A gennaio 2021 WuMing pubblicava Viva Zerai![1], una delle più recenti e ampie espressioni di “guerriglia odonomastica”[2], “una mappa in perenne lavorazione” in cui sono riportate “vie, lapidi, edifici, monumenti e altri aspetti del paesaggio che sono legati, di nome e di fatto, alla stagione coloniale italiana” [3]. Lo scopo del collettivo era offrire opportunità di approfondimento e occasioni per generare un punto di vista alternativo e consapevole sugli spazi che abitiamo: un processo di riscoperta e risignificazione delle tracce coloniali avviato in Italia nel 2014 con il lavoro di Igiaba Scego e Rino Bianchi sulla storia negata di una Roma (post)coloniale[4], che ha portato al moltiplicarsi delle iniziative della stessa matrice in tutta la penisola[5].
È nell’ambito di questa riflessione che la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli propone per il 4 dicembre una passeggiata nella città di Milano all’interno del festival CheStoria! 2021.
Guidato dalla storica Simona Berhe, il percorso seguirà alcune tracce della storia del progetto espansionista italiano, per arrivare a toccare, in una delle tappe conclusive, uno dei simboli recentemente più dibattuti della memoria del colonialismo: la statua di Indro Montanelli.
Il monumento è stato realizzato da Vito Tongiani e collocato nel 2006 all’interno dei giardini pubblici della città intitolati anch’essi al giornalista. A partire dal 2018 la statua è stata oggetto di varie contestazioni politiche: la più recente nel giugno 2020, in seguito alla richiesta di rimozione scaturita dalle proteste antirazziste successive all’omicidio di George Floyd, è stata rivendicata dalla Rete Studenti Milano e da LuMe (Laboratorio universitario Metropolitano) e ha visto l’uso di vernice rossa assieme all’apposizione degli appellativi “razzista e stupratore” sul basamento del monumento.
Di questa statua – e, in generale, della figura di Indro Montanelli – si è già detto e scritto molto, specialmente in seguito al marzo 2020[6]. A essere messo sotto accusa recentemente è stato soprattutto il Montanelli che negava il razzismo e la violenza di genere intrinseci al progetto coloniale. Raccontando del proprio rapporto con Fatima (ricordata anche come Destà), il giornalista si rifiutava di riconoscere che quei vantaggi sessuali che descriveva con leggerezza erano in realtà connaturati, anche mediante l’istituzione del madamato, nella figura del colonizzatore italiano.
Montanelli si vantò di aver avuto una sposa eritrea di dodici anni già nel 1969, durante il programma televisivo L’ora della verità, occasione in cui venne incalzato sul tema dalla giornalista Elvira Banotti, che non mancò di sottolineare la natura violenta di quel rapporto coloniale; ciononostante, intervistato da Enzo Biagi, nel 1982 Montanelli non mancò di riproporre la stessa versione dei fatti definendo Fatima un “animalino docile”.
La figura di Indro Montanelli risulta centrale per la memoria del colonialismo italiano anche per un altro evento: lo scontro svoltosi sulle pagine dei giornali con Angelo Del Boca, giornalista e storico del colonialismo italiano. La disputa riguardava l’effettivo impiego di armi chimiche da parte italiana nella campagna di aggressione all’Etiopia (1935-36), tesi sostenuta (e scientificamente provata) dal secondo, ostinatamente negata invece dal primo.
Montanelli aveva iniziato a criticare Angelo Del Boca già a partire dal 1965, in occasione dell’uscita de La guerra d’Abissinia che, dal punto di vista storiografico, costituiva la prima attestazione dell’impiego – dopo la firma del trattato internazionale che ne vietava l’uso – dei gas da parte dell’esercito italiano e fascista. Nel 1995 difendeva la propria posizione con queste parole:
“Io non dubito minimamente della serietà dei documenti che lei, caro Del Boca, ha citato. Dubito soltanto, da testimone oculare, della loro rispondenza ai fatti. Per cui unisco al suo il mio invito ai ministeri interessati perché ci dicano finalmente se l’ordine di lanciare gas fu realmente impartito (il che è probabile); e se fu realmente eseguito, il che mi sembra difficile, per non dire impossibile per l’assoluta mancanza di bersagli contro cui usarli”[7].
