Il 29 aprile, il comune di Milano ha firmato un documento che si pone l’obiettivo di rendere la città un polo di formazione e opportunità per i lavoratori. Ambizioso punto di partenza o occasione mancata?  

 

Il patto per il lavoro firmato a Milano lo scorso 29 aprile si pone l’ambizioso obiettivo di rendere la città di Milano un polo di formazione e opportunità. Alessia Cappello, assessora comunale allo Sviluppo Economico e alle Politiche del Lavoro, dal mese di gennaio sta lavorando al Patto in maniera sinergica con i sindacati (Cgil, Cisl e Uil), la Camera di Commercio, Confcommercio, Assolombarda, Afol e Città metropolitana.  

In una recente intervista al Corriere della Sera, l’assessora ha spiegato come l’obiettivo del Patto sarà rilanciare lo sviluppo e l’occupazione in città: “È vero che non siamo il Governo e che il lavoro è una competenza verticale di Regione e Città metropolitana, però siamo Milano e dobbiamo proporre azioni concrete e di sostanza. Tra di noi c’è sempre stato un clima positivo e costruttivo”.  

Il Patto per il lavoro di Milano punta a definire gli obiettivi strategici condivisi tra le parti e individuare i principali cantieri progettuali, per promuovere economia e sviluppo.  

 

In sostanza, si tratta di disegnare un nuovo modello organizzativo del lavoro, che eviti che la città si svuoti ulteriormente e nello stesso tempo adatti il mercato del lavoro alla nuova realtà economica e sociale.  

Il Patto si basa su quattro linee strategiche: Milano città della formazione, Milano città delle opportunità, Milano città del buon lavoro e Milano città del rilancio.   

 

Il contesto economico sociale: dalle politiche europee alle policy locali 

Nel patto viene specificato come l’Europa abbia reagito prontamente, nella primavera del 2020, con iniziative di contrasto agli effetti recessivi della pandemia. La proposta del 27 maggio 2020 della Commissione COM (2020) ha affiancato al Quadro Finanziario Pluriennale l’iniziativa Next Generation EU. Il totale complessivo delle risorse da impiegare nel prossimo settennio è pari a 1.824,3 miliardi di euro e si compone del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP o, nell’acronimo inglese, MFF) 2021-2027 e da Next Generation EU (NGEU).  

L’importo è stato successivamente incrementato di 16 miliardi di euro su richiesta del Parlamento europeo: 15 a sostegno di alcuni programmi faro dell’UE e un miliardo destinato alla flessibilità di bilancio. Si tratta di una programmazione ambiziosa: NGEU è una iniziativa temporanea con lo specifico e chiaro obiettivo di contrastare gli effetti dell’emergenza COVID-19, che determina una esigenza di risorse che altrimenti non sarebbero state disponibili con le procedure di bilancio ordinarie. 

Le risorse per l’Italia ammontano a 208,8 miliardi di euro, di cui 127,4 miliardi da impegnare nel 2021-22. Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR), che definisce gli interventi da sostenere, in coerenza con le priorità specifiche per Paese individuate nel contesto del semestre europeo, contiene un pacchetto di riforme e investimenti.  

NGEU e il QFP avranno certamente impatto nei comparti sui quali si è deciso di investire (verde e digitale, con tutto il portato su infrastrutture, trasporti, PA, edilizia, automotive, meccanica, e quanto la fantasia del PNRR può immaginare), manifestando sostanziali risvolti, tutti da governare, anche sul mercato del lavoro. 

In particolare, per la promozione di un lavoro di qualità, emergono tre grandi obiettivi di visione: 

  • Aumento tasso di occupazione (al 78% per la media dell’Unione); 
  • Adulti in partecipazione a formazione continua e permanente (almeno il 60% degli adulti coinvolti ogni anno in percorsi di formazione continua e almeno l’80% delle persone tra i 16 e i 74 anni in possesso delle competenze digitali di base); 
  • Riduzione della povertà. 

 

La misura del PNRR che riguarda il lavoro (5.1), indica due riforme promosse dal Governo e in particolare dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali. La prima, in particolare, promuove politiche attive del lavoro e nuove competenze delle lavoratrici e lavoratori. L’idea è riformare le politiche attive attraverso la piena integrazione dei percorsi di riqualificazione delle competenze a supporto delle lavoratrici e dei lavoratori in transizione occupazionale mediante l’implementazione del Programma nazionale “garanzia di occupabilità dei lavoratori” (GOL), già istituito in legge di bilancio. La novità di GOL è dunque una forte componente di formazione per l’aggiornamento professionale, la riqualificazione o la riconversione. 

