghi generatori di opportunità culturali, educative e professionalizzanti, a politiche capaci di costruire opportunità per i giovani direttamente nei contesti in cui essi nascono e crescono.
Considerare questi fattori ci induce a indagare le relazioni esistenti tra le fragilità territoriali e il fenomeno delle povertà educative.
Il territorio italiano è oggi caratterizzato da drammatiche diseguaglianze in termini di opportunità e servizi offerti a bambini e ragazzi. Al suo interno, il tessuto territoriale del nostro Paese si presenta frammentato e infragilito, con contesti che corrono a velocità differenti nell’offerta educativa e culturale rivolta ai giovani. Ci sono territori, come afferma Giulio Cederna, che seppure fra loro geograficamente vicini risultano veri e propri “universi paralleli” considerando gli indicatori delle opportunità educative disponibili – quali l’accesso a spazi di gioco e servizi per l’infanzia, la “connessione” ad attività ricreative e culturali, ma anche la disponibilità e la qualità di alloggi e quindi la sicurezza abitativa – e degli outcomes educativi – quali i tassi di dispersione scolastica e i punteggi PISA2.
Fragilità territoriali e povertà educative: quali nessi? Intervista a Giulio Cederna
Questo divario tra contesti di vita di bambini e adolescenti si articola lungo assi di disequilibrio territoriale che caratterizzano il nostro Paese – regioni settentrionali versus meridionali; centri storici versus periferie urbane; città versus cinture periurbane e aree interne. Un esempio è dato dall’indice sviluppato da Istat e Save the Children per misurare la deprivazione culturale e ricreativa, ovvero la percentuale di ragazzi 6-17enni che non hanno svolto 4 o più attività culturali in un anno. Quest’ultima varia marcatamente fra regioni settentrionali, dove è pressoché uniformemente inferiore al 54 per cento, alle regioni meridionali, dove è compreso fra il 60 e l’80 per cento. Un altro esempio è fornito dal rischio di dispersione scolastica nella scuola superiore di secondo grado: nella città metropolitana di Roma registriamo un tasso di abbandono che varia dal 3,9 per cento in città al 4,7 per cento nella cintura periurbana. In altre parole, come evidenziato da Laura Saija, lo svantaggio rilevato dagli indicatori sopra menzionati si correla con altri indicatori di svantaggio socio-economico similmente distribuiti nello spazio geografico – quali la concentrazione di NEET e i tassi di disoccupazione giovanile.
La concentrazione geografica di molteplici dimensioni di fragilità suggerisce il rischio tangibile di un “effetto luogo”, ovvero il fatto che crescere in un territorio interessato da alta deprivazione socioeconomica limiti le opportunità di sviluppo dei più giovani. Fatto salvo che, in linea con quanto sostiene Giulia Tosoni, il rischio di povertà educativa non dipende solo dalle condizioni di partenza o di contesto ma può emergere anche tra bambini e ragazzi dai background più avvantaggiati in seguito a eventi specifici.
Generare dati e indicatori: una sfida che può favorire il cambiamento
Nello scenario delineato la disponibilità di dati potrebbe aiutare e supportare i decisori pubblici a una migliore comprensione del fenomeno in funzione di politiche evidence e place based che siano realmente capaci di costruire opportunità per i giovani. Eppure, le voci di chi da anni opera nel settore, come quella di Valeria Troia, ex-assessore all’istruzione del comune di Siracusa, e di Christian Morabito, responsabile scientifico del programma di ricerca sulla povertà educativa di Save The Children, segnalano una drammatica scarsità di dati a livello locale come tratto caratterizzante del contesto italiano. A titolo esemplificativo, dati potenzialmente utili per il PISA Global Competence Framework in Italia non sono stati raccolti. E ancora, serie di dati un tempo rese disponibili dal MIUR quali quelle sulle “aule connesse” sono ora interrotte.
Analizzare un fenomeno complesso quale quello delle povertà educative, che varia spesso tra unità geografiche molto ridotte, a volte all’interno di uno stesso quartiere, richiede uno sforzo nella produzione e raccolta di dati su scala locale. La maggior parte degli indicatori educativi, sociali, economici ma anche territoriali, risultano infatti rappresentativi a livelli di aggregazione geografica molto elevata – spesso a livello regionale o provinciale – il che limita a sua volta le possibilità di tenere in considerazione variazioni rilevanti correlate, ad esempio, al genere o alla classe sociale.
Il dato, però, può essere scomodo: mette in evidenza criticità e quindi la necessità di trattarle. Nel momento in cui esiste un dato che indica l’esistenza di una fragilità, suggerisce Laura Saija, la pubblica amministrazione dovrebbe non ignorarla. Portare avanti ricerche che producano dati, continua Saija, può allora essere un modo per influenzare l’attore pubblico e stimolare processi di cambiamento.
