Di Silvia Cafora, Rossella Ferro, Marco Peverini


Le città del futuro richiedono soluzioni abitative resilienti, inclusive e accessibili, ma, attualmente, il sistema dell’housing, in Europa come in Italia, è in crisi. La questione abitativa è un tema che non ha mai trovato una soluzione -definitiva- e le sfide poste dalle società mature, dal demographic shift  alla frammentazione dei nuclei, sono oggi aggravate dalla finanziarizzazione del patrimonio immobiliare e dall’incapacità di scalare soluzioni innovative.

Nell’ultimo decennio l’abitare attraversa, infatti, una nuova fase che crea inedite disuguaglianze socioeconomiche e acuisce dinamiche escludenti, restituendo il risultato di un lungo e paradossale processo di decostruzione della sua natura di bene comune.

Data la crescente difficoltà di accesso alla casa dovuta alla mercificazione del patrimonio edilizio per l’abitare, che coinvolge una fascia sempre maggiore di popolazione e date le nuove necessità abitative legate al demographical shift e alle nuove composizioni familiari, si è in cerca di alternative.

La diversificazione ampia dei bisogni abitativi si intreccia con il tema delle povertà multiple e delle nuove povertà, tra cui quella relazione. Ci sono risposte che arrivano dal riemergere di modelli cooperativi a base comunitaria in grado di innescare inclusione sociale e di contrastare così l’aumento di povertà relazionale.

Housing models prodotti direttamente dalle comunità, come i cohousing, alla ricerca di spazi di vita collettivi e socializzanti, propongo modelli legali, economici, sociali rinnovati e not for profit, oltre a nuove tipologie architettoniche per l’abitare. Alcuni progetti abitativi community-led riconosciuti a livello internazionale come pratiche esemplari per il loro radicamento e diffusione nazionale, per le consolidate pratiche di demercificazione del patrimonio e per la potenzialità di essere replicabili su territori diversi sembrano settare nuovi vettori per una Housing Transition.

In Italia si tratta di un trend in aumento ma ancora molto marginale e puntuale. Non esistono modelli da seguire o network a cui aderire e le difficoltà per realizzare un intervento di alternative housing sono ancora molte (tempo medio di realizzazione 7 anni; 10% di possibilità di riuscita). Sicuramente un maggiore coinvolgimento dell’attore pubblico e l’attivazione di collaborazioni public-community sono auspicabili per ampliare l’applicazione di tali modelli. Alcune città italiane, tra cui Milano, Bologna, Torino, Trento, lavorano in questa direzione e valorizzano progetti di abitare comunitario supportandoli con tools normativi o progettuali. Inoltre queste ed altre città italiane sono già all’interno di uno scambio di competenze e saperi con città europee come Barcellona, Zurigo, Vienna per un mutuo apprendimento.

La tavola rotonda organizzata il 17 giugno all’interno di “Broken Cities” intende favorire un momento di incontro e scambio di pratiche normative, politiche abitative e progettuali tra diverse città d’italia sul tema del diritto alla casa e sull’housing transition, promuovendo la nascita di un network tra città e diversi stakeholder di ricerca e di pratica che segue le orme degli scambi europei tra città che vogliono essere fautrici di cambiamento sociale, politico, culturale verso una transizione delle ecologie sociali e abitative.


Partecipanti

Marco Guerzoni Direttore del Settore Politiche abitative, Comune di Bologna
Alex Marini Consigliere provincia autonoma, Trento
Jacopo Rosatelli Assessore alla casa, Comune di Torino
Vittorio Gimigliano, Direzione Generale – Politiche per l’economia solidale, housing sociale e intercultura, Comune di Reggio Emilia
Emanuele Bana Base Gaia Società Cooperativa Edilizia
Massimo Bricocoli DAStU-Politecnico di Milano
Silvia Cafora DAD Politecnico di Torino
Giordana Ferri Fondazione Housing Sociale
Laura Fregolent Università Iuav di Venezia
Karl Kraehmer Fondazione di Comunità di Porta Palazzo§
Alessandro Maggioni Confcooperative
Anna Milella Lendlease
Marco Peverini DAStU-Politecnico di Milano
Matteo Robiglio DAD Politecnico di Torino
Ermanno Ronda Sicet Milano§
Raffaella Saporito Università Bocconi
Francesca Scrigna Abitare Soc. Cooperativa


