Costituirsi come soggetti portatori di elementi di novità o rottura all’interno del panorama della contemporaneità risulta un’impresa sempre più ardua se si considera l’estrema e crescente saturazione di contenuti e progetti che, nella maggior parte dei casi, si configurano attraverso modalità comunicative e prassi tra loro piuttosto simili. Promuovere analisi è ormai infatti pressochè sinonimo di produrre opinioni: occuparsi di progetti di matrice culturale, politica o d’informazione più in generale, essendo questi – in particolare nell’ultimo anno – per lo più proiettati in una dimensione meramente digitale ha significato prima di tutto generare una profonda eco di autoreferenzialità. Accezione che, anche qualora sia messa al servizio di lodevoli cause, forse difficilmente può essere assimilata ad una dimensione di vera e propria partecipazione. La partecipazione implica solitamente la messa in gioco di un’opinione all’interno di un gruppo in cui si produce confronto e, qualche volta, anche conflitto. Le forme della partecipazione, così sviluppandosi, si può dire quindi che si stiano generalmente modificando all’interno di una prassi che alimenta l’individualismo e non la partecipazione in un senso più puramente collettivo di intendere il concetto; se cessa la pratica dello scambio e resta per lo più quella dell’esposizione personale si perde forse un po’ il fulcro della partecipazione in senso realmente attivo.
Come poter produrre, quindi, innovazione, cambiamento e fenomeni socialmente, politicamente e culturalmente rilevanti in un contesto come questo? Meneghello quando parlava della scrittura rifletteva spesso sul suo costituire uno strumento che consente di non dover gridare tra gente che grida, sul suo inestimabile valore di difesa che permette di sentirsi al riparo dall’eccesso di comunicazioni e dal troppo e vano in cui siamo immersi. La scrittura, nel suo rimando a una dimensione di analisi, d’inchiesta e, più in generale, al fronte della comunicazione contemporanea corre per lo più in una direzione diametralmente opposta a quella descritta dall’autore. La partecipazione a questo panorama che si occupa di analizzare e scambiare flussi di opinioni dà forse più spesso proprio la sensazione di dover costantemente cercare di gridare più forte in mezzo a gente che grida, e non di impugnare uno strumento che consente, al contrario, di scongiurare questo rischio. A questo sistema è poi naturalmente intrecciato a doppio giro anche tutto il fil rouge relativo alla competizione sfrenata e a quella retorica della competenza di cui soffre particolarmente tutto il panorama attuale nel complesso.
Ritagliarsi uno spazio, quindi, in questo universo che si spinge senza sosta verso una sempre maggiore velocità, autoreferenzialità e competizione che significato e valore può avere? Promuovere nuove forme di partecipazione all’interno di un contesto di questo tipo significa prima di tutto rompere con la prassi dominante che va nella direzione del sempre più spiccato individualismo ed esclusività dettata dalla competenza. Una partecipazione che sia il più possibile inclusiva e dal basso è già di per sé una fonte di innovazione e rottura rispetto all’attuale contesto. La progettualità che può effettivamente essere una fonte di una partecipazione collettiva è quella che cerca di rinunciare in primis alla centralità dell’individuo. La produzione di analisi o inchieste, di qualsiasi matrice esse siano, risulta così non autoreferenziale ed egoriferita ma costituisce il prodotto di processi che trovano il loro elemento d’innovazione principale in una prassi di continuo confronto e partecipazione, costruendo sviluppi che possono effettivamente incidere sulla società e sul contesto circostante, non sulla base di una singola volontà o di un interesse meramente personale, ma come pratica e impulso al cambiamento che riguarda fasce il più possibile ampie e allargate della società; dando vita a un prodotto che con maggior probabilità riguarda più soggetti proprio perché è discussa e pensata da più soggetti. E se la partecipazione avviene in forma collettiva e inclusiva è in una certa misura indispensabile che lo sia anche la fruizione delle analisi, delle inchieste e dei contenuti.
