In America Latina i movimenti popolari sorti dal basso, spesso sull’onda di rivendicazioni e vertenze circoscritte, hanno svolto un ruolo significativo nello stimolare la scelta dell’impegno e della partecipazione politica da parte di settori tradizionalmente “esclusi”. Altrettanto importante è stato il loro apporto nel modificare, tramite una spinta costante, il quadro politico durante l’arco temporale che corre tra il declino dei regimi autoritari, il ritorno alla democrazia e lo sfaldarsi degli equilibri e dei tradizionali referenti politici durante la parabola del ciclo neoliberale, per arrivare fino alla definizione di nuovi soggetti ed agende politiche durante il ciclo progressista, che ha caratterizzato gran parte del subcontinente latinoamericano nel primo quindicennio del XXI secolo.
Già nel corso degli anni Ottanta, in alcuni contesti come quello cileno, iniziarono a manifestare una loro presenza, a dispetto della repressione violenta della dittatura militare, i movimenti delle periferie urbane, dei quartieri poveri, dei barrios e dei pobladores. Specialmente a partire dai moti del 1983 i comitati popolari dei pobladores divengono uno dei veri epicentri dell’opposizione alla dittatura, organizzando in condizioni durissime ben 11 proteste nazionali tra il maggio del 1983 e l’ottobre del 1984. Le barricate che ponevano limiti anche fisici all’azione delle forze repressive dello stato, rappresentavano un modo per negare all’autorità il controllo dello spazio, offrendo protezione a una comunità che affermava la propria diversità ponendo con ciò stesso in discussione la proposta totalizzante del regime.
Volantino di una manifestazione indetta dal coordinamento de pobladores contro il regime di Pinochet.
Dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (Archivio Murillo Viaña)
Quando in America Latina finì il cupo periodo delle dittature militari e in tutto il subcontinente si avviò la transizione alla democrazia il pensiero neoliberale egemonizzava il discorso economico, sociale e politico.
Anche le forze di centrosinistra, pur con maggior sensibilità verso i temi sociali, sostenevano che non vi fossero alternative alle politiche economiche promosse dalle destre politiche della regione.
Tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo, l’America Latina si è trovata in una situazione ambigua: politiche che favorivano una crescente concentrazione della ricchezza, l’accumularsi di diseguaglianze e finivano con il polarizzare la società non incontravano opposizioni politiche credibili.
Anzi, in un primo tempo, proprio all’ombra del generale e tacito consenso circa la mancanza di alternative, il neoliberismo e l’arruolamento dei politici della sinistra tradizionale nelle sue fila ha favorito la diffusione di sentimenti di disorientamento, disaffezione politica e di de-politicizzazione. Chi poteva rappresentare le istanze delle classi popolari se le uniche ricette che potevano essere seguite avevano come conseguenza la crescita delle diseguaglianze e l’esclusione? Il ripiegamento sulla dimensione individuale e sulla concezione individualista della vita è stato, non solo in America Latina, un tratto distintivo e marcato delle società neoliberali.
Povertà e indigenza in America Latina (1980-2011)
Grafico che illustra la percentuale e il numero in valore assoluto di poveri e indigenti in America Latina dal 1980 al 2011. Il grafico evidenzia il picco di poveri e indigenti che si registra in connessione con l’adozione delle politiche neoliberali nel corso degli anni Novanta e all’inizio del Duemila. Fonte CEPAL, i dati del 2011 sono stimati.
In un contesto del genere, i tentativi di resistenza e di organizzazione di una risposta popolare dal basso alla politica tradizionale, non trovando canali di trasmissione istituzionali, hanno occupato il campo dei movimenti sociali. Questi hanno sviluppato vertenze difensive, per far quadrato contro l’alienazione di risorse pubbliche, contro la gestione privata dei servizi di base, sviluppando un forte spirito comunitario e favorendo lo stabilirsi di reti di contatti e legami sociali tra i membri di un territorio.
Movimenti organizzati sono così sorti nel mondo contadino per la riforma agraria e l’occupazione di terre non coltivate, come nel caso dei Sem terra brasiliani.