Qual è il senso e il destino delle città? A chi appartengono, chi ci vive? La casa è un diritto primo e basilare per avere una vita degna. E’ interessante affrontare la situazione milanese, e con questa aprire a quella nazionale, attraverso un momento di incontro e scambio per la costruzione di un network tra città, che si compone di attori anche molto diversi fra loro.
Attraverso la convocazione di una tavola rotonda, l’intento è quello di mettere le basi per un network tra città pioniere nella sperimentazioni di pratiche abitative alternative. Per rispondere alle Broken Cities il network inizia a ragionare attorno al possibile ruolo dei city fixers.

Negli ultimi anni è riemersa potentemente la questione della diseguaglianza come problematica multidimensionale, di cui la casa rappresenta un nodo centrale, ma non l’unica dimensione. Come scrive Antonio Tosi, è importante ricordare che dietro al disagio abitativo possono esserci altre dimensioni della fragilità: socio-economica, socio-educativa, legata al nucleo familiare. Ormai il concetto di “housing first” è  un mantra che si può riferire a tutte le categorie (homeless, migranti, ecc.), perché la casa ha un impatto e può essere l’inizio della risoluzione di molti problemi

Si assiste inoltre oggi, ad un incrocio tra vecchie questioni abitative stratificate (es. il tema della rendita fondiaria), e nuove (es. loneliness nella terza età). Emerge così il bisogno di dare attenzione alle pratiche dal basso ed evitare di espropriare gli abitanti della loro capacità di costruire il proprio habitat (De Carlo). 

La prima convocazione del network di città pioniere, interroga gli amministratori sullo stato dell’arte presente nel proprio contesto e sugli strumenti immaginati e prodotti per indirizzare e sostenere la produzione di nuovi modelli abitativi.

 


La provincia autonoma di Trento dispone  sia competenze legislative che amministrative, il che consente una maggiore libertà di normare che agisce favorevolmente sulle possibilità di attuare sperimentazioni.

Grazie a questa caratteristica è stata  introdottao la possibilità di cofinanziare i cohousing, riconoscendo contributi economici per la ristrutturazione orientata alla realizzazione di esperienze di abitare condiviso con una legge approvata nel dicembre 2019 e il relativo regolamento approvato nel dicembre 2021. È stata individuata un’iniziativa sperimentale nel Comune di Albiano per a realizzazione di 6 unità abitative di cohousing, che consentirà di monitorare il funzionamento della legge.

La necessità di sperimentare i cohousing come forma abitativa innovativa nasce dal bisogno di combattere la solitudine da un lato, e di arginare lo spopolamento delle comunità montane dall’altro, attraendo nuova popolazione o creando le condizioni per restare. È difficile giudicare il successo di questi progetti. Nelle realtà urbane, attraverso iniziative popolari nate dal basso, esiste la domanda di sperimentare modi di abitare di tipo collaborativo, ma ad oggi gli amministratori non hanno saputo raccordare la domanda alle risorse ed opportunità disponibili.

Sono passati quasi 8 mesi dall’insediamento della nuova giunta. L’assessore Rosatelli sottolinea il delicato rapporto tra le Aziende Casa (in quanto articolazione amministrazione regionale) e il Comune. Questa condivisione di responsabilità sul tema genera delle complicazioni, soprattutto quando capita che gli indirizzi politici siano diversi. Rischia di venire meno l’approccio orientato alla collaborazione e la questione della casa diventa uno strumento “politico”.

A Torino sono stati registrati  una serie di fenomeni rilevanti per il trattamento della questione abitativa, che sono: l’invecchiamento della popolazione e lo spopolamento della città. Un tempo il problema della casa era relativo alla mancanza di alloggi, mentre oggi gli alloggi ERP ci sono, ma spesso sono inadatti: c’è una discrasia tra domanda e offerta (es. il mismatch tra alloggi di piccolo taglio e una prevalenza di famiglie numerose tra i nuclei in graduatoria). L’intento sarebbe quello di riuscire a costruire una domanda adeguata alla tipologia degli alloggi disponibili. Stiamo provando attraverso gli strumenti della politica (tavoli, gruppi di lavoro con sindacati e ATC) a favorire per quanto possibile una dinamica più veloce di cambio alloggio.