Nella maggior parte dei casi questi risultati si costituiscono attualmente come massicciamente accessibili e fruibili poiché si trovano per lo più online o sui social, ma al tempo stesso, nel loro essere democraticamente disponibili rinunciano, per la forma in cui sono prodotti, ad una certa dose di approfondimento, riflessione e vero e proprio conflitto con il contesto circostante. Perdendo l’arma della rottura rispetto alla linea dominante si perde però anche la possibilità di produrre innovazione, così facendo seppur ci si costituisca come soggetti potenzialmente nuovi perché dotati di elementi originali nella forma di comunicare o nelle possibilità di raggiungere larghe fasce di fruitori, si va comunque a perdere l’elemento cardine che consente effettivamente di produrre e infondere qualcosa nella società. Un esempio pratico è quello dell’informazione veicolata esclusivamente attraverso i social network, che ha la caratteristica di essere rapida, poco approfondita, e “facile”. Non perché si occupi di temi effettivamente semplici, ma perchè utilizza una formula di coinvolgimento che punta tutta la linea delle analisi sulla loro fruibilità per qualsiasi genere di lettore, per qualsiasi formazione di base o preparazione rispetto all’argomento in questione il soggetto abbia e quindi anche per qualsiasi ammontare di tempo disponibile per la lettura e l’elaborazione dell’informazione si disponga. Questa prassi produce innovazione in quanto coinvolge un pubblico che tendenzialmente non arriverebbe a quel contenuto per altre vie, ma non ha alcuna possibilità di costituire effettivamente una fonte di innovazione o conflitto, in quanto genera contenuti che non stimolano ulteriori analisi, approfondimenti o prassi di rottura rispetto alla linea dominante, ma che, anzi, capita di frequente che strumentalizzino l’immediatezza dell’informazione e la sua brevità per veicolare opinioni e orizzonti di loro interesse.
Scomodo in questo si propone di utilizzare lo strumento dei social e del web per catalizzare l’attenzione e produrre coinvolgimento, spostando poi le effettive analisi e approfondimenti su un prodotto che consenta di dedicare loro la giusta attenzione: un giornale che sia, sì cartaceo, ma distribuito gratuitamente e quindi facilmente reperibile, oltre che accessibile a tutti. La partecipazione è così innovativa in diverse dimensioni: la produzione delle analisi è per lo più corale e quindi in controtendenza rispetto alla linea generale, nel tentativo di fornire strumenti e rappresentazioni il più possibile ampie, coinvolgenti e inclusive, in quanto tengono conto di una fascia allargata di opinioni e spunti, e la distribuzione lo è ugualmente in quanto consente ad una collettività estesa di fruire delle analisi e potenzialmente anche di diventarne partecipe entrando effettivamente all’interno della dimensione di confronto, senza bisogno di essere in possesso di particolari qualifiche o competenze.
La partecipazione cambia in questo senso in maniera radicale costituendo il presupposto imprescindibile per costruire un processo di progettualità e innovazione incisivo sulla società: promuove contenuti d’inchiesta e analisi cercando di infondere informazioni e strumenti concreti di sensibilizzazione e riflessione, lo fa attraverso processi collettivi che generano contaminazione d’idee, spunti e confronti, e sfocia nel suo essere così costruita all’interno di una dimensione che crea innovazione, conflitto e si promuove come ente attivo anche dal punto di vista politico, nel senso più ampio di intendere il termine. Attraverso questo genere di prassi, che non cercano necessariamente sempre la conciliazione ma che spesso stimolano il conflitto e il confronto è forse possibile immaginare nuove forme di partecipazione, che siano di nuovo cantieri aperti di sviluppo di progetti, analisi e istanze innovative in grado di agire concretamente sulla dimensione circostante e non soltanto vetrine chiuse di esposizioni individuali impotenti nel costituirsi come fonti di cambiamento.