Vi è una generale linea di tendenza di riduzione ormai strutturale delle risorse pubbliche e di contrazione del welfare, in particolare locale, in molte città europee; anche per questo, l’attenzione nei confronti di forme di auto-organizzazione dal basso dei cittadini e delle loro organizzazioni su base locale per il disegno, la creazione e l’erogazione di servizi di welfare è molto elevata, sia nel dibattito accademico, che in quello di politica pubblica. In molti casi, per poter radicare e mantenere le iniziative nel tempo, queste forme di auto-organizzazione sperimentano forme di impresa sociale, o impresa di comunità, come forma di strutturazione. In alcuni contesti, come ad esempio quello britannico o quello olandese, l’erogazione di servizi a base locale si accompagna alla presa in carico, da parte di queste imprese, di immobili o altri asset: questo avviene con il duplice fine di contribuire alla gestione di tali beni che, qualora in mano pubblica, sono spesso destinati all’incuria e all’abbandono per mancanza di risorse, ma anche di utilizzarli per creare valore e consentire la generazione di risorse che possono poi essere reinvestite nei progetti sociali a livello locale.
A questo interesse si accompagna spesso nel dibattito un entusiasmo un po’ facile per modelli che sembrano essere decisamente win-win: per l’amministrazione pubblica, che riesce a garantire la copertura di bisogni non trattati, oppure emergenti, a costo zero quando non con dei risparmi (si pensi agli immobili da manutenere); per i cittadini che usufruiscono dei servizi locali, dato che questi vengono prodotti o co-prodotti dagli stessi utenti e quindi da chi è più vicino ai bisogni, senza l’imposizione di rigidi standard che spesso contraddistinguono l’azione pubblica; per i soggetti locali auto-organizzati, che sono coinvolti nel disegno e nell’elaborazione di questi servizi, nei quali possono mettere a frutto la propria esperienza e le proprie competenze. A fronte di queste posizioni, occorre forse valutare con maggiore cautela alcuni possibili effetti negativi, o distorsioni che la diffusione di questo modello potrebbe presentare.
In primo luogo può essere utile rendere esplicito il punto di vista da cui si analizzano e interpretano queste situazioni: in alcuni casi, come nella letteratura sulla co-produzione, esso è più decisamente quello dell’attore pubblico, o del provider professionale si servizi; nella letteratura e nelle pratiche sull’azione dal basso e sulle forme di attivismo dei cittadini, al contrario, il punto di vista è più prossimo a questi e agli altri soggetti locali.
A partire da qui, tre dimensioni emergono come meritevoli di maggiore approfondimento: la prima riguarda le possibili strategie di cooptazione e di riduzione del potenziale dissenso da parte dell’amministrazione, attraverso percorsi di de-politicizzazione e di disinnesco delle voci potenzialmente più radicali e oppositive; la seconda porta con sé invece un forte rischio di incrementalismo e di intervento di nicchia; infine, l’ultima e forse più grave riguarda il rischio di copertura parziale (e selettiva) e di chiusura localistica da parte delle iniziative stesse, il rischio che queste emergano e si rafforzino proprio laddove sono meno necessarie, e che invece abbiamo maggiori difficoltà proprio là dove maggiore sarebbe il bisogno, ad esempio nei quartieri più marginali e dove più forti sono le situazioni di disagio. Questo può accadere sia per una specifica mancanza di competenze imprenditoriali, nel momento in cui si pensi a soggetti economici e a iniziative improntate alla sostenibilità nel tempo, che più in generale per una carenza di risorse (di tempo, conoscenza, networking,…) da parte di alcuni gruppi di cittadini.
Per tutte queste ragioni, è forse opportuno ricordare come per l’amministrazione pubblica questo tipo di percorsi non dovrebbero essere visti come una sorta di ‘passo indietro’, ma al contrario un significativo ‘passo in avanti’ per la presa in carico di maggiori responsabilità di guida e direzione strategica per assicurare una più equa funzione sociale dei benefici che da essi potrebbero derivare, senza per questo ritornare a modelli rigidi o gerarchici.
Il seminario organizzato da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli il 28 marzo si propone quindi di analizzare in profondità, e attraverso la messa in campo di molteplici punti di vista disciplinari e prospettive interpretative, le dimensioni più rilevanti del dibattito. Elementi quali l’interfaccia tra auto-organizzazione locale e azione pubblica, le forme di radicamento, i tipi di risorse attivate, gli obiettivi di queste iniziative, la loro natura più o meno alternativa, il cambiamento radicale o incrementale che portano con sé serviranno quindi a proporre una lettura più sfaccettata e articolata di questo fenomeno, anche per identificare con maggiore precisione interpretativa i possibili impatti e il potenziale trasformativo di queste azioni.