Sul fronte del mercato libero, il comune cerca di evitare nuove procedure di sfratto per i nuclei della cosiddetta “fascia grigia”, sostenendo le spese accessorie come ad esempio le utenze energetiche che spesso determinano situazioni di morosità sull’affitto. Ad esempio nel caso del problema di bollette importanti che erano rimaste fuori dai bonus, è statotrovato un accordo con IREN utilizzando dei bonus riscaldamento e dei fondi per il teleriscaldamento, in un meccanismo di complementarietà e flessibilità nell’uso dei fondi.

Non è semplice capire quanti siano gli alloggi sfitti, ma il comune sta pensandoa un incentivo per metterli nel mercato della locazione per ridurre anche l’abitare illegale e le condizioni sociali che ne conseguono.  Inoltre c’è un tema relativo alla discriminazione razziale nella ricerca dell’alloggio. Presto si svolgerà un incontro con irappresentanti dei piccoli proprietari, agenti immobiliari e inquilini – su iniziativa di gruppi di advocacy ma anche di un grande gruppo di logistica marittima, che ha chiesto al comune di aiutarli perché i loro ingegneri (spesso stranieri) non riescono a trovare casa. Si proverà a trattare la discriminazione che subiscono i cittadini di origine straniera nell’accesso alla casa attraverso la creazione di un sistema premiale (anche in una dimensione simbolica) e ricompensare chi riesce a incontrare la domanda di una particolare nicchia svantaggiata. 

Rispetto all’housing sociale, si contempla  la mixité come  forma contemporanea di pensare l’universalismo dello stato sociale. Si è  tutti sia produttori che percettori di welfare: far stare sotto lo stesso tetto i city users e il senza tetto o il richiedente asilo riproduce un senso del welfare e dell’abitare come diritto sociale. Il comune è molto impegnato nell’assegnazione di circa 20 alloggi di housing sociale al mese, ad esempio grazie a fondi pubblici per intervenire su edifici pubblici inutilizzati (e anche privati) derivanti dal PNRR.  Da quando è stato rimosso il blocco degli sfratti, l’emergenza si è acuita ed emergono ogni giorno nuove situazioni problematiche, richieste di aiuto, picchetti.

Marco Guerzoni, direttore del settore politiche abitative di Bologna spiega  che è da un paio d’anni che il comune fa  esercizi sul tema dell’abitare collaborativo, perché emerge una domanda dal basso. Si sonodotati di una nuova norma che disciplina l’ “abitare collaborativo”, che si intreccia con il percorso dei patti di collaborazione e le sperimentazioni di civismo che sviluppano da circa un decennio. Attraverso la modifica del regolamento edilizio ed il piano urbanistico,hanno introdotto il tema del cohousing nell’edilizia sociale, e sembra che sia la prima sperimentazione in Italia in questo senso.

Attraverso l’esperienza di gestione delle case pubbliche hanno inoltre capito che la casa da sola non basta, ma c’è la necessità di  ricominciare a parlare di comunità. A bologna non ci sono vere e proprie periferie (si pensi a quanti servizi pubblici sono presenti al Pilastro!), ma la città sta diventando grande, internazionale, globalizzata: la domanda di welfare abitativo si sta complessificando. La domanda di supporto all’abitare abitativo proviene per il 50% da persone di 79 paesi diversi. Si presentano nuove componenti sociali con il loro portato, componenti che fino a 20 anni fa a Bologna non c’erano. Il tema è come si costruisce collaborazione civica in questi contesti. Come si contamina la casa pubblica con pratiche di civismo? Al comune interessa capire come strumenti di welfare possano innescare dinamiche positive di gestione, per evitare quella che in 20 anni potrebbe diventare una bomba sociale.

