Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

L’attuale contesto in cui si sviluppano la politica e le sue forme di comunicazione è caratterizzato dall’intrecciarsi di mutazioni mediali e cambiamenti culturali delle forme di organizzazione dei partiti e di partecipazione dei cittadini.

Sul piano culturale il dibattito pubblico, costruitosi in particolare sulle principali testate giornalistiche anglosassoni e mondiali, si è concentrato sulla definizione di un contesto caratterizzato dalla politica post-verità, in cui il dibattito politico e le forme di rappresentazione delle diverse tematiche si caratterizzano per un contesto di sviluppo post-fattuale e di post-realtà della stessa politica. Si tratta di una condizione della cultura politica che vede l’emergere di appelli e scontri comunicativi largamente basati sulla dimensione emotiva, scarsamente collegata all’analisi dei fatti e a evidenze concrete, in un modo tale per cui ogni tentativo di confutazione delle affermazioni basato su analisi dei dati o sulle pratiche di fact checking viene ignorato. La campagna elettorale delle presidenziali americane nel 2017 ha visto l’affermarsi del concetto di “fatti alternativi” (altenative facts o alt-facts) che presto è diventato sinonimo della volontà di perseverare con una particolare credenza o nella completa ignoranza o con un totale disprezzo per la realtà. L’incidenza crescente di “fatti alternativi” nell’arena pubblica e politica crea un presupposto critico per chi sia interessato al tema della democrazia deliberativa, poiché non è chiaro come il dibattito razionale possa procedere se le prove empiriche non riescono ad avere valore persuasivo.

L’ambito della post-verità costruisce quindi un contesto culturale diverso da quello che caratterizza le tradizionali forme di contestazione e protesta così come quello in cui viene operata una sistematica falsificazione della realtà. E questo perché, da una parte, relega il principio di verità in posizione secondaria rispetto alla dimensione emozionale e, dall’altra, diviene un ambito per uno scontro culturale più profondo tra élite, comunità e diverse e visioni del mondo. In questo senso anche la propagazione di una fake news può non avere tanto a che fare con il principio di realtà quanto con il sostegno ad un’appartenenza diversa.

È questo un tema che vediamo divenire oggi centrale, anche se non è nuovo nella storia della cultura politica, ma che è andato evidenziandosi con l’accesso di massa a Internet e a i relativi cambiamenti sociali così come al mutare di un sistema dell’informazione che è diventato molto più ibrido tra media mainstream e non mainstream.

In tal senso abbiamo a che fare con le specifiche forme di mediatizzazione della politica nell’era delle piattaforme sociali online, un passaggio caratterizzato da una centralità del ruolo dei media broadcast ad una in cui si sviluppano legami complessi di questi con la realtà di Internet e delle piattaforme web, in relazione a varie forme di comunicazione, negoziazione e conflitto politico e civile. La crescita di movimenti virali e riflessivi, i gruppi di advocacy e le campagne online che sono caratterizzate da un’azione connettiva nelle loro dinamiche di deliberazione e coordinamento, così come le campagne elettorali che sfruttano forme più o meno occulte di comunicazione online, sono un esempio di questo cambiamento: dalla disintermediazione operata dai leader attraverso Internet e i social media all’uso di Facebook dark post durante le campagne elettorali alle Twitter chatbot che hanno caratterizzato alcune conversazioni online pro-Brexit.

Il contesto culturale della post-verità viene così ad essere messo in relazione alle diverse variabili esaltate e prodotte dalla natura specifica degli ambienti online e delle condizioni dei networked publics, cittadini che si informano, partecipano e, più in generale, si orientano politicamente attorno alle piattaforme online. Gli studi su Internet e politica hanno individuato diversi nodi centrali da portare all’attenzione del dibattito che rappresentano problematicità da discutere e che non hanno ancora una risposta definitiva. Si tratta di ambiti come il confirmation bias, per il quale si crede a notizie che confermano i propri pregiudizi, che si intreccia con la costruzione online di echo chambers, ambienti relativamente chiusi rispetto all’esterno, in cui una notizia viene amplificata; oppure dall’orientamento dato dagli algoritmi e della produzione di filter bubble in cui gli utenti vengono esposti meno alla conflittualità di punti di vista diversi e finiscono per essere isolati in una propria bolla informativa che fanno coincidere con la realtà. Tutti elementi che alzerebbero il grado di polarizzazione online accentuandolo e allontanando sempre più il dibattito razionale.

Si tratta di elementi ancora da mettere a fuoco chiaramente nel dibattito scientifico che spesso porta a conclusioni contraddittorie. Ma resta il fatto che l’era della platform politics pone questioni fondamentali di ordine culturale e tecnologico per garantire un contesto di democrazia minima che coinvolge non solo la politica e i sistemi democratici ma nuovi attori sociali di mercato, le piattaforme, che sempre più rappresentano nuovi interlocutori per i governi dei diversi Paesi con cui negoziare e su cui immaginare nuovi ambiti di regolazione.

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