“Nebbia sulla Manica. Il continente è isolato” è una vecchia battuta che tradizionalmente si dice in Gran Bretagna. Come tutte le battute, testimonia di un fondo autentico di vissuto. L’idea cioè che il continente non sia che un’appendice di una realtà centrale. La propria. Il 23 giugno, in occasione del voto sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, molti pensano di avere l’opportunità di far risuonare forte questa loro convinzione.

L’Europa non ha mai goduto di popolarità al di là della Manica. Nel Regno Unito, molti, quando pensano all’Europa, la immaginano attraverso le parole di Giulio Cesare, o meglio, a quelle che  Plutarco fa dire a Cesare dopo la battaglia di Farnace nel 47 a.C. “Veni, vidi vici”. Per molti inglesi è il motto dell’Europa. Molti pensano che il 23 giugno sia l’occasione per dare una sterzata a una condizione “impropria”.

Tuttavia, qualsiasi sia l’esito di quel voto, solo apparentemente quel giorno si aprirà esplicitamente un processo di riscrittura della UE.  Quel processo, infatti,è già aperto da tempo.

Brexit dà il nome a un processo aperto da almeno otto anni in Europa, con un antefatto collocato nel maggio 2005 quando una parte consistente e variegata dei paesi membri (per esempio la Francia, ma anche la Polonia, la Spagna) votano di malavoglia per ratificare il trattato di Lisbona.

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Il primo campanello d’allarme lo esprime la Repubblica di Irlanda il 13 giugno 2008.

In quell’occasione, l’Irlanda dice no al tratto di Lisbona. A lungo abbiamo pensato che quel voto fosse irrilevante, perché l’Europa era presentata come una condizione irreversibile. Da tempo sappiamo che non è più così. La crisi economica ha avuto un effetto acceleratore di un processo che non trovava l’occasione per farsi progetto. L’Europa, allora e ancora per anni, è stata vissuta come un vantaggio specifico per ciascuno, non come un disegno che obbliga ciascuno a riparametrarsi.

È la crisi che obbliga a pensare che una realtà politica si basa su un rapporto tra centro e periferia. A lungo ciascun attore della UE ha pensato invece di essere il centro o ha pensato se stesso come un recettore di vantaggi perché sottoposto a regime di curatela. Per lungo tempo “Europa” è stata una chance di fuga rispetto ai propri disagi nazionali.

Da una parte consentiva di sottrarsi al proprio governo centrale e di aggirare talora dei vincoli percepiti come troppo rigidi. Funzionava da escamotage per rimettere in discussione la struttura della propria realtà di Stato nazionale di appartenenza. Oppure, dall’altra, serviva per avere la sensazione di fuoriuscire da una precedente condizione di “servaggio” e agganciarsi a un mondo in sviluppo.

Nel primo caso Europa equivaleva a “antistato” (era un modo di fare la guerra alla proprio Stato). Nel secondo veniva assunta facendo valere la funzione di marche di confine con l”altro Impero” (è il caso della Polonia) e dunque acquisire possibilità finanziarie, godere di investimenti,di prestiti.

Europa in questo caso non corrispondeva a un mito politico, ma era una possibilità per dare prospettiva alla propria società nazionale altrimenti al collasso. Così è stato per i paesi dell’ “ex impero sovietico”.

In tutte due i casi, Europa era un modo per trovare una propria funzione specifica, e dunque neo nazionalista, dentro uno scenario che non rispondeva ad alcun criterio generale e che soprattutto non pensava in termini “continentali”. Davvero Brexit è una novità?

David Bidussa
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

13/06/2016

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