Si dovette attendere il 1996 perché lo Stato ammettesse, almeno parzialmente, l’effettivo utilizzo dei gas. Alcuni dei documenti che attestavano i fatti erano pubblici da qualche decennio: l’attendibilità delle fonti non veniva messa in discussione ma, in questa retorica, ciò non risultava comunque sufficiente per smantellare la visione di un “testimone oculare” che aveva preso parte alla campagna di conquista. A riprova del fatto che anche il grande pubblico poteva aver avuto accesso a queste prove, è importante segnalare che i telegrammi che Mussolini, Badoglio e Graziani si scambiarono nel corso della guerra d’Etiopia (tra le fonti principali del lavoro di Del Boca) circolavano tra giornali e televisione da svariati anni. Nello specifico, erano stati pubblicati sulla rivista illustrata «Oggi» già nel 1947-48, poi da «Il Giorno» (dallo stesso Del Boca) nel 1968, per essere inoltre letti nel 1985 in onda su Rai 1, sempre dallo storico del colonialismo, a fronte dell’ennesimo tentativo dell’ex Ministro dell’Africa Italiana Alessandro Lessona di negare l’impiego dei gas, il quale, alla fine, non poté che arrendersi alle prove dei fatti[8].
Ripercorrere rapidamente questi snodi della memoria all’interno del discorso pubblico significa ricordare le molteplici occasioni di dibattito riguardanti sia l’intreccio tra colonialismo, razzismo e violenza di genere, sia l’aspetto intrinsecamente violento del colonialismo (e, dunque, anche di quello italiano). Guardare oggi la statua di Indro Montanelli diviene perciò un’occasione per approfondire il tema della memoria del colonialismo superando la sola categoria della rimozione collettiva.
Il monumento è stato eretto infatti settant’anni dopo la fine della guerra d’Etiopia, in una fase estremamente dialettica e movimentata della memoria del progetto espansionistico[9]: esso costituisce quindi la prova materiale di come una comunità abbia scelto di auto-rappresentarsi nonostante le voci e le tracce che avevano mostrato la realtà dei fatti.
In un contesto di “afasia”[10] coloniale – di incapacità cioè di comprendere il senso di queste tracce e di stabilire connessioni efficaci con queste narrazioni oggettive e autentiche – questa vicenda permette di vedere come i molteplici tentativi di smantellare il luogo comune degli “italiani brava gente”[11] siano stati puntualmente assorbiti e neutralizzati dall’immagine mitologizzata del colonialismo italiano e, in questo caso, di Montanelli stesso.
[1] https://umap.openstreetmap.fr/it/map/viva-zerai_519378#6/41.508/11.096
[2] https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/12/guerriglia-odonomastica/
[3] https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/01/yekatit-12-febbraio-19-ricordiamo-i-crimini-del-colonialismo-italiano/
[4] Rino Bianchi, Igiaba Scego, Roma Negata. Percorsi postcoloniali nella città, Ediesse, Roma 2014.
[5] Si segnalano come esempi: Resistenze in Cirenaica https://resistenzeincirenaica.com/ric/; Collettivo Tezeta https://resistenzeincirenaica.com/collettivo-tezeta/; Postcolonial Italy https://postcolonialitaly.com
[6] Uno dei contributi più recenti reperibili online: Antonio M. Morone, Montanelli, le colonie e i nostri nerihttps://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:5272; emblematica del periodo anche la riedizione della biografia: Paolo di Paolo, Montanelli: vita inquieta di un anti-monumento, Mondadori, Milano 2021.
[7] Corriere della Sera, 12 agosto 1995.
[8] Angelo Del Boca, Una lunga battaglia per la verità, in Id., I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti, Roma 2007, pp. 157-158.
[9] Cfr. Nicola Labanca, History and Memory of Italian Colonialism Today, in Jacqueline Andall, Derek Duncan (eds.), Italian Colonialism. Legacy and Memory, Peter Lang, Bern 2005.
[10] Si segnala uno dei contributi più recenti per il concetto di “afasia coloniale” nel contesto italiano: Gianmarco Mancosu, Amnesia, aphasia and amnesty: the articulations of Italian colonial memoryin postwar films (1946–1960), “Modern Italy”, 26(4), 2021, 1-22.
[11] Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Neri Pozza, Venezia 2005.