Con questo incontro si chiude il ciclo There is (no) alternative proposto dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. La (contro) rivoluzione liberista nasce nel segno dell’assenza di alternative, procede negli anni ’90 con “la fine della storia” e culmina con il trionfo della narrazione del mondo post-ideologico, ovvero l’affermarsi di quell’ideologia che postula la fine delle ideologie. Se non ci sono alternative allo status quo e il corso della storia non prevede deviazioni, anzi, addirittura si è interrotto, ogni istanza di cambiamento è ideologia, pura fantasia: il sistema è immutabile. Contemporaneamente e coerentemente la società si frammenta, con l’indebolimento dei corpi intermedi (partiti e sindacati in primis): come ricordato da Borón in occasione del primo incontro di questo ciclo, ognuno si salva da sé, ogni individuo è solo (un altro celebre slogan coniato da Thatcher era infatti “society is dead”) nella sua vicenda di vita, può migliorare la propria condizione personale, ma non avanzare rivendicazioni collettive.
Le esperienze mutualistiche, di economia improntata alla solidarietà, alla condivisione localistica delle quali ci occupiamo mercoledì 27 alla Fondazione Feltrinelli hanno quindi una natura intrinsecamente ambigua: da una parte, mettono in discussione l’estremo individualismo, il ripiegamento nel privato, che contraddistingue il capitalismo della globalizzazione. Dall’altra, si tratta di un’antitesi che nasce nelle pieghe del sistema stesso: di una opposizione che accetta le regole del gioco, che sembra riconoscere l’impossibilità di una alternativa sistemica. La Fondazione invita perciò Bruno Frère, professore all’Università di Liegi e a Science Po a Parigi, e Carlo Borzaga, Presidente di Euricse – European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises, per indagare questa ambiguità, seguendo il filo conduttore dell’intero ciclo di conferenze: queste nuove economie costituiscono esperienze realmente alternative? Possono congifurarsi come argine alle insostenibilità della globalizzazione? Infatti, a fronte dell’inasprimento delle disuguaglianze e della marginalizzazione sociale sempre più marcata, molte piccole forme di economia “resistente” hanno preso piede, e intervengono qui e ora sul vivere quotidiano dei cittadini, redistribuendo risorse materiali e immateriali. E infine, se si provasse a rispondere alle suggestioni che abbiamo sollevato con il ciclo There is (no) alternative, e che la Fondazione sta promuovendo nel corso di questa stagione di ricerca dedicata al ripensamento del capitalismo – anche con il prossimo FeltrinelliCamp – e quindi a sciogliere l’ambiguità di cui sopra, che contributo concreto possono queste esperienze dare a una redifinizione di rapporti sociali sempre più iniqui? Possono spingere verso una effettiva democrazia economica? Basta sfogliare la vasta bibliografia sul tema degli ospiti di questo quarto appuntamento per rendersi conto di come la domanda sia aperta: La diversità dell’economia solidale: punto di forza o di debolezza? oppure Il contributo dell’economia sociale al superamento della crisi.
Ed è proprio alla crisi e alle insostenibilità del sistema economico da cui queste crisi risultano – in maniera fisiologica, come in altre occasioni abbiamo ripetuto – che i nostri precedenti ospiti all’interno di questo ciclo di conferenze hanno fatto riferimento; anche in questa occasione, affrontiamo l’argomento attraverso le nicchie di resistenza, alternative locali: i servizi comunitari di mutuo aiuto, ad esempio, rispondono a immediati bisogni sociali e economici, consolidando tra l’altro i legami all’interno di una comunità, con una molteplicità di effetti positivi a cascata; la micro-finanza allo stesso modo può essere strumento di emancipazione; i meccaniscmi di commercio locale, talvolta basati sul baratto, così come la condivisione comunitaria dell’attività agricola, possono costituire una sorta di “micro-delinking” (e nella distanza con il delinking di Samir Amin sta tutto il peso della ambiguità di cui sopra), oltre a fornire alcune risposte alla questione ambientale. Quelle menzionate sono le quattro tipologie tradizionali di “economie della solidarietà”, ma, ci ricorda Frére, la questione chiave al giorno d’oggi è capire se può emergere una istituzione – in senso lato – politica che riesca a parlare in nome di tutte queste forme differenti, che faccia sintesi e le inserisca in un più grande processo di cambiamento e di messa in discussione dei tratti principali del sistema economico. Per cui, insistendo sulla duplicità su cui questa introduzione si costruisce, mentre alcuni studiosi vedono in queste nicchie di resistenza il potenziale per una soluzione al vicolo cieco in cui sembra essersi imbottigliato il sistema economico contemporaneo, altri argomentano che è proprio la “grammatica libertaria” che definisce queste forme di condivisione solidaristica a impedire il passaggio dalla micro sfera ad un orizzonte di obiettivi politici macro.
Dopo aver indagato la possibilità di riforma del capitalismo nel primo incontro, aver sondato a fondo i presupposti teorici di questa eventuale riformabilità, in un vero e proprio scontro tra teorie economiche concorrenti, aver toccato l’alternativa radicale della prospettiva socialista, Nicchie di resistenza: un’alternativa locale esplora le possibilità di costruire un’alternativa a partire dall’immediatezza della solidarietà locale e quotidiana.