La riforma prosegue l’attività di potenziamento dei Centri per l’Impiego (CPI), inoltre, attraverso il Programma Attuativo Regionale, intende favorire lo sviluppo di reti di cooperazione tra i diversi soggetti che operano nell’ambito di uno stesso mercato del lavoro e in particolare imprese, enti di formazione, soggetti accreditati per i servizi al lavoro e centri per l’impiego.  

Grazie a tali reti verrà potenziata la capacità di analisi del fabbisogno di competenze e per la costruzione e progettazione di percorsi personalizzati per i job seeker, con l’obiettivo di una capillarizzazione dei servizi offerti, in sinergia con le realtà sociali e associative del territorio, in un’ottica potenzialmente favorevole in un contesto milanese per la realizzazione della Città a 15 minuti 

Il Piano Nazionale Nuove Competenze, invece, prevede un intervento strategico nazionale di riorganizzazione della formazione delle lavoratrici e dei lavoratori, occupati e disoccupati. La riforma promuove una rete territoriale dei servizi di istruzione, formazione, lavoro, anche attraverso partenariati pubblico-privati. L’idea è arrivare finalmente a sviluppare un sistema permanente di formazione (life-long learning, reskilling e upskilling). 

 

Una città per la formazione 

Rispetto alla prima linea strategica indicata nel Patto per il lavoro, i dati dimostrano che tra le criticità più diffuse nel mercato del lavoro spicca la poca fluidità del meccanismo dell’incrocio tra domanda e offerta a causa del Mismatching che esiste tra competenze richieste dal mercato e skill possedute dai candidati.  

 

Un dato che evidenzia la portata del fenomeno stima che nei prossimi dieci anni il 27% degli impieghi riguarderà figure professionali che ancora non esistono.

 

Questo rende ancor più chiaro quanto la formazione tradizionale (ma anche quella definita “smart learning”) non possa più essere valutata come strumento di possibile risoluzione del gap esistente tra domanda e offerta del mercato del lavoro.  

L’obiettivo del patto è di valorizzare i talenti dei giovani attraverso scelte consapevoli e un’attivazione razionale dei tirocini. L’intervento riguarderà ovviamente i percorsi di competenze trasversali e orientamento che vengono svolti nelle scuole secondarie di secondo grado. Il futuro benessere socioeconomico della città, infatti, risiede anche nella concreta possibilità che i giovani possano esprimere pienamente i propri talenti e disporre delle capacità necessarie per cogliere le opportunità offerte dal mercato del lavoro. 

Il Patto, nell’ottica della sua natura partecipata, mira anche a sviluppare forme di dialogo e di collaborazione con attori pubblici e privati del territorio per favorire la comprensione, l’analisi e la costruzione di proposte formative innovative. Nell’ambito di questa linea d’azione, il Patto si impegna a prestare particolare attenzione per le esigenze specifiche delle lavoratrici, nell’ottica di un sempre più equo e inclusivo bilanciamento tra tempi. 

 

Una città per le opportunità 

Rispetto alla seconda linea strategica, il testo del nuovo Patto descrive una Milano del futuro che punta su economia urbana, imprenditoria e micro imprenditoria, turismo, Olimpiadi e startup innovative.  

Lo scopo è quello di ridurre la mancata corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro. L’ipotesi allo studio è anche quella di creare nuove professioni che favoriscano l’occupazione femminile e potenziare l’assistenza agli anziani (si consideri che in città vivono centomila ultraottantenni che ne hanno bisogno).  

Nello specifico, viene sottolineato come, nel panorama italiano, Milano risulta essere una città attrattiva in termini formativi e professionali per un target ampio ed eterogeneo di attori: studenti in cerca di formazione di qualità, giovani professionisti in fase d’ingresso nel mercato del lavoro, lavoratrici e lavoratori dal profilo consolidato, grandi player multinazionali con investimenti diretti all’estero. 

Un tema cruciale, all’interno di questo pilastro di intervento, è quello dello smart working lasciato in eredità dalla pandemia: oggi, a Milano, circa sette dipendenti su dieci (dei 900mila del terziario) sono tornati negli uffici mentre il 30% restante ha una presenza alternata di tre giorni fissi e due in smart, o viceversa. Il tema è da affrontare soprattutto da un punto di vista economico e di sostenibilità salariale dei dipendenti che, lavorando da casa, potevano trarre un guadagno in alcuni casi anche rilevante. Questa utilità del lavoratore in smart-working contrasta con la necessità di favorire i consumi e alimentare il tessuto urbano delle piccole imprese. 

