Estratto dal discorso tenuto da Salvatore Veca in occasione della presentazione di Stagione Capitale 2018/2019
L’idea di sviluppo sostenibile che emerge dall’Agenda 2030 dell’ONU è incentrata sulla responsabilità nei confronti delle generazioni future che vivranno nell’unico pianeta che, sino a prova contraria, noi condividiamo.
È una vera e propria questione di giustizia intergenerazionale che chiama direttamente in causa la dimensione del futuro. “Il futuro”, ha scritto Rainer Maria Rilke, “entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada”. Ciò vuol dire che è qui e ora che dobbiamo agire, se prendiamo sul serio l’estensione dell’ombra del futuro sul presente. Il punto importante è che i diciassette obiettivi sono fra loro in vario modo connessi ed esemplificano una visione multidimensionale del progresso e dello sviluppo umano come libertà, nel senso espresso da Amartya Sen.
Che si tratti del contrasto alla povertà o del diritto a cibo sano e adeguato, della parità di genere o del contrasto alle disuguaglianze ingiustificabili entro le società e fra le società, della preservazione e della tutela della biodiversità o dell’accesso all’educazione e alla formazione, del diritto all’acqua pulita o dell’accesso alle energie rinnovabili, del contrasto al cambiamento climatico o alla desertificazione o all’acidificazione degli oceani, del diritto a una buona salute nel corso del tempo di vita o della buona occupazione e di una crescita economica inclusiva e di un lavoro dignitoso per chiunque o delle città sostenibili, il punto importante è il grado di interdipendenza e la connessione fra i diversi obiettivi.
È il suo carattere multidimensionale che contraddistingue il paradigma della sostenibilità, con cui dovrebbe essere coerente un capitalismo giustificabile e legittimabile. Quale capitalismo, se ve n’è uno – dato che ve ne sono stati molti – è possibile in quanto coerente con l’utopia sostenibile, come direbbe Enrico Giovannini? E aggiungerei: quale capitalismo in quale democrazia? Il carattere dello sviluppo sostenibile non è riduzionistico: la sostenibilità è economica, ma non è solo economica. È ambientale, ma non è solo ambientale. Essa è anche sociale e culturale. Tocca i diritti indivisibili e il benessere delle persone. Il paradigma dello sviluppo sostenibile prende sul serio l’idea della comune umanità.
Così si abbozza una nuova idea di progresso umano che muove dal fine di rimuovere gli ostacoli, a volte crudeli e barbarici, a volte subdoli, ipocriti e suadenti, che negano di fatto alle persone il perseguimento della eudaimonia, dell’autonomia, della felicità e della libera fioritura. Quegli ostacoli che negano loro la pari dignità, violando la proprietà di campo della comune umanità. La nuova idea di progresso genera una visione lungimirante che chiede una politica che miri e ambisca a modellare una globalizzazione equa dei diritti e delle regole. Non a subirne i limiti né gli effetti, negoziando al massimo con i potenti sociali e con il capitalismo reale, predatorio e senza regole. La nuova idea di progresso adotta il punto di vista della comune umanità assegnando priorità a chiunque, senza sua responsabilità, versi nelle differenti condizioni dello svantaggio e della sofferenza socialmente evitabile.
Questo è ciò che suggerisce una visione lungimirante ai tempi delle politiche della chiusura, dei sovranismi di differente taglia e potenza, ai tempi dei dazi e delle guerre commerciali planetarie, ai tempi della vasta e ricorrente gamma delle pratiche del disumano. Pensate all’orrore dei “porti chiusi”. Adottare il punto di vista della comune umanità non equivale affatto, come sostengono i sovranisti, a negare la varietà delle appartenenze e delle identità collettive modellate dalla costellazione nazionale. Esso equivale piuttosto a immergere la varietà delle storie, delle religioni, delle tradizioni, delle culture, nel campo variegato e plurale della comune umanità. E questo dà senso per noi a un futuro di sviluppo umano come libertà ed equità, più degno di lode.
(…) Per pensare il futuro, ricorriamo al passato come repertorio di possibilità alternative. Potremmo, allora, tornare indietro di oltre due secoli.Nel 1793 Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Condorcet, di cui la Convenzione ha decretato l’arresto, trova rifugio nella casa di Madame Vernet vicino alla Chiesa di Saint-Sulpice a Parigi. È in quella casa che il rifugiato si dedica alla sua ultima grande opera. Un’opera luminosa, scritta a lume di candela. Si tratta del celebre “Esquisse dell’Abbozzo di quadro storico dei progressi dello spirito umano”. Al termine dell’Esquisse, nella decima epoca Condorcet si interroga sui progressi futuri dello spirito umano. “Le nostre speranze sullo stato futuro della specie umana possono ridursi a questi tre punti importanti: la distruzione della disuguaglianza fra le nazioni; i progressi dell’uguaglianza in seno a uno stesso popolo, e da ultimo il reale perfezionamento dell’uomo.” Il fine dell’arte sociale è quello di ridurre le disuguaglianze fra gli esseri umani, “per fare posto a quell’uguaglianza di fatto […] che, diminuendo anche gli effetti della differenza naturale delle facoltà, non lascia più sussistere se non una disuguaglianza utile all’interesse di tutti, perché favorirà i progressi della civiltà, dell’educazione e dell’industria, senza portar con sé né dipendenza, né umiliazione, né impoverimento”.
Il sogno di Condorcet si potrebbe anche definire come il sogno di un illuminismo per tutti, e non per pochi. Altre idee di progresso, care a buona parte della sinistra alle nostre spalle, si sono avvalse della credenza nella sua necessità e inevitabilità. Altre hanno spezzato le connessioni fra le differenti dimensioni. Altre, ancora, si sono schiacciate o sulla dimensione scientifica o sulla dimensione tecnologica o sulla dimensione della crescita illimitata del capitalismo predatorio. Ma non sono queste le idee di progresso di cui deve avvalersi la nostra visione del futuro. No al progresso a una dimensione! Così, ci approssimiamo, sotto il segno del senso della possibilità e dell’utopia sostenibile, al fine dello sviluppo umano come libertà, di chiunque, ovunque, nel pianeta che condividiamo in tempi difficili, nell’incertezza generata dalla grande trasformazione, piena di traversie cupe e luminose opportunità.