Scuola Normale Superiore

 


#1 Bisogni e istanze sociali | #2 Opinione pubblica e comunicazione politica
#3 Le forme del conflitto e della partecipazione | #4 Le proposte e l’idea di civiltà


Ricordare il centenario dalla nascita del Pci implica ricordare il trentennale della sua fine. Misurare, quindi, bisogni e possibilità del presente su quella storia, significa riconoscere i punti di rottura che la contemporaneità ha vissuto nella lunga transizione che ci ha portato fuori dal Novecento.

Sembra banale dirlo, ma il Pci è stato tre cose: è stato un partito, è stato comunista ed è stato italiano. Intorno a questi tre elementi, si sono possono sviluppare alcuni spunti di riflessione sull’oggi.

Il partito è la forma di partecipazione collettiva che più di ogni altra ha caratterizzato il XX, l’elemento organizzativo di massa che, forzando i ristretti limiti del parlamentarismo liberale, costituiva un legame organico tra le istituzioni rappresentative e la grande maggioranza delle persone, rendendo possibile quell’ibrido in costante tensione che abbiamo chiamato democrazia liberale. Nessuna delle organizzazioni oggi chiamate “partiti” nel linguaggio comune esprime questa funzione. E questo è un problema, perché quella dei partiti è l’unica democrazia che abbiamo conosciuto in Europa. Non c’è democrazia senza organizzazione collettiva. I meccanismi di rappresentanza elettorale, se sono solo l’espressione individuale della delega agli eletti, hanno molto più di liberale che di democratico.


I bisogni sociali che ci si propone di captare e rappresentare

Guarda l’intervista al filosofo Gianni Fresu

 

C’è democrazia solo se c’è condivisione stabile nel tempo di battaglie concrete e di visioni di fondo di trasformazione generale. Ma il rider-studente-migrante-musicista-youtuber-consumatore, in quale di queste vesti si inquadra in un’organizzazione?

In un’epoca in cui movimenti, segmenti di società e singole persone rivendicano e praticano una propria politicità, rifiutando di subordinarla a un principio unificante sovraordinato, come si costruisce un soggetto politico generale? Affrontare seriamente questo nodo non si può fare né con la negazione della realtà e il tentativo di resuscitare il partito di massa del Novecento ¬– che può essere legittimamente rimpianto ma non razionalmente riportato in vita – né rinunciando a qualsiasi tipo di soggetto generale, demandando a esperienze locali e settoriali l’esclusività dell’azione collettiva. Sperimentare e costruire organizzazioni politiche, il più possibile unitarie e trasversali, che sappiano trovare nella pratica democratica radicale l’equilibrio tra la necessità di un soggetto generale e le mille appartenenze e le mille identità del mondo di oggi, è una sfida inderogabile.
Se una società frammentata non è in grado di costruire occasioni di ricomposizione generale, ciò deve avvenire sul campo della politica.

E qui veniamo al secondo elemento: è stato un partito comunista. Con una propria interpretazione originale di cosa significasse il comunismo, in un equilibrio tutt’altro che stabile tra riforma e rivoluzione, tra omologazione e alternativa. Ma è innegabile che ci fossero nella bandiera rossa con falce e martello l’emblema della necessità di una trasformazione generazionale della società e l’appartenenza al primo movimento politico mondiale, multietnico e multirazziale di sempre, entrambi aspetti che vanno ben oltre i confini di una semplice organizzazione. Nel 1879 Andrea Costa invitava i socialisti a non pensare che «basti gettare al popolo il grido del “Pane!” per sollevarlo”, perché “il popolo è di natura sua idealista». Il neoliberismo è una visione del mondo e della società capace di spiegare la realtà e indicare alle persone una prospettiva al suo interno. A sinistra, non si è intravisto per anni nulla del genere, con la convinzione diffusa che bastasse una lista di vaghe parole d’ordine o di minuziose rivendicazioni.

Può una proposta politica funzionare senza un’utopia di trasformazione radicale del modo in cui stiamo al mondo?

Tendenze di fondo si intravedono: una crescente centralità del welfare, della protezione sociale, di un intervento pubblico nell’economia mirato alla conversione ecologica e alla gestione dell’automazione. Cooperazione contro competizione, liberazione contro oppressione. È in grado l’ecosocialismo, ben connotato in termini di genere, di diventare una proposta politica che indichi un orizzonte di trasformazione di fronte alla sfida della crisi climatica, proponendo compiti e direzioni di fondo a vari settori della società?

Infine, è stato un partito comunista italiano. Capace di trovare, non senza difficoltà e compromessi, una propria lettura della Storia del nostro Paese e un suo posto all’interno di essa. Una chiave di lettura della modernizzazione in atto e del ruolo dei propri soggetti sociali di riferimento all’interno di essa. Un meccanismo andato in crisi con la sclerotizzazione della dinamica governo-opposizione, che ha portato nel tempo il Pci ad incarnare il ruolo di unica vera alternativa alla Democrazia Cristiana e di conseguenza ad assumere al proprio interno tutte le critiche al modello democristiano di governo, comprese quelle liberali. Non si può non ripartire dall’analisi critica della realtà concreta: quale potenziale blocco sociale è in grado di determinare un cambiamento in senso progressista nella società italiana di oggi? La “maggioranza invisibile” di disoccupati, precari, working poor, pensionati, migranti e neet di cui parlava Emanuele Ferragina già qualche anno fa, può riuscire a immaginare un proprio ruolo comune nella trasformazione della società italiana? E qual è il posto dell’Italia nella trasformazione generale che vorremmo vivere, nel contesto del declino europeo?

Un’organizzazione, o almeno una serie di dispositivi organizzativi che facciano da piattaforma efficace e stabile all’esercizio della democrazia, una visione di trasformazione generale del mondo e della vita delle persone, la capacità di collegarla all’interno del contesto storico e geografico concreto in cui si opera. Sfide non da poco, nel centenario del Pci, ma ineludibili, se non intendiamo arrenderci alla norma della competizione di ognuno contro tutti.

Quali bisogni sociali deve rappresentare una forma di governo alternativa?

Leggi l’intervista a Danièle Obono, Deputata LFI

 

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