Oppure sono sorti nei barrios alle periferie delle megalopoli per la gestione collettiva delle risorse e degli spazi. In ogni caso, a seguito dell’approfondirsi delle contraddizioni del modello di sviluppo adottato, interi settori sociali hanno gradualmente maturato la consapevolezza di essere marginalizzati o a rischio di marginalizzazione. La coscienza della propria fragilità ha favorito la diffusione dei discorsi elaborati negli ambiti di lotta popolare, che hanno contagiato non solo settori del mondo del lavoro salariato, ma si sono allargati agli impiegati di classe media, ai professionisti e agli autonomi, in un contesto caratterizzato da crisi, sfiducia e perdita di punti di riferimento.
Questo processo, questa potente e costante pressione dal basso, ha consentito la lenta accumulazione di forze per il dispiegamento, in un secondo tempo, di proposte politiche alternative e nuove coalizioni.
In Bolivia, all’inizio degli anni Novanta, alla periferia di Cochabamba oltre 100 comitati locali dell’acqua presero l’iniziativa di gestire le risorse idriche in modo autorganizzato, nell’assenza dell’azione pubblica. Il successivo tentativo di privatizzare l’acqua incontrò un’accanita e vittoriosa resistenza in quella che è stata definita “guerra dell’acqua”, proprio grazie al precedente investimento che le collettività avevano effettuato dal basso sull’acqua come risorsa strategica e bene comune.
Nel paese andino questo episodio è stato determinante per favorire una svolta politica. Tra gli altri elementi che hanno consentito il lievitare delle mobilitazioni che hanno prodotto un cambiamento radicale dal punto di vista politico e sociale, vi è stato il risveglio delle comunità indigene, da sempre schiacciate alla base della piramide sociale e tenute ai margini delle rispettive comunità nazionali. Le comunità indigene hanno riscoperto le loro radici, la loro cultura, la loro cosmologia in materia di rapporto con le risorse naturali e di relazioni sociali. Forti dei loro legami comunitari e della loro riscoperta identità, hanno dato un nuovo impulso al movimento contadino e hanno rappresentato il motore del cambiamento incarnato dal Movimento al Socialismo (MAS) del presidente Evo Morales, il primo indigeno a diventare capo dello stato boliviano.
Il risveglio delle comunità indigene è stato il risveglio degli ultimi tra gli ultimi. Un fenomeno che, seppur con minor forza, si è registrato anche in altre realtà del Sudamerica, come in Ecuador con la CONAIE, la Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador, fondata nel 1986.
Chato Peredo, fratello del leader dell’Esercito di Liberazione Nazionale, Inti Peredo, lui stesso membro della guerriglia accesa da Guevara in Bolivia, è oggi un esponente del MAS. Ecco come presenta questo processo di emancipazione che ribalta i tradizionali equilibri della società sudamericana, portando ciò che era in basso alla sommità.
Guarda l’intervista a Osvaldo “Chato” Peredo:
I movimenti sociali si sono posti su un terreno antagonistico rispetto alla sfera privata del mercato, senza per questo appiattirsi sulla gestione di un pubblico dipendente dall’iniziativa di un’autorità statale lontana e considerata non affidabile. Il modello di bene comune o di “privato sociale” (come ha sostenuto il sociologo peruviano Anibal Quijano) delle organizzazioni comunitarie e delle reti solidali rappresenta forse uno dei portati originali del mondo popolare latinoamericano. Un mondo che arriva a configurare, tramite la sua autonomia e iniziativa, uno spazio nella società sottratto alla logica del mercato nel quale si cerca di sperimentare nuove relazioni di scambio.