Altra questione di centrale importanza, lascia emergere Guerzoni, è il tema della povertà energetica. Il canone d’affitto dell’ERP è la parte minore delle spese abitative. La parte più onerosa è rappresentata dalle bollette per le utenze, per questo il comune sta promuovendo la produzione energetica nei contesti ERP. Con fondi del PNRR e del bilancio comunale stanno puntando molto sulla riqualificazione/produzione energetica delle case pubbliche, ma qui ci scontriamo con la burocrazia statale. Nonostante gli ultimi decreti, ci scontriamo – soprattutto attraverso la soprintendenza – con una cultura del paesaggio estremamente conservativa, che ad esempio non  permette di realizzare case passive o produttive. Il comune sta ponendo il tema delle comunità di autoconsumo, un’esperienza di frontiera per la casa pubblica, ma il percorso burocratico è sconsolante. Ad esempio se una casa produce più di 20 kW, deve iscriversi all’albo delle aziende… Sembra esistano dei centri di potere che si oppongono al cambiamento. E’ necessario contaminare la cultura di governo con pratiche amministrative informali.

Nelle politiche abitative nazionali e locali, a reggio Emilia,  si  può leggere un dualismo pubblico-privato e hardware-software, e da  25 anni è presente una cronica carenza di risorse: dalla sospensione nel 1998 del fondo Gescal, che veniva alimentato da un’imposta consistente sulle buste paga, non sono stati istituiti altri fondi strutturali. Addirittura alcuni disavanzi di questo fondo cospicuo hanno alimentato ancora recentemente alcuni programmi complessi, come i Contratti di Quartiere e la delibera CIPE. 

Nell’ambito hardware mancano quindi investimenti. Nell’ambito software sono stati registrati cambiamenti importanti, con una crescita della città del 15% in 20 anni, generata da fenomeni migratori sia interni che internazionali. Queste traiettorie hanno incrociato la fase di boom immobiliare e sprawl dei ceti medi, con la rimessa in circolo delle vecchie abitazioni per i nuovi arrivati. Con la crisi del 2008 si è innescato un corto circuito, e oggi si verifica un “ritorno alla città” e una situazione di crisi abitativa che determina l’impossibilità di accedere al mercato della locazione per i nuovi cittadini (anche con contratto a tempo indeterminato). L’ERP, sostiene Gimignano, è una strada chiusa perché non ci sono fondi strutturali per incrementare il pubblico e anche le risorse per la manutenzione straordinaria sono limitate. Inoltre, il potenziale delle cooperative di abitanti, è stato drasticamente ridotto a causa della mancanza di accesso  ai fondi Gescal che gli hanno consentito di crescere. A Reggio Emilia è leggermente aumentato  il numero di contratti d’affitto in canone concordato, si è stabilizzata la condizione di domanda al canone sociale (che si aggira intorno ai 100 euro di canone per un alloggio di 60 mq), mentreil problema si annida nella fascia intermedia, per cui sono stati attivati una serie di strumenti. Questi fattori generano una situazione di crisi permanente (es. emergenza sfratti) ma anche di speculazione nell’offerta abitativa privata.

Nella zona della stazione è stata condotta una sperimentazione importante.. Negli anni ‘80, alcuni operatori immobiliari realizzarono un’operazione per un quartiere di 700 alloggi destinato ad un target medio-alto, nel mercato libero. Quando l’impresa manifestò dei problemi e l’operazione entrò in crisi, si determinò un processo di cessione degli alloggi verso i creditori (imprese, artigiani) che non si insediarono ma che misero in circuito gli appartamenti incontrando il flusso migratorio degli anni ‘90. Finché l’economia è andata bene, il sistema ha retto (anche se i nuovi cittadini avevano investito con valori sovrastimati, e c’erano problemi di sicurezza e sovraffollamento). Con la crisi questa zona è diventata estremamente problematica, tanto che il quartiere viene distaccato dalla rete di teleriscaldamento per debiti (fino a 500.000 euro di debito per un solo condominio). Gli abitanti del quartiere sono locatari per l’80%, ed i locatori sono spesso pluri proprietari a carattere speculativo, mentre per il 20% sono gli acquirenti incapaci di trovare alternative. Si è innescato un processo di aste e contenziosi e si è verificata l’implosione della struttura patrimoniale e sociale di questo quartiere.