 

Una città per il buon lavoro 

Rispetto alla terza linea strategica, particolare attenzione si dedica la tema della sicurezza sul lavoro per contrastare la piaga delle morti bianche. I dati indicano un incremento degli incidenti di lavoro mortali nel primo trimestre del 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente a dimostrazione dell’urgenza di un intervento per rendere più sicuri gli ambienti di lavoro.  

Più in generale, si intende favorire, all’intero della cornice del “buon lavoro”, la cultura della legalità, la promozione dei controlli (attivando strumenti concreti per combattere il lavoro nero, il caporalato e il lavoro irregolare), la sicurezza nei cantieri, la conoscenza di protocolli virtuosi per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (come modelli di relazione tra le parti, siglati tra Comune di Milano e Organizzazioni sindacali) e la formazione sui temi della sicurezza e della legalità del lavoro, anche eventualmente valorizzando la bilateralità laddove esistente. 

 

Una città per il rilancio 

Rispetto alla quarta linea strategica (inizialmente definita “Milano città solidale” poi modificata in “Milano città del rilancio”), l’intento dichiarato è quello di sostenere le persone che perdono il lavoro e non lasciarle sole nel momento di transizione.  

 

Bisognerà accompagnare il ruolo attivo delle donne e i giovani, rendendo flessibili gli strumenti per la loro formazione e riqualificazione.

Con tale finalità, il Patto si prefigge quindi l’obiettivo di gestire il flusso delle cessazioni di rapporto di lavoro, razionalizzando e rafforzando gli strumenti già in campo e attivandone di nuovi, in una logica di tempestiva presa in carico e di offerta al lavoratore licenziato di servizi e politiche attive del lavoro, senza lasciarlo solo nel momento della transizione.  

Nel contesto attuale, inoltre, nell’ottica di una pronta risposta ai trend economici contemporanei e con l’obiettivo di promuovere la buona occupazione, il Patto si propone di sostenere i nuovi lavoratori e lavoratrici della gig e della Platform economy, negli ambiti di intervento possibili e di competenza. 

 

Il patto tra luci ed ombre: una semplice manifestazione di intenti o una proposta potenzialmente innovativa? 

I quattro piani di intervento prospettati dal patto per il lavoro sono certamente da intendersi come integrati, presupponendo anche una cooperazione tra servizi volti a una programmazione orientata ai risultati, ma è doveroso evidenziare che al momento della stipula si poteva profondere più impegno per coinvolgere, dal principio, gli attori locali.  

È sicuramente vero che, come precisato al paragrafo 2, il Patto potrà essere sottoscritto in futuro anche da altre realtà che fanno parte a diverso titolo e a diverso livello dell’ecosistema economico milanese, ma pilastri essenziali delle dinamiche che governano il mercato del lavoro potevano e dovevano avere una partecipazione attiva nella stesura degli obiettivi: basti pensare al variegato e strutturato sistema delle università Milanesi (Università Statale, Università Bicocca, Politecnico, Università Bocconi, Università Cattolica del Sacro Cuore) che dovrebbero avere un ruolo imprescindibile nella strutturazione di percorsi formativi più in linea con le richieste del mercato del lavoro al fine di superare quel mismatching su cui si fonda la logica che governa le missioni del patto.  

Atro aspetto da considerare, questa volta di natura politica, è l’assenza della Regione che sarebbe stato utile includere in quanto, secondo dettato costituzionale, detiene le competenze in tema di mercato del lavoro e servizi pubblici essenziali a esso annessi.  

 

Rispetto agli attori istituzionali che hanno sottoscritto il patto, non emerge una divisione di compiti e responsabilità, ma semplicemente una indicazione vaga sugli incontri futuri.

In particolare, viene specificato che il tavolo si ritroverà di norma con cadenza trimestrale e vengono previste una serie di azioni operative. Appare dunque necessario prevedere un coordinamento e una modalità di regia, promozione e verifica dell’impatto delle varie iniziative, mediante specifica attività di reporting periodico, al fine di facilitare l’attività di proposta e indirizzo svolta dal Tavolo.  

Inoltre, emerge l’intenzione di costruire un “cruscotto di controllo” che consenta la lettura di indicatori di avanzamento concreto delle azioni previste e la percentuale di raggiungimento degli obiettivi occupazionali e di rilancio economico e produttivo, ma probabilmente era necessario inaugurarlo contestualmente alle dichiarazioni di intenti (un ruolo in questo senso poteva/potrebbe essere svolto dall’Osservatorio del Mercato del Lavoro di Città Metropolitana). 

 Fotografia: Sincerely Media
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