Emblematica del passaggio di fase attraversato con sfumature diverse da tutta la regione a cavallo tra XX e XXI secolo, è stata la crisi argentina del dicembre 2001, quando il default e lo scoppio dell’ira popolare costrinsero il presidente dell’epoca, De La Rua, a fuggire in elicottero. La crisi economica, con il suo impatto sociale, produsse una serie di iniziative dal basso da parte di coloro che si trovavano esclusi dai processi di produzione. In questo contesto alcune fabbriche di aziende fallite vennero recuperate e autogestite dai lavoratori, rimesse in produzione secondo criteri nuovi. Queste realtà sono spesso entrate in una rete di relazioni con le periferie e con comitati di quartiere e di disoccupati (piqueteros) per sviluppare canali di distribuzione e scambio non totalmente ascrivibili alle logiche classiche del mercato. Gli intenti manifestati da parte di queste realtà di ricucire i lacci delle relazioni sociali strappate da decenni di individualismo attraverso la sperimentazione di nuove forme di organizzazione, orizzontali e inclusive rispetto a quelle dell’esperienza tradizionale del movimento operaio, si iscrivono in quella che è stata definita economia sociale.
In questo contesto i movimenti sociali e le loro rivendicazioni sono divenuti levatrici di un nuovo ciclo politico, nel quale non si sono annullati ma al quale hanno concorso massicciamente: il ciclo progressista che ha interessato la regione nell’ultimo quindicennio con l’ascesa al governo in quasi tutti i paesi del subcontinente di formazioni politiche progressiste.
Guarda l’intervista a Raffaele Nocera:
Questi movimenti rivendicano la loro autonomia dalle forze istituzionali e tradizionali. Anzi, sono essi stessi che hanno favorito lo sviluppo per emanazione di nuovi soggetti politici, con i quali intrecciano tuttavia relazioni contraddittorie. E’ anche grazie a loro, se a un certo punto della loro storia recente, le forze progressiste e i movimenti di emancipazione sono passati da una fase di resistenza/opposizione a una fase offensiva di proposizione, sulla base di un’agenda segnata sa sensibilità multiformi, tra le quali è possibile intravedere: l’afflato all’uguaglianza; alcuni elementi dei programmi di sviluppo nazionalisti e autocentrati tentati nella regione tra gli anni ’50 e ’70; la spinta all’inclusione sociale e alla partecipazione politica tramite istituti che favoriscono un protagonismo civico dal basso; l’attenzione alle tematiche dell’ecologia, del femminismo, del protagonismo delle comunità indigene, il cui apporto originale è stato fondamentale per delineare un cambio di passo nella regione, almeno nella sua parte andina.
Dopo aver contribuito al cambiamento politico nella regione favorendo l’inizio di una nuova fase politica caratterizzata dall’ascesa dal variegato spettro delle sinistre regionali in gran parte del subcontinente (la marea rosada) il rapporto dei movimenti sociali con i governi progressisti ha anche attraversato fasi caratterizzate da diffidenze e attriti. I movimenti sociali si sono trovati spesso “minacciati” dalla cooptazione dei loro vertici, con il conseguente depotenziamento della loro capacità di incidere nella realtà. Mentre il ciclo progressista, nonostante abbia prodotto numerosi passi avanti in direzione della redistribuzione della ricchezza e dell’inclusione sociale e politica di larghe fasce della popolazione, non è riuscito nell’intento di cambiare il modello di sviluppo della regione, che è rimasta prigioniera della sua dipendenza dall’esportazione dei prodotti primari e dal prezzo sul mercato mondiale delle commodities. Quando all’orizzonte si è affacciata una congiuntura negativa, il blocco sociale su cui queste esperienze si sono appoggiate ha iniziato a franare mentre i margini di manovra dei governi progressisti si è ristretto.
Tuttavia, con il loro attivismo dal basso e con le loro diversità, i movimenti sociali latinoamericani stanno forse sottotraccia promuovendo processi che possono innescare cambiamenti significativi nel sentire comune della gente, prima ancora che nella realtà materiale propriamente intesa.
Consiglio di lettura
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina ripercorre le vicende politiche, economiche e sociali di alcuni paesi dell’America Latina nell’arco dell’ultimo quarto di secolo.
Stato di salute della democrazia, gestione di politica economica, pulsioni populiste e tentazioni autoritarie, protagonismo di movimenti sociali e politici rappresentano le chiavi interpretative dei saggi qui raccolti.
Saggi che consentono di delineare una visione d’insieme della parabola del ciclo progressista che ha caratterizzato la regione in questa prima parte del XXI secolo.