Università degli studi di Milano
Ricercatore per l’Osservatorio sulla Democrazia di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Nella prima uscita dell’Europa in Soffitta leggiamo assieme uno dei discorsi “seminali” nella creazione dell’Unione Europea, il discorso di Bruges di Jacques Delors, ottenuto dagli Archives della Commissione Europea. In questo discorso, Jacques Delors, uno dei padri nobili dell’Unione Europea, spiega quali siano stati i principi ispiratori nel rilancio del progetto europeo. Ad accompagnare il discorso, un articolo di inquadramento storico del professor Maurizio Ferrera (Università degli Studi di Milano) e un breve inquadramento rispetto all’attualità europea scritto da Niccolò Donati (Università degli Studi di Milano).


Il carattere innovativo della posizione di Delors
di Maurizio Ferrera
Pochi ricordano che la caduta del Muro di Berlino nel Novembre del 1989 iniziò con un picnic, tre mesi prima: una dimostrazione per la pace, denominata appunto Picnic Pan-europeo, al confine fra Germania Est e Ungheria. L’apertura delle frontiere fra i due paesi scatenò una reazione a catena che culminò a Berlino dodici settimane dopo. Il discorso di Bruges fu tenuto da Delors nel mezzo di quello storico rivolgimento, che stava improvvisamente accelerando la storia europea. Poco più di un anno prima, sempre a Bruges, Margaret Thatcher aveva esposto la propria idea d’Europa: la Comunità come semplice strumento al servizio di stati nazionali sovrani “volta a promuovere il libero mercato, allargare le scelte individuali e combattere l’intervento dello stato in economia”. Il bersaglio polemico della Premier britannica era soprattutto Jacques Delors, il quale aveva iniziato ad elaborare una visione diametralmente opposta, di marca chiaramente social-riformista e federale: una Unione fatta non solo di mercato, ma anche di democrazia e welfare.
Nel suo discorso, Delors non sconfessa il ruolo strumentale della Comunità e del mercato nel garantire la prosperità. Il nuovo ordine economico mondiale aveva fatto suonare “l’allarme della necessità”: senza la realizzazione di un grande mercato unico, l’Europa era condannata a un inarrestabile declino. Ma per quanto necessario, tale passo non era sufficiente, andava “proiettato in avanti” dal punto di vista delle politiche e irrobustito nelle sue fondamenta promuovendo uno “spirito di famiglia”: un sentimento intimo di condivisone valoriale fra popoli e cittadini europei. L’idea di Delors si contrapponeva a quella di Margaret Thatcher sia sul piano orizzontale (non solo mercato, anche valori) sia su quello verticale: il mercato unico non può avere successo senza istituzioni comuni di governo economico (al vertice) e senza un ethos di condivisione (alla base).
Il carattere innovativo della posizione di Delors deve essere colto su due livelli, collettivo e individuale. La Commissione da lui presieduta (fra il 1985 e il 1995) fu la prima ad elaborare e attuare un programma sovranazionale “di centro-sinistra”. Fino a pochi anni prima, i partiti socialisti e socialdemocratici europei avevano trascurato, se non trattato con sufficienza, l’integrazione europea: ciò che li interessava erano solo le battaglie intorno alle politiche nazionali. Lo stesso “esperimento Mitterrand” (1981-1983) si fondava sull’assunto che fosse ancora possibile realizzare il socialismo in un solo Paese. Solo dopo il fallimento di questo esperimento, i socialisti (e non solo francesi) impararono la lezione e passarono dall’ambiguità alla promozione attiva di una strategia “euro-keynesiana”. Questa fu ben delineata nella piattaforma per le elezioni del Parlamento europeo nel 1984 e trovò poco dopo il suo paladino in Delors, appunto. Il Presidente della Commissione si adoperò per aggiungere una “dimensione sociale” al progetto di riforma del mercato interno. E, più in generale, cercò di rimescolare le carte coniando l’espressione “modello sociale europeo” (MSE), con cui contrastare la nozione anodina e sfuggente di “economia sociale di mercato”, portata a Bruxelles dai democristiani tedeschi. Il MSE era non solo il tratto distintivo delle società europee rispetto al “modello americano”, ma anche un progetto trans-nazionale di modernizzazione e irrobustimento del welfare, comprensivo di un ruolo più attivo e diretto delle istituzioni comunitarie in campo sociale, anche sotto il profilo finanziario.
L’originalità personale di Delors come leader politico emerge chiaramente dal discorso di Bruges e consiste nella sua dimensione “visionaria”, condensata nella frase d’apertura: la storia ha posto solo per chi ha lo sguardo lungo e aperto – lo sguardo dei Padri Fondatori. La capacità di elaborare e comunicare visioni è un aspetto spesso trascurato dell’azione politica, ma svolge un ruolo fondamentale. In società sempre più secolarizzate, sono proprio le visioni politiche (che Weber considerava come “teodicee di questo mondo”) a fornire ancore normative e prospettive di progresso ai cittadini-elettori. Delors intende proprio questo quando evoca la necessità di un pensiero prospettico, di un codice etico per la vita, di un “senso di umana avventura”: tre beni collettivi che possono essere prodotti soltanto dalla “volontà politica”. L’idea di un modello sociale europeo, basato sui valori della democrazia, della libertà personale, del dialogo sociale, dell’eguaglianza di opportunità e della protezione sociale; un modello da approfondire e rafforzare ancorandolo al cuore stesso dell’Unione, è la visione proposta da Delors. È da questi ideali, e non solo dalla crescita economica, che dipende la prosperità dei cittadini. Verso la fine del suo discorso, Delors accenna anche alle nuove sfide che il modello europeo avrebbe dovuto affrontare: i confini della scienza e della tecnologia, la ridefinizione dei rapporti fra uomo e natura, l’inclusione dei giovani. Il quid sui della civiltà europea è stata l’incessante ricerca di senso, sorretta da una ragione fiduciosa nella propria capacità di incidere sul mondo. Perciò Delors chiude con la domanda: che tipo di società vogliamo costruire? E dunque, implicitamente, con quali ideali intendiamo mettere le briglie all’Europa della necessità?
Il biografo di Delors ha definito il biennio 1989-1990 come una specie di Icarus moment sia per l’Europa sia per la carriera politica del Presidente. Rispetto alle ambizioni, il Trattato di Maastricht non fu un vero salto di qualità: anzi, gli anni Novanta furono in larga misura un nuovo periodo di “necessità” per molti paesi UE. Ma gli studiosi con sguardo lungo (servono anche loro) sanno che molti semi piantati da Delors sono effettivamente germinati. E, a trent’anni di distanza, gli ideali e le domande di Delors sono riapparse in alcuni discorsi che hanno preceduto l’accordo sul Next Generation EU. Un fatto sorprendente non solo in termini di sostanza, ma anche per la fonte: la Cancelliera Angela Merkel. La pandemia Covid non consente di organizzare picnic: ma se è la Germania a sostenere oggi la solidarietà europea, l’Europa degli ideali ha comunque ragione di festeggiare.