A questo punto, grazie alla delibera CIPE del 2020, il Comune di Reggio Emilia ha avanzato una proposta “rivoluzionaria”. Con un bando regionale da 17 mln di euro il comune ha espropriato un primo lotto particolarmente critico (dove c’era stato il frazionamento degli alloggi in mini-monolocali), per un totale di 70 abitazioni. Si sono generati conflitti con i proprietari, ma l’operazione è stata addirittura raddoppiata espropriando altre 70 unità con i fondi PINQUA. Da un punto di vista strategico, il mercato della locazione libera è quello su cui il comune riesce ad intervenire meno: da un lato  gli inquilini dell’edilizia pubblica, dove è più facile intercettare le fragilità; poi la fascia della locazione permanente ed edilizia residenziale sociale, dove comunque il comune riesce a calmierare;mentre la fascia più distante si rivela essere quella locazione e proprio qui il comune vorrebbe riuscire ad intervenire ribaltando lo schema. In questi lotti espropriati, si vorrebbe  portare la quota della proprietà al 20% con vendita convenzionata tramite patto di futura vendita, mentre il restante 80% sarà in locazione permanente e temporanea, di cui una piccola quota del 15% per l’ERP, nella logica del mix. L’intento è quello di  riuscire a realizzare all’interno degli edifici un’offerta di dotazioni e servizi all’abitare che introducono un nuovo concetto di abitare ispirato al coliving. Di fatto ci siamo costruiti un vecchio PEEP all’interno della città esistente!

 

La necessità di confronto con realtà europee, con città che hanno reagito alla crisi abitativa e all’ingerenza del mercato finanziario nella produzione di modelli alternativi di housing, nasce dalla volontà di analizzare pratiche e strumenti prodotti in altri contesti e riconosciuti come best practice. Durante questa prima sessione di confronto sono presi in analisi i casi di Barcellona e Vienna.

Il comune Barcellona reagisce alla crisi abitativa
Silvia Cafora

Barcellona è una città con 1.6 mln di abitanti, la cui popolazione è composta per il 21,5% è di over 65. Gli affitti incidono per il 38% sul totale delle residenze cittadine con un aumento medio dei costi dell’8% dal 2014 ad oggi e uno stock immobiliare per housing sociale e pubblico del 2%.

Anche Barcellona è stata una città invasa dalla finanziarizzazione e l’esclusione abitativa ha raggiunto tassi molto alti, e negli ultimi dieci anni mette in pratica un rinnovato piano per il diritto alla casa.

Alla base di questo piano, il comune di Barcellona afferma che l’housing è un nodo pivotale da cui far ripartire la rigenerazione della città e creare un nuovo modello più inclusivo per contrastare l’espulsione della popolazione del centro urbano. nella nuova organizzazione del comune di Barcellona l’housing è una materia non solo legata ai temi politici, urbani e architettonici, ma anche a quelli sociali.

Oltre al comune, anche le comunità locali e attive,  dal 2011 in avanti si sono impegnate nel promuovere nuovi modelli abitativi più accessibili e più inclusivi così da contrastare le dinamiche di povertà relazionale, tipiche delle nostre società mature. Si sono impegnate nella raccolta di conoscenza a proposito di modelli abitativi alternativi da paesi quali la Danimarca, da cui hanno recepito il Modello Andel di cooperative in cessione d’uso.

Il comune si è dotato di nuove strategie e strumenti.

Ha fondato tre istituti:

  1. il consiglio per l’abitare e la ristrutturazione, che svolge un ruolo di indirizzo
    2. Imhab, L’istituto municipale per le politiche abitative e la ristrutturazione, istituto operativo
    3. L’housing consortium di Barcellona, mette in comunicazione gli istituti con la regione e a livello nazionale.
    4. Osservatorio per la rigenerazione architettonica di Barcellona

Ha inoltre elaborato il Piano per il diritto alla casa 2016-2025 che prevede quattro assi strategici d’azione:
1. Prevenire l’emergenza abitativa
2. Garantire il corretto utilizzo del patrimonio abitativo
3. Ampliare il numero di case a prezzi accessibili
4. Recupero del patrimonio abitativo esistente 

Il Piano è attuato mediante nuovi strumenti ad hoc:
1. censo abitazioni vuote | studio modelli stranieri
2. programma di supporto alle co-abitazioni
3. tavolo di cooperazione
4. concorso pubblico per i terreni comunali
5. aprop alloggi temporanei in ciutat vella

Approfondendo il programma di supporto alle nuove forme co-abitative, il comune  insiste dichiarando che l’abitazione è un bene d’uso e non d’investimento e agisce come segue:
1. promuovendo la costruzione di 500 cooperative
2. promuovendo 18.400 alloggi locazione calmierata in 10 anni
3. una co-abitazione per quartiere
Il modello di housing alternativo scelto dal comune e dalla comunità locale è la cooperativa abitativa in cessione d’uso, sul Andel model danese, in cui la proprietà dell’immobile è della cooperativa e i membri versano una fee d’ingresso e pagano un affitto calmierato inferiore del 40% rispetto agli affitti medi della stessa zona. 