Il problema di fondo, sostiene Giulio Cederna, non è solo la reperibilità di dati, ma anche la costruzione di indicatori inediti e originali capaci di misurare il reale valore degli effetti insiti in interventi sistemici e pluridisciplinari cui occorre guardare per contrastare le fragilità territoriali ed educative. Emerge su questo fronte, ad esempio, la necessità di pensare a indicatori capaci di valutare il reale senso di appartenenza di un giovane al contesto in cui è nato con un approccio che sia di ascolto per comprendere al meglio in che direzione attuare gli interventi pubblici.
Aggiornare metodologie e competenze dell’amministrazione pubblica
Gli Enti Locali sembrano agire senza una conoscenza puntuale dei bisogni e delle aspirazioni dei cittadini a partire dai quali costruire le basi di progetti di sviluppo. Ma anche, continua Valeria Troia, senza metodologie di processo capaci di attuare una vera dimensione di partecipazione del cittadino alla costruzione di servizi per il miglioramento del contesto di vita: una partecipazione che si possa caratterizzare di attività di co-progettazione e collaborazione in grado di prevedere, oltre a un accompagnamento ai servizi, un’assunzione di responsabilità da parte degli stessi individui.
È in questo senso che di fronte alla complessità delle sfide che abbiamo di fronte nei territori fragili, l’amministrazione pubblica è chiamata ad aggiornare i propri paradigmi di funzionamento passando da una logica di pura erogazione di servizi a una dimensione di cittadinanza attiva in cui l’Ente Locale coordina, orienta e accompagna il cittadino alla co-progettazione di iniziative che possa contribuire allo sviluppo del territorio, assicurando sostenibilità temporale ai progetti attuati. Una simile discontinuità si riscontra anche nella politica in senso più largo. Un esempio a livello nazionale riguarda la Strategia delle Aree Interne che, come evidenziano i partecipanti al workshop, nonostante le ottime premesse, presenta diverse criticità nella fase di implementazione. Secondo Christian Morabito, l’esempio di discontinuità nelle politiche del caso italiano contrasta con quello di altri Paesi come la Francia, dove il programma delle zones d’éducation prioritaires3 istituito negli anni Ottanta dai governi socialisti, seppur presentando seri limiti in termini di risultati, non è mai stato messo in discussione dai governi successivi, qualsiasi fosse il loro orientamento politico.
Se da un lato, quindi, il ruolo a cui le istituzioni sono chiamate diventa sempre più quello di valorizzare e coordinare le risorse già presenti sul territorio, dall’altro afferisce alla necessità di prevedere meccanismi di compensazione a contenimento di dinamiche spontanee che rischiano di inasprire le diseguaglianze territoriali. Si pensi, in linea con quanto sostiene Matteo Del Fabbro, al fenomeno del cosiddetto white flight scolastico, ovvero lo spostamento dei figli di famiglie italiane e benestanti da scuole situate in quartieri impoveriti, con una forte presenza di bambini e adolescenti stranieri, a scuole del centro, che, ad esempio, nella città di Milano ha assunto dimensioni rilevanti (Pacchi e Ranci, 2017). Come spiega Giulia Tosoni, la reazione dell’ente pubblico milanese a questa dinamica è stata quella di provare ad agire come agente di compensazione, affiancando gli istituti scolastici più segregati nella progettazione di bandi per incrementare la qualità della loro offerta trasformandolo in “scuole magnete”, che possano invertire la tendenza all’interno del bacino scolastico.
La possibilità di innovare il modo in cui l’azione educativa viene progettata e implementata sul territorio, continuano i partecipanti al workshop, è particolarmente alta in questo momento per una questione demografica, che potrà favorire un ricambio generazionale delle posizioni dirigenziali di istituti scolastici e più in generale nei servizi dell’amministrazione pubblica. Come si deciderà di fare leva su questa opportunità avrà un forte peso nel determinare il futuro dell’educazione nel nostro Paese.
Consigli per il riscatto dei territori fragili. Intervista a Valeria Troia
L’opportunità di avere opportunità: come costruirla?
La lotta alle povertà educative passa dalla capacità di ascolto di coloro che abitano i territori fragili, inclusi i giovani, dalla produzione di dati, dallo sviluppo di nuovi indicatori, dalla valorizzazione della cultura quale veicolo di riscatto fino a una responsabilizzazione dell’Ente Pubblico verso una funzione che lo possa porre nei confronti della cittadinanza come attore pro-attivo, di ascolto e di accompagnamento al progresso del territorio.