E oggi? La solidarietà appresa nella Crisi COVID
di Niccolò Donati

Secondo gli studiosi, l’integrazione europea avrebbe conosciuto tre grandi fasi. La prima, l’era del varo, si colloca tra la fine degli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60. In questo periodo, la Commissione Hallstein tentò di accreditarsi come attore politico internazionale, aprendo peraltro ad una fase di costruzione istituzionale che gettò le basi per molti degli sviluppi successivi. Questa fase si interruppe con la “crisi della sedia vuota”, quando la Francia di De Gaulle disertò il tavolo delle istituzioni europee per asserire la propria piena sovranità nazionale. La soluzione fu trovata nel Compromesso del Lussemburgo: da lì in poi le decisioni della Comunità sarebbero state prese solamente dall’unanimità dei sei stati membri. Il Compromesso aprì a una seconda era: quella delle calme equatoriali, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘80. Il vento ideale che aveva sospinto l’integrazione nell’era precedente si era sopito, a causa dei difficili requisiti di voto per far avanzare il progetto europeo. Intendiamoci: questa fu anche una fase di straordinario fermento creativo, in cui trovarono origine molti dei progetti che sarebbero stati realizzati solo successivamente. Questo fiume carsico di idee trovò emersione solo con la terza fase dell’integrazione: l’era del boom. Fatta coincidere con l’insediamento della Commissione Delors nel 1985 e protrattasi ai giorni nostri, questa nuova era fu caratterizzata da uno straordinario attivismo istituzionale e politico, che portò alla creazione di molte delle istituzioni che oggi sono presenti così saldamente nella nostra vita: il mercato unico, l’euro, la politica di coesione e, forse soprattutto, la tanto agognata libertà di movimento che il COVID ha crudelmente (e temporaneamente) ferito. L’era del boom, in cui ci collochiamo, ha conosciuto luci e ombre. Come ci insegna Maurizio Ferrera, questa fase dell’integrazione è stata caratterizzata (anche) da squilibri che hanno riguardato il difficile rapporto tra mercato interno ed euro da una parte, e welfare state nazionali dall’altra. La crescente integrazione economica, non temprata da un adeguato correttivo sociale, ha portato ad alcuni squilibri e a tensioni crescenti nella sfera istituzionale e politica. Le tensioni tra Stati continentali e Stati del Sud intorno alle questioni del debito, tra Est e Ovest rispetto alla libertà di movimento, il (ri)emergere del sovranismo (per dirne alcune) hanno comportato enormi difficoltà nel processo di integrazione. Eppure, qualcosa si è mosso. Pure con ritardi e dibattiti accesi, gli Stati Membri hanno deciso che questa era l’occasione per ricucire la trama della solidarietà europea di cui ci parla Delors nel discorso di Bruges. Potremmo parlare di una “seconda era del boom”, in assenza di una migliore denominazione. Questa volta, però, ci collochiamo su un punto più alto rispetto a dove eravamo prima. Questo grazie alla lezione dolorosamente acquisita durante la crisi del debito sovrano europeo: non abbiamo una voce che come continente unito, e non possiamo essere uniti senza solidarietà tra europei. In questo, l’Europa non si è rivelata differente da tutti noi esseri umani. Non possiamo andare avanti senza prima aver imparato dagli errori precedenti e non possiamo stare dove siamo senza solidarietà.


Clicca qui e scarica il PDF del discorso integrale di Jacques Delors al Collegio d’Europe il 17 ottobre 1989.

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L’articolo si inserisce nel contesto del progetto SOLID finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca con il programma H2020, grant n. 810356 

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