Il rapporto fra il lavoro e la guerra e fra i lavoratori e la guerra si può definire ambiguo nel senso più letterale della parola. E sottolineo anche la distinzione fra “lavoro” e “lavoratori”. L’esigenza di dirigere, dislocare investimenti, adottare nuove forme di organizzazione del lavoro e di macchinari adeguati alla sfida produttiva della guerra impone per la prima volta la violazione del tabù del non intervento diretto dello Stato nell’economia. Fra queste competenze spicca con particolare rilievo quello della destinazione della forza lavoro.
La contrapposizione fra il fante contadino “uso a obbedir tacendo” e l’operaio ribelle e imboscato rappresenta il frutto più velenoso dei nazionalismi autoritari dell’immediato dopoguerra.
Tuttavia gli operai delle fabbriche mobilitate interpretano davvero pienamente l’ambiguità che si è detta.
Sottoposti a una disciplina militare in cui alle relazioni autoritarie della fabbrica dell’inizio del Novecento (ma in ultima analisi di ogni fabbrica) si sovrapponeva il controllo esigente degli ufficiali, gli operai delle fabbriche mobilitate perdevano – o vedevano limitato dal ricorso all’arbitrato preventivo – il diritto di sciopero ormai generalizzato in tutta l’Europa industrializzata e persino, con molte limitazioni, nell’impero russo.
Allo stesso tempo, il prolungarsi della guerra e il coinvolgimento (diverso da paese a paese) delle direzioni confederali imponeva a tutti i protagonisti dello sforzo bellico (patrons, ministri, alti ufficiali) di tenere conto anche del consenso dei produttori immediati, oltreché della popolazione in genere.
Sul grado di consenso della popolazione civile alla guerra – tenendo conto dei rapidi mutamenti intercorsi nell’inverno 1916 e nell’estate 1917 – abbiamo infinite fonti aperte a molte interpretazioni diverse, “dalla rassegnazione alla rivolta”, anche se è evidente il corto circuito fra il consenso o le resistenze dei soldati in trincea e delle famiglie, nonostante l’opera convergente di censura e propaganda.
Di questa difficile interpretazione sono segnale – ad esempio – le testimonianze dei soldati inglesi partiti volontari che si accorgono ben presto quanto la disciplina militare fosse ben più dura di quella di fabbrica che avevano sempre contestato mettendo così in crisi la fiammata patriottica.
Due gli effetti. Il coinvolgimento delle direzioni confederali e delle Trade Unions nella mediazione e nell’arbitrato, stimola la tentazione dello sciopero. Allo stesso tempo, nelle fabbriche mobilitate grazie al potere contrattuale consentito dall’urgenza della produzione, fanno la loro comparsa organismi che si chiamano in tanti modi, shop stewards, delegati, consigli operai, commissioni operaie. Istituti che sottolineano il processo di innovazione politica.
Istituti nati dall’esigenza di trovare comunque degli interlocutori nei conflitti, con un esercito poco disposto a dislocare truppe dai fonti di guerra a funzioni di ordine pubblico – convergeranno nelle nuove forme di rappresentanza diretta. In Italia si chiameranno Commissioni Interne. Istituti embrionali prima del ’14 diventano protagonisti di una intera stagione delle relazioni industriali.
Si apre così un breve periodo in cui i lavoratori si riprendono la propria autonomia conflittuale nelle pieghe dei diversi interessi e poteri che hanno di fronte, aprendo una stagione di democrazia cristallizzata infine nell’Ufficio Internazionale del Lavoro.
Multimedia
Giornale Luce C0276 del 01/09/1942: fabbricazioni di guerra. Il lavoro a pieno ritmo delle industrie pesanti
Descrizione sequenze: operai in una fabbrica di cannoni, una canna di cannone appesa ad un gancio e trasportata nell’officina ; la canna legata ad una gru, lavori di tornitura ; operai assemblano i pezzi del cannone ; un operaio attraversa la gola d’acciaio ; gruppo di cannoni nell’officina ; operai rifiniscono i cannoni ; il montaggio delle bocche da fuoco sugli autocarri.
Consigli di lettura
L’operaio. Dominio e forma di Ernst Junger
Apparso in Germania nel 1932, “L’operaio” è uno dei testi più discussi e profetici di Junger. Un saggio politico di grande energia e straordinaria lucidità, in cui la figura dell’operaio assurge a dimensione mitica come intreprete supremo del mondo moderno e delle forze che esso sprigiona.