In questi giorni ad Amburgo molti hanno pensato che tornasse una scena già vista.
Non è andata così, ma non è casuale che molti ci abbiano pensato e con la mente abbiano riannodato indietro (come in una vecchia “pizza cinematografica”) il rotolino della storia riposizionandosi un po’ più a sud (a Genova) due settimane dopo (18 – 20 luglio) sedici anni fa (2001).
Tornare a Genova luglio 2001, significa riaprire e mettere l’occhio su un momento drammatico della storia italiana attuale. Con “storia attuale” intendiamo quella che è avvenuta in un momento abbastanza vicino a noi ora e che ancora pesa su di noi.
Da quel fine settimana di luglio 2001 ci distanzia lo spazio temporale di una generazione, ma è innegabile che quello sia ancora un momento aperto, presente nel retro pensiero di molti. Non tutti eravamo lì, ma quella data è parte di un calendario civile della storia d’Italia. Ed è una data che segna un “prima” e un “dopo”.
Ci sono molti modi per raccontarla a seconda che si scelga il sangue, oppure le parole, o le molte storie dei protagonisti.
Noi abbiamo pensato che un modo per raccontarla, fosse partire dal silenzio: dando voce ai senza voce nel tentativo di dare una mappa che ripartisse dalle molte Italie che, dopo, hanno provato a sentire come propria quella data, tentando di non farsi condizionare dal sangue, e andando al di là della violenza.
L’ipotesi è riflettere in occasione dell’anniversario del G8 di Genova mettendo al centro il profilo di una generazione che in quell’occasione è stata consumata, è stata vinta ed è scomparsa.
Per questo abbiamo pensato di organizzare un momento pubblico a più voci, dove raccogliere e ascoltare a partire da quelle voci il percorso verso una speranza, appunto quella di “un altro mondo è possibile”.
Perché siamo convinti che la storia di tutti noi da sempre sia come il Sisifo di Albert Camus: nel momento in cui il masso torna giù a sprofondare, e dunque tutto sembra perduto, Il vinto non si arrende, guarda la sua sconfitta, scende e con determinazione, recupera il masso e prova a farlo di nuovo risalire. Nella discesa esamina il perché della sconfitta, riconosce la forza dell’avversario, ma anche le proprie debolezze, incapacità e inerzie.
Essere sconfitti non è perdere, ma non riprovarci o decidere che non vale la pena di provare a percorrere strade diverse, anche tenendo conto della propria incapacità di reagire.
Per questo il nostro obiettivo è riportare al centro dell’attenzione quella generazione, i suoi destini, le sue “peregrinazioni” (culturali, emotive, emozionali, mentali, professionali) le sue storie, dando spazio di cittadinanza a una generazione e a un “grumo” di storie che lì si dettero appuntamento in nome e con l’obiettivo “un altro mondo è possibile” e ne uscirono dicendosi che occorreva ricominciare da un’altra parte, con altri legami, spesso non sentendo più questo paese come il proprio, inventandosi un diverso progetto di vita.
Per questo abbiamo pensato di coinvolgere varie figure tipo per ritornare insieme a ripensare non solo quel momento, ma anche il nostro tempo, provando a ritessere le fila per domani.
Gran parte dei temi e delle sensibilità che animavano quell’area e quella generazione silenziate, sono tornati, fanno oggi parte del nostro linguaggio: ambiente, alimentazione, sostenibilità, sharing economy, condivisione urbana. Sono parole che per molti hanno avuto il sapore della novità intorno a Expo Milano 2015, ma la loro origine era là, alla svolta del millennio, e a Genova sprofondarono. Quel desiderio di futuro aveva un lessico che oggi in gran parte è il nostro, ma non ce lo ricordiamo perché allora fu “silenziato” e, contemporaneamente, non seppe trovare le strade e i percorsi per riprendere un cammino, in gran parte perché l’attenzione di molti era concentrata sul dolore, più che sulla capacità di rimettere in ordine e di dare un nuovo profilo a contenuti. Insomma dare a quelle parole “nuove gambe per camminare”.
Ecco perché si tratta prima di tutto di ritrovare le voci e ridare alle parole una storia.
Riaprire il discorso su Genova 2001 vuol dire anche ritrovare il filo del “tempo perduto”, più che quello del “sangue versato” e riprendere in mano una possibilità di futuro, proprio perché “un altro mondo è possibile”.