Il punto non è se essere d’accordo o meno con Pier Paolo Pasolini e quel che più ci manca non è l’assenza, oggi, di un pensiero «anti-mainstream». Si possono individuare tre diverse questioni in virtù della quali la figura di Pasolini continua a essere rilevante per la nostra quotidianità, indipendentemente dal dichiararsi concordi con il profilo interpretativo che egli proponeva.
La prima riguarda le questioni sollevate da Pasolini negli interventi scritti, soprattutto quelli dei suoi ultimi anni di vita (poi ricompresi negli Scritti corsari e in Lettere luterane). È una critica vibrante di un intellettuale che non teme di sporcarsi le mani con gli aspetti che interessano più da vicino la vita civile e, prima ancora, morale degli italiani.
La seconda riguarda il ruolo pubblico che si ritaglia Pasolini, una fisionomia che somiglia a quella dell’intellettuale pubblico settecentesco capace di suscitare pensiero e dibattito, in una combinazione di verve dissacrante e vocazione pedagogica. Una funzione assegnata alla cultura nella sua portata pubblica di cui nel corso del Novecento si sono progressivamente perdute le tracce.
La terza è collegata alla seconda e forse è quella che rende più attuale la questione Pasolini. Riguarda lo stato di salute della stampa oggi. Pasolini ha avuto sempre un luogo dove scrivere e comunicare. Un luogo che non era suo. Un luogo la cui linea editoriale non era in sintonia con le sue opinioni.
Noi possiamo oggi reagire con sufficienza o con incertezza, con entusiasmo oppure con fastidio, rispetto a ciò che Pasolini scriveva, ma non possiamo non stupirci del dove Pasolini pubblicava quelle sue opinioni. Nessuno l’ha mai espulso, censurato o zittito su quelle pagine.
Oggi la quantità di luoghi dove scrivere, sulla carta e sul web, è moltiplicata a dismisura rispetto ad allora ma con fatica si accolgono opinioni contrarie. Ognuno finisce per scrivere “a casa propria” e per “predicare ai convertiti”. Il problema non è se ci sia un luogo dove pubblicare (ne abbiamo per fortuna in gran numero e di grande qualità), ma se il fatto di scrivere abbia di per sé come fine quello di costringere un lettore potenziale a pensare, fino al punto di scuoterlo e turbarlo. Se ognuno sta nella propria zona di confort, “coccolato” da opinioni che lo confortano, serve scrivere? Serve leggere?
In occasione del centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini proponiamo tre pillole video di Marco Belpoliti, che ci aiuta a mettere a fuoco l’attitudine di un intellettuale che si muove contro corrente, fuori dal tracciato:
Non temere una critica radicale significa prendere di petto la retorica del progresso, non solo come controcanto ai miti dello sviluppo consumista e massificante, ma anche a quella “smania” di diritti che caratterizzava gli anni ’70.
Forse il più famoso degli “Scritti corsari” mette a tema l’idea della mutazione antropologica e della trasformazione del Paese: l’immagine è quella «della scomparsa delle lucciole», di un «Progresso» perseguito senza preoccuparsi delle conseguenze.
Foto di copertina di Domenico Notarangelo.