Ricercatrice Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

L’anniversario della morte di Che Guevara ha rappresentato, com’era naturale e prevedibile, un’occasione per interrogarsi, al di qua e al di là dell’Atlantico, sulla forza del suo mito rivoluzionario. È rimasto per lo più in sordina il discorso sui contenuti della sua azione e della sua eredità politica. Un’eredità che pure è ancora viva e operante per il futuro dell’America Latina.

Nella ricorrenza del mezzo secolo dalla scomparsa di uno dei più celebri uomini del Novecento, il discorso pubblico si è concentrato prevalentemente sulle ragioni di una forza simbolica che si è mostrata capace di rompere ogni barriera del tempo e dello spazio: di sopravvivere alla fine del socialismo e al trionfo del neoliberismo, di suscitare commosso rimpianto – o anche indignato rigetto – in esponenti di più generazioni, di riverberare dall’America Latina fino ai più remoti angoli del pianeta.

In linea di massima, non sembra che questo anniversario sia servito a sollecitare riflessioni che provassero a dare davvero dei contenuti all’aura mitologica del personaggio, in particolare collocando la vicenda di Ernesto Che Guevara – la sua vita di rivoluzionario, la sua morte – nello scenario dell’America Latina, magari per provare a interrogarsi su quale apporto concreto, al di là delle illusioni e dei fallimenti, ha dato Guevara al cammino del continente e su quale eredità politica ha lasciato.

Per trovare qualcosa di interessante in questo senso dobbiamo lasciar perdere il discorso pubblico sollecitato dalla ricorrenza e rifarci a un articolo di qualche anno fa, pubblicato sulla rivista Recherches internationales (n° 93, janvier-mars 2012, pp.143-160) e liberamente consultabile sul sito dell’associazione francese Mémoire des luttes: La pensée du Che et les processus actuels d’émancipation en Amérique latine.

Il ragionamento dei due autori, Jean Ortiz e Marielle Nicholas, entrambi specialisti di storia e cultura dell’America Latina, lega il pensiero politico di Che Guevara ai successivi movimenti politici e sociali che, fino a oggi, hanno attraversato il subcontinente.

 

Copertina della rivista Bohemia sull’iconografia di Ernesto Guevara tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

 

L’eredità politica di Guevara – sedimentata in una ricchissima messe di scritti ufficiali e appunti, che dà l’impressione di una formazione ideologica e culturale sempre in fieri, mai data per acquisita – coincide con un’idea di socialismo che non è mai dottrina: come fu, anche se in modo molto diverso, per Gramsci (il paragone è espressamente formulato dagli autori), per Guevara il marxismo è un processo e ciò che egli traccia con la sua vita di rivoluzionario è «una traiettoria insieme intellettuale e pratica, una convinzione in atto, un pensiero laboratorio» (p. 144).

È proprio questa dimensione “laboratoriale” a fare di Che Guevara, più che un’icona eterea e lontana, una vera e propria «cassetta degli attrezzi» per quanti dopo di lui hanno agito per l’emancipazione dell’America Latina dalla sua secolare dipendenza dalle logiche economiche e politiche dell’imperialismo. Che Guevara trova il suo posto in una filiera ideale che parte da Simon Bolivar e passa attraverso José Martí, proponendo una «visione continentale» dei problemi sudamericani che fa da sfondo alla ricerca di soluzioni condivise tra tutti i paesi dell’area. In un processo che è altro e diverso rispetto alle vicende del mondo occidentale, una differenza che – secondo gli autori – sta anche alla base di tanti degli equivoci che viziano la lettura eurocentrica della storia più recente dell’America Latina.

Il dibattito di questi giorni è stato invece pigro ed indolente, mancando di leggere in chiave problematica e critica le vicende di Ernesto Guevara.

La discussione globale sul mito del Che si è indissolubilmente legata a quella della sua rappresentazione iconica, cristallizzata nel ritratto dai toni messianici di Alberto Korda: un’immagine che proprio in clima di anniversario ha riconfermato la sua forza pervasiva, rimbalzando nella rete nelle sue molte declinazioni, dalle più filologiche alle più pop, e basta farsi un giro sull’hashtag cheguevara di Twitter per farsi un’idea della portata del fenomeno.

Mentre anche l’accademia si interroga sulla forza simbolica di Guevara (si veda per esempio il ricco programma di un convegno internazionale che si terrà a giorni presso l’Université Versailles Saint Quentin) e si susseguono le iniziative pubbliche che ruotano attorno all’icona (ha fatto discutere, a tal proposito, la scelta delle Poste irlandesi di dedicare al Che di Korda un francobollo, onorando le antiche radici del padre dell’eroe), sui media si è riproposta la diatriba tra la radicata memoria di sinistra che esalta lo spirito umanitario del comandante argentino e il revisionismo di chi – per lo più da destra – fa leva sui trascorsi guerriglieri di Guevara per farne emergere, come verità a lungo taciuta, i tratti più sanguinari, mentre l’Economist ha pubblicato un articolo in cui si invitano le sinistre a «seppellire Che Guevara una volta per tutte» per scegliersi dei simboli meno radicali e più dem.

 

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