Oltre a questi assi di visione il comune mette in pratica strumenti molto efficaci: dal 2015 acquista 700 edifici nel mercato privato investendo 70 mln€;  promuove il diritto di superficie dei suoli pubblici con concessioni di 75/90 anni per la realizzazione di cooperative abitative;

I risultati di queste politiche sono evidenti. Dal 2013 ad oggi sono state create 4 generazioni di cooperative così raggruppate con un totale di 11 edifici realizzati, 13 in costruzione:

2013-2017_ Primi due progetti. La Borda e Princesa 59
2017-2019_ Cireres, La Chalmeta, La Xarxaira, La Balma
2019-2020_ La quinta força, La ragadora
2021_ Introduzione CLT 

Questo ha comportato la riduzione del costo di costruzione rispetto al costo di mercato oltre all’introduzione di un’attenzione alla qualità dell’architettura di questi interventi, grazie anche alla presenza di personalità quali il professor Josè Maria Montaner nel direttivo dell’assessorate alla casa ddi Barcellona

Il comune ha introdotto anche incentivi per lo sviluppo cooperativo: 

1.urbanistici: deroga parcheggi art.300.8 nu pgm; riduzioni 50% imposta immobili (ibi); riduzioni 90% imposta costruzione, im- pianti, opera regime di uso di diritto di superficie con affitto (calmierato)

  1. indiretti: il comune come garante per accesso al credito; supporto tecnico 

 

E’ possibile  parlare di housing affordability quando l’affitto è commisurato al reddito, secondo schemi che tengano conto della disparità dei redditi, dei fattori legati alla localizzazione (ad esempio le distanze di pendolarismo)  e del fatto che oltre alla casa ci si deve poter permettere tutta una serie di beni e servizi fondamentali per una vita decente e al pieno del suo potenziale.  AVienna si lavora nella direzione di un abitare accessibile come infrastruttura urbana diffusa sul territorio, con caratteristiche qualitative, localizzative e di costo che sono discusse e determinate politicamente in sede di politiche comunali. Le condizioni e gli strumenti che hanno reso possibile la best practice di Vienna sono:

  1. L’edilizia municipale, che non è mai stata oggetto di vendite e, dopo un secolo, è arrivato a rappresentare circa il 22% dello stock abitativo della città (220.000 alloggi, quasi quattro volte lo stock di ERP a Milano). L’edilizia municipale è il primo strumento in mano al comune per rispondere al bisogno abitativo dei nuclei meno abbienti, ma si lavora anche per mantenere nell’edilizia pubblica il ceto medio e medio-alto, in modo da evitare processi di segregazione. Inoltre, gli affitti nell’edilizia pubblica di Vienna sono bassi ma, al contrario che in Italia, sono commisurati ai costi di manutenzione e gestione. Gli inquilini meno abbienti sono aiutati da un generoso sistema di sostegno all’affitto e al reddito, gestito dalle politiche sociali in coordinamento con le politiche abitative.
  2. Negli anni ‘80 la città ha strategicamente fondato Wohnfonds, un’agenzia di sviluppo pubblica coordinata dall’assessorato alla casa, con tre mandati principali: da un lato incamerare e sviluppare i suoli pubblici (compresi quelli di enti pubblici, come ferrovie, esercito o aeroporti), erogare i contributi pubblici all’edilizia sociale e al rinnovo del patrimonio edilizio privato sulla base di regole di controllo degli affitti, ma anche attuare una politica fondiaria (di acquisto di proprietà immobiliari di prossima trasformazione) nell’interesse della municipalità. Wohnfonds promuove uno sviluppo immobiliare tramite operatori privati convenzionati con uno schema regolativo molto rigido e politicamente regolato. In linea di principio, l’affitto sociale che rientra nell’alveo di queste politiche non può mai superare la soglia dei 60 euro al metro quadro annuo di canone, il che significa che un alloggio di 50 metri quadri va in affitto a 250 euro al mese più le spese. 
  3. Il sistema delle cooperative e delle “housing associations”, che è regolato da leggi nazionali  in modo tale che il canone copre solo una serie di costi regolata da leggi nazionali. Quello delle housing associations funge da stock in affitto controllato permanente e da sistema economico economicamente sostenibile nonostante i bassi affitti. Nel complesso, questo settore è arrivato a costituire intorno al 20% del totale dello stock abitativo di Vienna.
  4. Infine, ma non ultimo per importanza, vige tuttora una legislazione di controllo degli affitti privati che su una buona parte delle locazioni private (comprese ovviamente quelle sociali) implica contratti di durata indefinita e non permette aumenti arbitrari degli affitti.