Risulta infine indispensabile, per arginare le disuguaglianze educative e territoriali, un’azione che agisca sul “sistema territorio” nel suo complesso, evitando di focalizzarsi su un nodo singolo – come può essere la scuola – e andando invece a intervenire contemporaneamente sulle diverse dimensioni di fragilità. Un esempio in questo senso viene dalle politiche di contrasto alla fragilità territoriale adottate nel caso degli inner-city neighborhoods statunitensi con il programma Promise Neighborhoods. Programma che, a partire dalla precedente esperienza del Harlem Children’s Zone4, ha affrontato il tema della povertà educativa attraverso una riforma dell’istruzione a livello di quartiere basata sull’azione collettiva di scuole, associazioni, istituzioni educative.
Il passaggio da un focus sulla sola istituzione scolastica a una più larga “comunità educante” è un passaggio ineludibile per una lotta efficace alla povertà educative. Reti dunque che sappiano mettere al centro dei loro interventi una riflessione di tipo pedagogico interrogandosi sul senso dei luoghi dove si impara e progettando percorsi che partano dalla persona, tra scuola e fuori scuola, tra luoghi formali e informali, funzionali a sperimentare forme di apprendimento diverse.
Sperimentare forme di apprendimento diverse. Intervista a Giulia Tosoni
Per tornare a garantire mobilità sociale e pari opportunità per tutti – senza lasciare nessuno, e nessun luogo, indietro – serve sempre più una logica integrata nell’attuazione di politiche afferenti a differenti settori (educativo, sociale, territoriale, solo per citarne alcuni) assieme a un coordinamento di regia pubblica degli attori attivi sul territorio, senza che questo avvenga solo in concomitanza di circostanze emergenziali, bensì all’interno di un progetto Paese di lungo periodo che guardi al riscatto dei territori fragili e alla costruzione di opportunità per i giovani che li abitano.
Bibliografia
Basile N. et al, 2019, I ragazzi ci ri-guardano. Famiglie, scuola e territori a contrasto delle povertà educative, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (2018), I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Roma
Lelo K. et al, 2019, Le Mappe della disuguaglianza. Una geografia sociale metropolitana, Donzelli Editore
Marco Rossi-Doria, Giulia Tosoni, La Scuola è Mondo Ed. Gruppo Abele, 2015
MIUR, Cabina di Regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa, Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, Gennaio 2018
Nazioni Unite. 1989. Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Nussbaum M. 2012. Creare Capacità. Liberarsi dalla dittatura del Pil. Il Mulino.
Pacchi C. e Ranci C. (a cura di), 2017, White flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo. Franco Angeli.
Saija L, 2017, La ricerca – azione in pianificazione territoriale e urbanistica, Franco Angeli
Save the Children. 2016. Liberare i bambini dalla povertà educativa: a che punto siamo?
Save the Children. 2019. Il tempo dei bambini;
Sen, A. 2011. L’Idea di giustizia. Mondadori.
Approfondimento: Esperienze e riflessioni, di Danilo Dolci
In risposta alle fragilità territoriali e alle povertà educative occorre sperimentare nuovi processi, nuove alleanze e nuovi modelli di sviluppo territoriale che siano capaci di tornare a garantire mobilità sociale e promuovere pari opportunità. È un processo che richiede tempo, coraggio, forza di pensiero, immaginazione, strutturazione e de-strutturazione di scenari alternativi, che impone la necessità di non dare nulla per scontato e di non rifugiarsi in un consolatorio “finora ha sempre funzionato così”. Leggere oggi Danilo Dolci ci aiuta ad avere coraggio e fiducia in quello che possiamo costruire per un futuro migliore, partendo da sé stessi, dalla capacità di mettersi in discussione, vedere lontano e trovare alleanze. L’estratto che pubblichiamo è un invito alla responsabilità, per ciascuno di noi.
Estratto di Danilo Dolci, Esperienze e riflessioni, Universale Laterza, 1974 pp. 252 – 254
1 L’Istat mette a disposizione un calcolatore per conoscere la soglia di povertà assoluta a seconda del contesto sociale e geografico di riferimento.
2 Il Programma per la valutazione internazionale dello studente (Programme for International Student Assessment, meglio noto con l’acronimo PISA), è un’indagine internazionale promossa dall’OCSE nata con lo scopo di valutare con periodicità triennale il livello di istruzione degli adolescenti dei principali paesi industrializzati.
3 Nel sistema scolastico francese, le zones d’éducation prioritaires indicano aree con riconosciute difficoltà di tipo scolastico e sociale all’interno delle quali gli istituti scolastici ricevono maggiori risorse economiche dal governo e maggiore autonomia.
4 L’Harlem Children’s Zone è un’organizzazione senza scopo di lucro per i bambini e le famiglie colpiti dalla povertà che vivono ad Harlem e offre supporto gratuito sotto forma di seminari per genitori, un programma prescolastico, tre scuole charter e molte altre iniziative.