Università di Milano-Bicocca

Pubblichiamo qui di seguito un estratto dal saggio di Ivana Fellini contenuto nel volume a cura di Luca Cigna Forza Lavoro! Ripensare il lavoro al tempo della pandemia, Milano, Fondazione G. Feltrinelli, 2020.


Per avere una misura, pur approssimativa, della difficoltà dei giovani a inserirsi nel mercato del lavoro in Italia, può essere utile confrontare il tasso di occupazione giovanile nei principali Paesi dell’Europa occidentale e la differenza tra questo e quello degli adulti e anziani. Invece di concentrare l’attenzione su coloro che cercano attivamente lavoro ma non lo trovano, come fa il tasso di disoccupazione e come spesso si fa per analizzare il disagio occupazionale, privilegiando i comportamenti delle persone, il tasso di occupazione sposta l’attenzione sulla domanda di lavoro, ovvero sui fabbisogni e i comportamenti delle imprese che determinano le occasioni di lavoro.

Sia il livello del tasso di occupazione giovanile, sia la differenza con quello degli adulti posizionano l’Italia in fondo alla classifica europea, seguita solo dalla Grecia, a indicare non solo che rispetto agli altri Paesi le occasioni di lavoro per i giovani sono scarse – 31,8% contro una media dell’Europa a 15 del 50,9% – ma anche che lo svantaggio dei giovani rispetto agli adulti è massimo proprio in Italia, dove il gap raggiunge i 36,7 punti percentuali, ovvero il tasso di occupazione giovanile è meno della metà di quello degli adulti.

Vero è che vi sono fattori di sovrastima del tasso di occupazione giovanile nei Paesi dove questo è più alto, come, per esempio, considerare occupati i giovani in esperienze di alternanza scuola-lavoro; tuttavia, anche scontando queste differenze, per esempio restringendo l’osservazione ai soli giovani tra i 25 e il 29, per lo più usciti dal sistema formativo, la posizione dell’Italia non cambierebbe. Non bisogna trascurare inoltre che la bassa occupazione giovanile si accompagna a un generale deficit occupazionale, essendo l’Italia tra i Paesi europei con il minore tasso di occupazione totale: dunque, le poche occasioni di lavoro per i giovani si inseriscono nel quadro di un mercato del lavoro meno dinamico di quello degli altri Paesi, aggravato dagli enormi divari territoriali. Se nel 2019 il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 29 è del 40% nelle regioni settentrionali, nelle regioni meridionali supera appena il 21%, con un gap un poco inferiore a quello nel tasso di occupazione complessivo (67,9% vs 44,8%).

Non solo le occasioni di lavoro sono poche per i giovani in Italia, ma anche la transizione dal sistema formativo al lavoro è più difficile e lenta: nel 2019 il tasso di occupazione dei 18-34enni a tre anni dall’uscita dal sistema formativo è pari a 56.8%, superiore solo a quello della Grecia, contro una media dell’Europa a 15 del 77.2%, nonché di parecchio inferiore all’obiettivo europeo dell’82% della strategia Europa 2020. Numerosi sono gli studi che hanno mostrato i tempi più lunghi dell’inserimento lavorativo dei giovani in Italia e le traiettorie più incerte della stabilizzazione lavorativa, ovvero il passaggio da una posizione instabile o a termine a una posizione a tempo indeterminato, un aspetto quest’ultimo che ha modificato profondamente l’esperienza dell’inserimento nel mondo del lavoro di chi vi è entrato negli anni più recenti rispetto a chi vi è entrato solo qualche decennio fa.

Il lento e difficile accesso dei giovani all’occupazione è indice della marcata segmentazione generazionale del mercato del lavoro italiano che dipende in larga misura da fattori istituzionali relativi non solo al disegno del sistema formativo ma anche al più generale funzionamento del mercato del lavoro. Da un lato vi è certamente il debole raccordo tra il sistema della scuola e il mondo del lavoro che rende costosa la formazione dei neo-assunti, soprattutto in un sistema di piccola e media impresa come quello italiano che aspirerebbe a lavoratori già “pronti”, ma dall’altro vi è anche il dualismo tra le condizioni di lavoro nelle (poche) grandi imprese e nel pubblico impiego e quelle nelle piccole e medie imprese, nonché il dualismo tra le condizioni incerte di chi accede al lavoro per la prima volta e quelle più tutelate di chi è inserito da lungo tempo. A ciò si aggiungono le debolezze della domanda di lavoro che in Italia rimane più orientata alle basse qualifiche, privilegiando con ciò le caratteristiche e le competenze dei lavoratori più adulti, mentre le assunzioni nel pubblico impiego – una possibile area di sbocco per i giovani istruiti – sono bloccate da lungo tempo.

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