La questione fondamentale è il tema dell’infrastruttura abitativa urbana: le politiche abitative sono strutturate come un investimento a lungo termine, che non sfocia mai nel libero mercato, in coordinamento con la pianificazione spaziale e le politiche sociali. Infine, il tema innovativo sperimentato a Vienna è quello dei concorsi pubblici, che vengono strutturati in modo da garantire un’elevata qualità dei progetti realizzati, proponendo soluzioni tipologiche interessanti e una continua sperimentazione. Nonostante le evidenti differenze con il sistema regolativo e degli attori vigente in Italia, piuttosto frammentato e pieno di buchi – si pensi alla vendita dell’edilizia pubblica o alle convenzioni che dopo 15/20 anni finiscono -, si può imparare molto da Vienna. Forse la questione fondamentale, nonché più pressante, riguarda la necessità di una calmierazione a lungo termine dell’aumento della rendita fondiaria (vissuto da una città come Milano), che si potrebbe mettere tramite politiche attive sul patrimonio di immobili e suoli urbani – in primis pubblici, ma anche privati – in modo da mitigare gli effetti più deleteri ed espulsivi dell’aumento dei valori immobiliari.


CONCLUSIONI

La tavola rotonda ha rappresentato una prima occasione di confronto fra amministrazioni, esperti e operatori del settore abitativo intorno alle nuove pratiche e sperimentazioni nel campo delle politiche pubbliche per la casa. In particolar modo le riflessioni si sono articolate intorno a due grandi questioni.

La prima riguarda il tema della sofferenza e frustrazione da parte dell’amministrazione pubblica – e in generale del settore – di fronte alle difficoltà crescenti nella programmazione, gestione e implementazione di politiche abitative efficaci. I fattori che contribuiscono a determinare questa situazione riguardano:

  1. La carenza cronica di risorse da dedicare alle politiche abitative pubbliche, che si mantengono con investimenti disorganici e non strutturali
  2. La scarsa integrazione e collaborazione tra i diversi livelli amministrativi  (Regione e Comuni) che programmano e gestiscono le politiche abitative pubbliche
  3. La presenza di pratiche burocratiche ostacolanti, che impediscono innovazioni di sistema e impongono lungaggini e complicazioni
  4. Il senso di impotenza di fronte ad un acuirsi della crisi abitativa, che vede un ampliamento della fascia di nuclei familiari che presentano difficoltà nell’accesso e nel mantenimento dell’alloggio

Il secondo tema è legato alle istanze e necessità che emergono come presupposto (e proposte) per innovare le politiche abitative pubbliche, supportare le sperimentazioni e rispondere alle nuove e mutate domande di casa:

  1. Promuovere un ascolto e dialogo maggiore fra l’apparato legislativo e quello amministrativo: norme e pratiche devono contaminarsi e lavorare in continuità reciproca
  2. Alimentare meccanismi di networking e dialogo tra città per reclamare una maggiore attenzione e coesione sulle politiche abitative a livello nazionale, esercitando lobbying e pressioni sulla politica
  3. Ricercare modelli e buone pratiche a livello europeo, attivando riflessioni comparative che producano reali apprendimenti tra dimensioni territoriali che presentano differenze le quali vanno valutate e tenute in considerazione
  4. Dotarsi di strumenti e pratiche a livello locale definiti da regole più chiare e precise, nell’ottica di una maggiore trasferibilità tra realtà urbane che hanno diversi livelli di competenza sul tema